capitolo 11

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"Monsters are real,
and ghosts are real too.
They live inside us,
and sometimes,
they win"
(Stephen King)


Le dita delle mie mani erano congelate.

Avevo freddo, ma non così tanto da alimentare la necessità di qualcosa con cui coprirmi le spalle.

La voce di Ariel era scomparsa e non ci pensai due volte a girarmi verso di lei.

Era paralizzata, il sentimento di paura che continuava a bruciare nei suoi occhi cristallini. Teneva lo sguardo fisso davanti a lei, continuando a tremare e a stringere con le sue esili mani la coperta che prima le avevano avvolto intorno alle spalle.

Ci offrirono delle coperte e del latte caldo, ma io accettai solo il latte.

Non riuscivo a parlare, tantomento a stare in piedi.

Il calore della tazza mi riscaldava a stento le mani e gli occhi continuavano a essere lucidi.

Speravo che tutto questo fosse una finzione, ma tutto quello che avevamo visto era reale.

Le mie mani ricominciarono a tremare e la tazza mi cadde dalle mani frantumandosi in grossi pezzi e rovesciando il suo contenuto a terra.

Non me ne importò più di tanto, nessuno si era accorto di quello che era successo ai miei piedi e io non avevo intenzione di fare nulla a riguardo.

Le persone intorno a noi continuavano a girare.

Avanti ed indietro, come il pendolo di un orologio a cucù.

Di tanto in tanto chiudevo gli occhi per non vedere più quelle persone che continuavano a cercare.

Stavano inseguendo un fantasma, ma questo loro non lo sapevano.

Quando ebbi il coraggio di guardare davanti a me, non alzai lo sguardo, ma continuai a guardare i pezzi di ceramica bianca quasi nascosti dalla neve.

Continuava a nevicare, ma il freddo non faceva che peggiorare le cose.

Non era successo nulla che io non avessi già visto in milioni di film horror, ma la sensazione di averlo visto nella realtà, mi fece quasi svenire.

Chi poteva aver fatto una cosa del genere?

Poco dopo mi vennero in mente le parole che aveva urlato durante il suo momento di panico.

"lui è tornato"

Non avevo capito molto di quel che aveva detto tra bisbigli e pianti.

Cercai di calmarla, ma ci riuscii solo dopo che avevo chiamato i soccorsi.

Non sapevo se era la cosa migliore da fare, ma era l'unica cosa che mi era venuta in quel momento di fare.

Due agenti della polizia parlavano con i direttori, mentre dei medici legali estraevano campioni di sangue o qualsiasi cosa potesse aiutarli nel caso.

Speravo che non fosse reale, ma prima che qualcuno arrivasse qui mi ero avvicinata.

La neve era sporca di sangue.

Un enorme scritta era incisa nella neve mischiata alla terra.

Non rimasi molto sconvolta all'inizio, ma quando l'odore ferroso e marcio mi invase le narici, mi tirai subito indietro.

Quando avevamo varcato la soglia della porta d'uscita della piccola chiesa abbandonata, sapevo che qualcosa o qualcuno ci stava seguendo, ma non ci avevo dato molta attenzione.

"non riuscirai mai a scappare da me"

Questo era quello che c'era scritto sul prato innevato.

Col sangue.

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