Capitolo 24

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Quella settimana ero rimasta a casa, non potevo andare a scuola in quelle condizioni, così Diana passava ogni tanto a lasciarmi appunti e compiti. Vedendomi la prima volta era rimasta spiazzata e, preoccupatissima, mi bombardò di domande. Le dissi di essere caduta dalle scale e anche se non sembrò credermi, dopo la spiegazione, smise di fare troppe domande. Mentalmente la ringraziai perché dirle la verità mi avrebbe fatta sentire molto a disagio.
Jason invece non si era fatto sentire e di questo non sapevo se esserne effettivamente sollevata o meno. Non volevo mi vedesse così ma cosa più importante, non volevo metterlo nei guai rischiando di fargli beccare una denuncia.
Andai davanti allo specchio e misi della crema sul taglio che man mano migliorava. Subito dopo bussarono alla porta, così corsi ad aprire. Albert mi lasciò delle lettere e prendendole lessi chi le mandava. L'ansia prese il sopravvento e iniziai a sentire dei brividi, le lettere arrivavano dalle università a cui avevo fatto domanda, comprese quelle dei miei genitori. Dopo aver ringraziato Albert, chiusi la porta e andai a sedermi con le buste tra le mani. Non avevo il coraggio di aprirle, non sapevo cosa aspettarmi. Tranne da quelle consigliate dai miei, che avendo molti contatti con professori e direttori, non avrebbero avuto problemi a farmi entrare, che me lo meritassi o meno. Dovevo aprirle con qualcuno al mio fianco e la prima persona che mi venne in mente, fu Jason. Ma non potevo rischiare incontrandolo a casa mia, così provai ad inviargli un messaggio aspettando impaziente la sua risposta.
Nel pomeriggio presi l'auto e non dissi nulla a nessuno sul dove stessi andando. I miei genitori erano al lavoro e si sarebbero poi diretti subito alla festa a casa dei Larson, a cui tecnicamente sarei dovuta andare anche io, ma dovevo aspettare un loro messaggio in cui mi avrebbero dato il permesso. Non che io volessi andare anche se lo avevo promesso ad Andrew e i miei di certo avrebbero gradito la mia presenza, ma non avendomi fatta andare nemmeno a scuola per via delle mie condizioni, dovevo attendere la loro decisione finale.
Cambiai canzone e alzai il volume accelerando in quella strada sempre deserta. Minuti dopo, svoltai e fermai l'auto davanti a quella già parcheggiata. Presi le lettere mettendole nello zainetto e dopo essere scesa, andai verso la casetta sull'albero. Salii la scaletta ed entrai guardando Jason seduto sul tappetto tra le coperte che mi aspettava scarabocchiando su un taccuino. Appena si soffermò sul mio viso abbastanza da vedere probabilmente il taglio e forse anche i segni sul collo, la sua espressione cambiò rapidamente. Si alzò di scatto senza però fiatare e del resto, nemmeno io riuscii ad aprire bocca. L'ultima volta che gli avevo rivolto la parola era stato il giorno del suo licenziamento e, rivederlo ora così, era un po' strano oltre che triste. Le mani di Jason mi sfiorarono le guance e scesero poi sul collo.
«Come stai?» Domandai per rompere il ghiaccio, sentendomi però un po' stupida.

«Faccio io una domanda a te... è stato Andrew?»

Sospirai sedendomi tra le coperte e i cuscini tirando Jason giù con me. «Non ti ho chiesto di vederci per parlare di questo.»

«Ma io voglio saperlo.»

«Jason, per favore. Ti ho scritto perché sei mio amico e sei l'unico che mi ascolta davvero, l'unico  che in qualche modo riesce a comprendermi e a darmi consigli...»

«E quando mai hai seguito un mio consiglio? Lo dimostra il fatto che non hai risolto questa faccenda.» Disse indicando i segni sul collo. «Vorrei me ne parlassi, perché se Andrew non la finisce...»

Lo fermai poggiando una mano sul suo braccio. «Basta. Per favore...» tirai fuori le lettere e gliele mostrai. Erano ancora chiuse, sigillate.  «Volevo solo aprire queste con te... sono arrivate oggi.»

Jason le guardò ma le poggiò poi sul baule dietro di noi. «Credo che la mia domanda sia più importante di queste lettere.»

«Fai sul serio?» Iniziai ad innervosirmi e riprendendo le lettere, le infilai bruscamente nello zainetto alzandomi con gli occhi lucidi. «Speravo che almeno tu volessi sostenermi!»

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