Capitolo 44

198 19 2
                                    

Non avevo più visto Andrew nelle settimane successive e lui non si era fatto sentire. Jason invece veniva a trovarmi ogni volta che poteva, soprattutto nel fine settimana. Si era messo alla ricerca di un appartamento, ma non aveva ancora trovato nulla che lo soddisfacesse.
Appena finito il giro di visite in ospedale, uscii salutando alcuni colleghi e mentre andavo alla macchina, vidi qualcuno di familiare. «Margaret?» Chiamai la nipote della signora Districk che si voltò e sorrise avvicinandosi.

«Ciao Isabel! Hai finito ora il turno?» Domandò infilando una busta nella borsa.

«Sì, tu eri in ospedale?»

«Sì, ho fatto un esame del sangue. Dovevo andare al mattino ma non riesco mai con il lavoro.» Spiegò. «Comunque ho visto il tuo amico la scorsa settimana, a casa di mia zia.»

«Il mio amico?» Domandai confusa. «Intendi Andrew?»

«No, intendo il ragazzo che ti ha accompagnata alla festa. Jason.»

«Jason? Cosa faceva da Sylvia?» Lo trovavo un po' strano, non mi aveva detto niente e nemmeno la Districk.

«Non lo so, quando l'ho visto, se ne stava andando. Mia zia poi non ha voluto darmi spiegazioni.» Il suo cellulare iniziò a suonare e sospirò. «Scusa ma devo scappare... è stato un piacere vederti.» Sorrise salutandomi e io ricambiai entrando in auto. Perché Jason era andato a casa Districk? O era stata Sylvia ad invitarlo? E perché non mi aveva detto nulla? Invece di andare in direzione di casa, andai verso casa dei miei. Avevano organizzato una cena e ci sarebbero state un po' di persone. Ad accogliermi a casa c'era Gloria, felicissima di vedermi e con il grembiule sporco di farina. Ero arrivata con un'ora d'anticipo e dopo aver salutato i miei, salii nella mia vecchia stanza per cambiarmi. Indossai qualcosa di adatto perdendomi poi a guardare la stanza, ora priva di tutte le mie cose. Era buffo, quando cercavo di pensare a dei bei momenti passati lì, l'unica persona che vedevo nella mia testa, era Jason. Pensavo a tutte le volte che si era arrampicato sull'albero entrando poi dalla finestra. Ma ricordavo bene anche quando mi aveva detto addio. Presi il cellulare e provai a chiamarlo, ma non rispose.

Durante la cena, mio padre e Andrew conversarono piuttosto a lungo, con espressioni alquanto allegre. La signora Larson invece, ogni tanto mi lanciava qualche occhiata squadrandomi. Due colleghi di mio padre, parlavano invece con Bart Larson di qualcosa riguardante l'economia. Io come al solito mi annoiavo, non seguivo nessuna conversazione. Dopo cena, gli uomini si spostarono nell'ufficio di mio padre. Io invece, seguii mia madre, la signora Larson e la moglie di uno dei colleghi di mio padre, la signora Fray, in sala. Guardai l'orologio sul comodino e pensai al fatto che sarei potuta andare via volendo, ma la signora Larson si avvicinò picchiettandomi la mano sulla spalla. «Sì?» Domandai con un accenno di sorriso forzato.

«Come mai hai accettato di andare alla festa della signora Districk con quell'ex autista, cameriere, quel che è...?» Domandò con una lieve smorfia al ricordo.

«Non vedo perché non avrei dovuto... è un bravo ragazzo.»

«Speravo di vederti con mio figlio. Fate una bella coppia.»

Trattenni le cattive parole e le rimpiazzai con un altro sorriso forzato. «Ho deciso solo all'ultimo di andare alla festa e nemmeno Andrew in realtà sembrava intenzionato ad andarci. Quindi mi sono fatta accompagnare da quel ragazzo gentile.»

«Capisco.» Mi squadrò dall'altro verso il basso sorseggiando il suo bicchiere di vino bianco. «Ne parlerò con tua madre.»

Mi morsi di nuovo la lingua per non farmi sfuggire parole inadeguate e presi un respiro profondo. «Come vuole. Io ad ogni modo devo proprio andare.» Salutai tutte e tre e mi incamminai poi all'ufficio di mio padre. Bussai prima di entrare e con una delle mie solite scuse, ormai abituali, li salutai dicendo che per quanto mi dispiacesse, dovevo proprio andare. Ovviamente passai a salutare anche il personale prima, dopodiché, andai a prendere i vestiti che avevo indosso prima di venire qui e li infilai in un mio vecchio borsone. Andai alla macchina e partii prendendo ancora una volta la strada opposta a quella di casa. Kady mi aveva chiesto di raggiungerla al campo dove i ragazzi giocavano a basket. Era un po' tardi e a quell'ora faceva abbastanza freddo, ma non avevo voglia di tornare a casa. Raggiunsi il loro quartiere in pochi minuti e parcheggiai proprio vicino al campo. Mi infilai il giaccone con il nome dell'ospedale che, con il vestito nero che indossavo e le converse che avevo messo per guidare, stonava abbastanza. Mi incamminai verso il campetto, dove si riusciva a vedere la sagoma di due persone incappucciate. Jason e Jaden erano talmente concentrati che non credo si accorsero di me. Io ad ogni modo affiancai Kady che mi sorrise subito salutandomi.

Second Star To The RightDove le storie prendono vita. Scoprilo ora