Prologo

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Apologia: dal greco απολογία, discorso in difesa di qualcuno o qualcosa.


Settembre, 1994. Da qualche parte nei pressi di Marghera, Italia.

Il Signor Gianni Protti lancia un'occhiata fugace all'orologio posto sopra la macchinetta del cappuccino, proprio di fronte a lui.

Le sei e trentasei.

Stacca un pezzo di brioche alla marmellata e se la infila in bocca, leccando lo zucchero a velo che gli è rimasto sull'indice e sul pollice.

Due camionisti rubicondi entrano nel bar della stazione di servizio, uno di loro si schiarisce rumorosamente la gola prima di afferrare una sedia e trascinarla verso di sé, facendone stridere le gambe metalliche.

Gianni lo fissa per qualche secondo, incapace di dissimulare il fastidio.

Si ferma in quel posto ormai da anni, dovrebbe sentirsi in qualche maniera a casa, invece ogni volta è come la prima: se ne sta rannicchiato su di sé, come a voler occupare il minor spazio possibile sullo sgabello, e tiene gli occhi fissi su un giornale che crede di leggere, mentre in realtà gli occhi saettano da una parola all'altra.

Prende l'ultimo pezzo di brioche, la ingoia senza averlo quasi masticato, lascia i soldi sul bancone e imbocca l'uscita, biascicando un impercettibile "arrivederci".

L'aria mattutina comincia ad essere pungente, la bella stagione ha ceduto il posto all'autunno, impaziente di gettare il suo manto bruno sulla flora circostante.

«L'estate qui dura sempre poco» pensa fra sé con un velo di malinconia.

L'uomo intravede il suo volto grigio nella vetrata del bar, e all'improvviso realizza quanto il tempo sia passato in fretta: come i suoi capelli si siano diradati, la sua pelle raggrinzita, il naso incurvato.

Non è mai stato di bell'aspetto, ha sempre avuto un pizzico di vecchiaia in sé, persino quando era un adolescente timido e impacciato, con gli occhiali spessi e le spalle infossate; crescendo era diventato un adulto timido e impacciato, con occhiali ancora più spessi e le spalle sempre più infossate.

Ora è un maturo professore sulla soglia della pensione, con una macchina mal verniciata, un matrimonio fallito alle spalle, due figli lontani e un gatto di nome Bruno.

Si trattiene ancora qualche secondo davanti alla vetrata, un'espressione di amara rassegnazione dipinta sul volto.

Sessantuno anni suonati, una vita da inetto, un lavoro per cui ha perso l'amore, una prevedibilità nel suo quotidiano che persino lui ha cominciato a trovare insopportabilmente tediosa.

Il suo ultimo anno al Liceo, e poi?

Per quanto egli trovi stressante dover insegnare a quel branco di scimmie adolescenti, sempre più primitive e distratte, col cervello inquinato da video giochi e programmi televisivi inutili come dei sottotitoli per non vedenti, sa che quella classe è l'unico motivo valido per cui si sente obbligato ad alzarsi la mattina.

Sì, si sente patetico, uno di quei personaggi per cui nessuno fa il tifo nei romanzi, di cui anzi nessuno scrive mai, perché tanto non ci sarebbe nulla di interessante da dire, nulla di particolare da scoprire; una di quelle persone che lascia che tutto gli cada addosso, senza nemmeno provare a parare il colpo.

Uno di quegli uomini a cui la vita non ha riservato grandi sorprese o grandi sfide, se non il dovere di tenersi stretto quel poco che è stato ottenuto.

Fin dalla giovinezza, Gianni Protti aveva contemplato gli anni scorrere placidi, spettatore e mai protagonista della propria storia, mantenendo un profilo basso.

Apologia delle cattive ragazzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora