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"Io sono nel mezzo delle due cose: caos e poesia, poesia e amore; 

e di nuovo, ritorno al caos. 

Dolore, disordine, occasionale chiarezza; 

e alla fine di tutto: solo amore. Puro incanto, paura, umiliazione.

Tutto ciò viene assieme all'amore" 

- Anna Akhmatova -


Le luci della città.

Sembra tutto così vivo quando piove.

È una pioggia sottile quella che scende, impercettibile, eppure vibra di un'energia mistica: il rosso dei fari accesi, i lampioni al neon, il nero ossidiana dell'asfalto, sembrano sciogliersi, mescolarsi.

L'acqua, elemento purificatore.

È come se la pioggia, fine e incolore, potesse ripulire il di'nascente dai guai di quello precedente; come se volesse invogliare le persone a credere che il nuovo giorno porterà con sé la bellezza della rinascita.

Però non ce ne accorgiamo, si scopre a pensare Adela, e mentre riflette si volta a osservare i passeggeri dell'autobus: volti stanchi, volti assonnati o semi assopiti, volti di anziani, volti di senza tetto, volti di madri, volti di pendolari, volti di operai, volti di zingari; volti di chi inizia la giornata lavorativa, e volti di chi, come lei, l'ha appena conclusa.

Sono volti grigi, spenti.

Volti che non tradiscono emozioni, né pensieri, né ricordi, o progetti.

Non si possono nemmeno definire malinconici, persi in chissà quali ricordi. Sono volti piatti. Rassegnati.

Di quella rassegnazione alla quale ci si abitua, dopo un po'; per non dire che ci si affeziona, molto spesso.

Si può diventare dipendenti da alcuni tipi di tristezza.

Chissà quanti di loro sono stati nei suoi panni.

Nei panni di una ventenne idealista, perché del resto, chi non lo è stato da giovane?

«Che poi, la gente si è mai chiesta che cosa si chiedano gli altri? Io lo faccio continuamente. Ma forse non vorrei sapere la risposta. Ho paura che ne rimarrei delusa».

Adela si perde a fissare le minuscole gocce di pioggia che scorrono sul vetro del finestrino.

Dopo pochi istanti, riprende il suo discorso interiore: «Ma non avrebbe senso. Insomma, non posso essere solo io; ci devono pur essere altre persone là fuori che si chiedono che senso abbia tutto questo: nascere, crescere, amare, procreare, inventare, studiare, e poi morire».

Adela prosegue con quel monologo silente per un bel po', in una botta e risposta solitaria che riesce a distrarla dall'immagine del signor Ranieri steso sul letto, mentre attende di essere rapito anche lui dai suoi demoni.

Del resto, parlare da sola è un vizio che si trascina dall'infanzia, quando sorprendeva se stessa e gli altri con le domande più bizzarre: si chiedeva se era l'unica a udire una voce dentro la sua testa. Se solo lei parlasse da sola. Per un periodo, notando come gli adulti faticassero a darle risposte esaurienti alle sue domande, si convinse di essere l'unica creatura vivente a ragionare in una certa maniera.

Col tempo, Adela aveva mantenuto, per non dire potenziato, tale vena introspettiva e spirituale, che l'aveva portata a creare mille alter ego.

Le piaceva rifugiarsi nel suo mondo di sogni ad occhi aperti, mutando forma a proprio piacimento, e proiettando su tali identità fittizie, le proprie aspettative sulla sua persona futura.

Apologia delle cattive ragazzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora