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"Ho perso il bisogno di parlare. 

Quello che un tempo era il desiderio di silenzio,

ora è diventata un'urgenza".


"L'Area" è il nome che i ragazzi della zona danno a un vecchio complesso di capannoni industriali che, tra gli anni Settanta e la metà degli anni Ottanta, era stato utilizzato per la produzione di lamiere d'acciaio e strutture di vario tipo.

Quando la ditta aveva dichiarato bancarotta, i capannoni erano rimasti inutilizzati per anni, prima che un gruppo di giovani iniziasse ad utilizzarli per i loro ritrovi, trasformandoli poi in location per eventi musicali di diverso genere.

Il luogo si trova in una zona industriale ai margini della Città, e può essere raggiunto comodamente grazie alla vecchia linea ferroviaria che passa a pochi metri dal complesso.

Adela si stringe nella sua felpa, le gambe sono avvolte in un paio di collant a rete che sbucano da degli short sfrangiati.

«Che hai?», le fa Liala, la sua amica.

«Niente, ho una serata così così».

«Vedrai, ora ci sfoghiamo un po'».

Adela afferra lo spinello che Liala le porge, aspira il fumo e lo espira dalle narici.

«Voglio solo distruggermi» pensa fra sé.

L'Area è già gremita di gente, per lo più giovani, anche se i quarantenni che giocano a fare gli eterni Peter Pan sono numerosi.

«Speriamo non vengano gli sbirri» esclama Liala con la sua voce stridula.

«Li pagano per stare fuori dalle palle, o un posto abusivo di questo tipo lo avrebbero già demolito» risponde asettica Adela.

«Già, poi siamo in un luogo mezzo sperduto, ben lontani dai centri urbani».

«Fidati, se volessero rompere lo farebbero di gusto, loro non vedono l'ora che si organizzino rave così e sanno benissimo quando e dove si fanno. Probabilmente qualcuno qui del giro li fa stare buoni».

«Fico».

Liala è coetanea di Adela, era sua compagna al Liceo. Viene dalla Città.

Prima di conoscere lei, Adela aveva una vita sociale al quanto monotona, dal momento che evitava come la peste la maggior parte dei compaesani.

Liala è sempre stata una ragazza precoce: ha perso la verginità a tredici anni, fuma da quando ne aveva quattordici, ed è molto stravagante nei suoi look.

I genitori sono divorziati, lei vive con la madre, che è perennemente in giro per lavoro; per questo ha sempre goduto di una grande libertà.

Nei primi due anni di Liceo, Liala aveva snobbato Adela, reputandola una campagnola, una di "quelle del paese".

Tutto era cambiato una mattina, a scuola: Liala si era chiusa in bagno, piangendo per il tradimento del suo fidanzato dell'epoca, Nicola.

Si era ficcata due dita in gola e aveva cominciato a vomitare, nonostante lo stomaco fosse vuoto.

Quando Adela era entrata in bagno – Liala non aveva chiuso a chiave – lei le aveva urlato contro di andarsene: «Che diavolo vuole saperne una bifolca verginella di queste cose».

Adela, tuttavia, aveva tirato un lungo sospiro, aveva appoggiato le sue mani sulle spalle di Liala e aveva iniziato a confortarla.

Rimasero più di tre quarti d'ora in bagno, anche se la professoressa le aveva ripetutamente mandate a chiamare, e parlarono moltissimo.

Apologia delle cattive ragazzeDove le storie prendono vita. Scoprilo ora