CARNALIA DESIDERIA.

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Niccolò's pov.

Eravamo tornati. Faceva freddo ed io ed Emanuele ne avevamo approfittato per stenderci un po'. Ero irrequieto.
« Ti muovi parecchio, fatichi a prendere sonno? »
Mi voltai verso di lui che aveva portato un braccio dietro la testa.
« Più o meno. » biascicai.
Erano passati tre giorni. Londra l'avevamo visitata nei punti che più mi interessavano, eccetto per Buckingham Palace che ci avrebbe atteso il giorno dopo.
« Come mai? »
« Penso. »
« Pensi a Valerio? »
« Penso a tante cose diverse. »
Annuì impercettibilmente ed io mi voltai a guardare il soffitto.
« So che ti fa male » si fermò un secondo « E so anche che non è stata una decisione facile la tua. »
Fuori quella notte stava piovendo, potevo sentire la pioggia sbattere contro il tetto della casa e contro le finestre. Adoro la pioggia perché mi trasmette serenità.
« Piove sempre » sbuffò
« Perché odi tanto la pioggia? »
« Perché mi rattrista. »
« Ti fa pensare a cose brutte? »
« No. non proprio. »
« Mi rilassa. È come se ogni goccia mi togliesse di dosso tutti i cattivi pensieri che ho. »
« La pioggia non ha mai portato nulla di buono nella mia vita. Ha sempre segnato, con quel suo suono fastidioso, delle giornate cupe. »
« Giornate cupe? »
Rimase in silenzio e si sciolse in un respiro leggero. Non volle rispondere. Preferì godersi il momento. La casa era silenziosa perché tutti stavano dormendo.
« Nic » bisbigliò.
« Dimmi. »
« Scendiamo giù? »
« A quest'ora? Sveglieremmo tutti! »
« Faremo piano. Ho voglia di vedere la pioggia dalla vetrata al piano di sotto. Non mi piace ma in questo momento ne ho bisogno. »
« Andiamo » dissi.
Ci alzammo e nella maniera più silenziosa possibile, scendemmo le scale e ci accomodammo sui divani che davano sul giardino. Era visibile dalla grande vetrata.
« Vuoi che accenda la luce? » mi domandò.
« No, va bene così » parlai immerso nella mia felpa.
« Fa freddino. »
« Già" gli risposi « Tu non hai una felpa? »
« No, è in valigia. »
« Vuoi che ti prenda una coperta? »
« No, sto bene così. »
« Si vede lontano un miglio che senti freddo. »
« Shh! Non è vero » disse ironico.
« Dico sul serio, ti prendo una coperta »
Risalii nuovamente al piano di sopra e afferrai il lenzuolo del matrimoniale. Quando arrivai giù glielo buttai addosso di modo che fosse perfettamente coperto.
« Va meglio? »
« Sì, è perfetto. »
Mi sembrò strano avere ispirazione in quei momenti così piatti. Sarà stata la pioggia o magari Emanuele. Non avendo con me il quadernetto, mi appuntai sulle note del telefono il testo che poi avrei ricopiato. Mentre lo scrissi pensai un po' a tutto quello che mi era accaduto. a Valerio e a tutte le emozioni che mi aveva suscitato.

« Desiderio. »

« Ogni volta che ci penso un sorriso
spontaneo nasce sul mio volto. Ci mette un po' prima di mostrarsi perché è uno di quei sorrisi timidi e veri  che solo un cuore infranto che si prepara ad amare di nuovo può dare. Non mi aspetto che tu comprenda
cosa si prova, ma scommetto che almeno
tu una volta nella vita ti sei trovato in
questa situazione. Sì che ci sei passato, te lo leggo negli occhi furbi e ridenti. Gli stessi occhi grandi che se pur velati, nascondono un fiume di lacrime pronto a iniziare il suo percorso lungo le guance. Serri le labbra in segno di protesta nei tuoi stessi confronti, mentre con i polpastrelli accarezzi  una delle tue ciocche fuori posto e la arricci nervoso. Poi arrivo io e cala il silenzio, un silenzio che neanche la notte è in grado di regalare. Un silenzio che può essere in grado di compiacerti e tormentarti. Ci guardiamo, ci ignoriamo e fingiamo che nulla sia
mai accaduto. Finché uno dei due, anche per sbaglio, sfiora l'altro e la testa inizia il suo viaggio. Il cuore concerne tutto quanto e lo trasforma in un bisogno sfrenato di dimostrazioni che noi sappiamo comunque non arriveranno. Droga pura, respiro intenso e tepore estivo sulla pelle fredda. Siamo questo. Un dipinto scolorito, una foto sgualcita e forse anche sguardi persi alla luna, sono parte di quello che io continuo a chiamare desiderio e quel desiderio sei tu. »
« Manu, tutto okay? »
« Sì, sto bene. »
« Stai tremando. »
« Non è niente, adesso mi passa. »
« Magari hai la febbre, fammi controllare. »
« No Nic, sul serio. Adesso passa. »
Rimasi a guardarlo senza dire nulla. Stava seduto sulla poltrona di fronte a me e continuava a tremolare battendo i denti.
« Non è possibile tremare così tanto con una coperta addosso. Per me c'è qualcosa che non va. »
Sbuffò e si accovacciò.
« Dai, andiamo su. »
« Mi piace stare qui » mi disse.
« Ma se hai detto che odi la pioggia. »
Seguì un lungo momento di silenzio. Nessuno dei due aveva nulla da dire e stavamo entrambi concentrati sulla pioggia ed i tuoni che squarciavano la notte.
« Inizi a preoccuparmi. »
« Nic, ancora con questa storia? »
« Ti sento debole dalla voce. »
« È solo una tua impressione » tossì.
« A quanto pare no. »
« Stai tranquillo, cerca di dormire. »
Mi alzai stanco di continuare il tira e molla con lui che cocciuto continuava ad insistere di stare bene. Mi avvicinai e gli misi la mano sulla fronte. Era bollente.
« Bruci! » gli dissi allarmato.
« No. Sto bene. »
Stava sudando come se avesse corso una delle maratone più lunghe al mondo e pensai che magari la febbre stesse iniziando a scendere.
« Sei...sudaticcio. »
« Be', siamo in estate. »
Si tolse di dosso il lenzuolo e lo lasciò scivolare a terra. Si strinse forte lo stomaco e cadde a terra sputando sangue sulla moquette. Sentii le viscere contrarsi. Mi alzai e di corsa mi diressi da sua madre urlando.
« Mamma » disse guardandosi le mani colme del suo sangue.
La casa passò dallo stato di quiete ad uno di caos. Riccardo e Lea stavano seduti accanto ad Emanuele che continuava a vomitare sangue. Lui mi guardava con gli occhi contornati da dei lividi violacei e non aveva neppure la forza di parlare.
« Vieni giovanotto, andiamo » mi disse Patrick.
« N-no, io devo stare qui con lui » risposi.
« Fidati, è meglio se per adesso gli lasciamo i suoi spazi. »
« Dobbiamo portarlo in ospedale »  convenne Riccardo « Sarebbe meglio che venissero con l'ambulanza. »
« Va tutto bene tesoro, sta' tranquillo » nel frattempo Lea continuava a rassicurarlo.
Era come stesse abbandonando poco alla volta il suo corpo. Debole, pallido e contornato da tanti lividi lungo le braccia e la faccia. Le pupille erano come scomparse. Sembrava star morendo pian piano ed io non potevo permettere che accadesse. I soccorsi per fortuna, furono rapidi ad arrivare. Dissero che l'avrebbero portato all'ospedale St. Thomas. Lo vidi dietro le portiere che poi vennero chiuse prima che l'ambulanza partisse. Quando arrivammo trovammo i genitori di Emanuele seduti in sala d'attesa. Lui l'avevano chiuso dietro una grande porta per fare degli accertamenti e dei controlli più approfonditi.  Dovemmo aspettare circa due ore per avere dei chiarimenti sulle sue condizioni di salute. E a comunicarli venne un infermiere.
Comunicò che Emanuele fosse leucemico. Lea mi chiese di tradurre.
« Mi dispiace Lea, Emanuele ha la leucemia. »

SO BADARE A ME STESSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora