ARTIFEX.

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Niccolo's pov.

Ludovica chiacchierava e scherzava con Emanuele con una bontà che non riesco nemmeno a spiegare scrivendo. Ed io, sapendo che lui fosse in ottime mani, mi accoccolai un po' a Valerio. Non so di cosa avessero discusso lui e lei, ma glielo avrei chiesto non appena saremmo stati da soli. Sembrava quasi turbato. Fuori nel frattempo aveva ripreso a piovere. « Avete saputo? Hanno spostato di corso la professoressa Malandrino » disse Ludovica.
« Ben le sta » rise Emanuele.
« A me piaceva » strinsi le spalle.
Quando incontrai il viso di Valerio vidi i suoi occhi così verdi che  mi sembrò di specchiarmi dentro  ad una foresta fitta di liane e grosse foglie. Ma entrare senza una mappa poteva essere fatale.
« A te piaceva perché te studiavi. »
« Questo è quello che dovrebbe fare chiunque. »
« Concordo con Niccolò » si aggiunse Ludovica in mio soccorso.
« Non cospirate contro di me » lui mise il broncio.
La mano di Valerio era poggiata sulla mia coscia e la stringeva salda. Il calore del suo palmo si stava riversando lungo tutta la mia gamba. Gli altri era inevitabile che lo notassero, ma ciononostante non dissero nulla. Continuarono a ridere e scherzare tra di loro come se niente fosse.
« Vieni con me in balcone? » gli domandai.
Lui annuì e ci alzammo.
« Mi spieghi cosa ti è successo? » Lo guardai e la sua foresta pluviale incontrò l'arido del deserto dei miei occhi. Scosse la testa e si mise a braccia conserte appoggiato al muro.
« Ho discusso con Ludovica. »
« E...? »
« Quindi mi da sui nervi averla attorno. »
« Secondo me dovresti solo conoscerla un po' meglio. Ti assicuro che è molto meglio di quel che sembra. »
« Niccolò, la conosco da anni ormai. »
« Di cosa avete discusso? »
« Sa di me ed Andrea. Del processo, di tutto quanto. »
« Non credo sia così sfacciata da girare il coltello nella piaga » dissi velocemente.
« Non ho paura che lo dica a qualcuno. Mi scoccia semplicemente che sia negli affari miei » la sua voce divenne più bassa e roca.
« Sta' calmo » gli presi la mano e lui lasciò.
Alzai lo sguardo confuso e lui non mi guardò nemmeno. Distolse completamente la sua attenzione da me per poggiarla dovunque i miei occhi non guardassero. La pioggia continuava a cadere ma non ci raggiungeva. L'aria si era incredibilmente rinfrescata. La mascella di Valerio era serrata, i pugni erano stretti e le nocche della mano gli sporgevano spigolose.
« Se non vuoi parlarmi lo rispetto. » Mi chiusi la grande finestra alle spalle e i presenti nella stanza mi guardarono confusi. Sapevo che Emanuele aveva capito che avessimo discusso. « Vi va una partita a Monopoli? »
Poi si alzò debolmente ed andò a prendere la scatola. Nel frattempo lei cercava Valerio con lo sguardo ed io le sorrisi.
« È in balcone. »
« Oh, va bene » annuì.
« Che cosa avete avuto voi due? »
« Ha fatto un po' il rompi palle. »
« E tu che hai fatto? »
« Mi sono comportata di conseguenza. »
« Toccando i suoi punti deboli? » mi accigliai.
« Parla chiaramente Niccolò. Non temo i confronti. »
« Perfetto, meglio. Io non voglio litigare. »
« Ed allora perché lo difendi? »
« Perché è il mio ragazzo » dissi nello stesso momento in cui Emanuele rientrò nella stanza. Mi guardò sorpreso e continuò ad avanzare verso il tavolo su cui Ludovica aveva svogliatamente poggiato la testa.
« Quindi voi due? »
« Sì »  risposi fermamente.
« Da quanto? » domandò Emanuele.
« Se consideriamo tutti i nostri tira e molla, più di quattro mesi ormai. »
« Non credo valgano. »
« Non importa, mi piace credere di sì. »
Proseguimmo il pomeriggio giocando a Monopoli mentre Valerio appariva ogni tanto nella stanza cercando un modo ed un altro per richiamare la mia attenzione. Ma sapeva anche che non volevo coinvolgere più nessuno nelle nostre faccende private. Quando si fece ormai sera, ci congedammo tutti quanti tranne Ludovica che decise di fare compagnia ad Emanuele visto che i suoi non sarebbero tornati prima delle ventitré.

« Valerio » lo chiamai mentre stavamo scendendo le scale del condominio per andare a casa e lui si voltò « Non fatevi la guerra per favore. » Quando gli passai accanto lo sentii mancare un respiro e reprimere l'impulso di afferrarmi per il polso. Stava cercando di cambiare i suoi modi. Per me non doveva farlo. Se mi ero innamorato di lui lo avevo fatto proprio per tutti i suoi innumerevoli difetti. Credevo che all'infuori di lui non sarei riuscito a farmi piacere nessun altro e sapete perché? Perchè per me rappresentava il massimo esponente di tutto. Visto come sono andate le cose, potrei dire che è meglio così. Ma da quando non sono più a Roma sento la mancanza di tutto quello che un tempo era abitudine. Lui c'era sempre nelle mie giornate.
« Non fare l'arrabbiato con me Niccolò. »
« Ti ricordo che hai iniziato tu » mi voltai.
« Continuavi ad insistere di smettere di fare la guerra a Ludovica. Ma tu sai che non me ne importa niente di lei » ringhiò « Non importa, non voglio litigare. » Venne verso di me e mi prese la mano trascinandomi con sé. Arrivati alla vespa mi mise il casco. « Come ai vecchi tempi » sorrise.
« Non ce la faccio ad essere arrabbiato con te. » Mi diede un bacio sulla fronte.
« Sali, prima che mi lasci a piedi. »
« Potrei andare da solo. Sto qui accanto. »
« È il tragitto che per me conta. Sembra stupido da dire, ma ho bisogno che tu mi stringa di nuovo e il saperti a casa mi rassicurerebbe. » Lo guardai e sorrisi.
« Fermati a cenare da me. Basterebbe solo che io avvisassi mia madre. »
« Non lo so. Non vorrei disturbare. »
« Va bene allora. Ci sono » rispose ed io gli diedi un bacio sulle labbra. Il vento freddo ci feriva la pelle eppure sentivo di essere al riparo. Come se Valerio avesse eretto una barriera in cui per un solo momento, esistevamo soltanto noi. Ma poi penso che non sia stata abbastanza da fermare il dolore che ci ha colpiti.
« Andiamo o rischiamo di fare tardi. »
Ad attenderci c'erano i miei fratelli, Alessandro, Alice e mia madre.
« Salve a tutti » Valerio si schiarì la voce.
« Ciao » salutarono mia madre e mia sorella.
Matteo finse che non esistessimo. I miei nipoti andarono da Valerio iniziandolo a tempestare di domande. Lui sembrava essere a suo agio. Rispose pazientemente ad entrambi e sembrò fare anche bella impressione su mia madre e mia sorella. Marta aveva già capito. Quella sera scrissi di me. Di lui. Di noi.
« Sei un quadro dalle sfumature calde e intense mentre io, disgraziatamente imperfetto, sono il pennello sudicio di colori. Giaccio al suolo in assenza di impiego. Mi rannicchio, piango e lascio che le lacrime pesanti e dure squarcino la mia iride
scura in cui ancheggia incerto il tuo riflesso. Mi guardi, mi scruti e taci mentre il peso del mondo ci schiaccia un po' alla volta. Ti contemplo. Penso a quanto possa essere rischioso spargere un'altra pennellata e, nella vastità che l'emotività compone, mi avvicino. Colore dopo colore. Lasciando una scia di mille sgargianti macchie altrettanto imperfette. Ti raggiungo. I miei toni si incontrano con i tuoi, si fondono e fanno l'amore. Mi accarezzi con le tue mille
affinità e quando dopotutto compongo la tua tela, non sei più mio. Tu, prigioniero di centinaia di occhi e di mille e incessanti attenzioni. Via da me e dalle mie scie di colore. »

SO BADARE A ME STESSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora