CAPELLUS CRISPUS.

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Niccolò's pov.

Stavo tornando a casa e Valerio, nonostante io cercassi in tutti i modi di liberarmene, si era deciso ad accompagnarmi fino al portone seguendomi con la sua vespa rumorosa.
« Adesso pensi di lasciarmi in pace o vuoi fare una sosta a casa mia per salutare mia madre? »
Parcheggiò e venne da me togliendosi il casco. Aveva l'aria da duro.
« Io e te dobbiamo parlare. »
« Tu devi lasciarmi in pace! »
« Non finché non parleremo. »
Decisi di ignorarlo.
« È così che affronti le cose? » urlò.
Mi fermai e stringendo i pugni mi voltai.
« Sono stanco di averti tra i piedi. »
« Io non credo che mi stancherò mai di te. »
Notò che ad ogni suo passo io stessi indietreggiando ed allora sorrise.
« Non fare così. Pare che io voglia farti del male. »
« Mi stai costringendo a parlare con te. »
Parve che dal modo in cui si comportasse, volesse trasmettermi che non aveva nulla da perdere.
« Ormai ti conosco » dissi.
« Conosci soltanto quello che voglio che tu conosca. »
Lo guardai impassibile.
« Non mi spaventi. »
« Il mio obbiettivo non è mai stato questo. »
« Però parli come se dovessi avere paura » risposi « Mettimi alla prova e vediamo quante cose io conosco sul tuo conto. »
« È una cosa stupida, Niccolò. »
« Buonanotte allora » mi voltai.
« Questo non è parlare. »
Mi tirò a se. Era caldo. I suoi occhi verdi si erano perfettamente mimetizzati con i colori della notte. Le tonalità intense e scure come se avessero divorato tutta la luce che c'era intorno.
« Conosco quello sguardo. »
« Tutti noi abbiamo dei demoni interiori » ringhiò « E a volte questi escono fuori. »
Aveva i pugni stretti e la mascella serrata. I suoi lineamenti che ricordavo tanto gentili adesso erano sinistri. Tanto da far paura.
« Non avrai mai paura di me? »
« No, perché sono sicuro di conoscerti. »
Quando gli fui vicino abbastanza da sentire il suo respiro, lo guardai dritto negli occhi e non distolsi lo sguardo.
« Non mi importa dei tuoi demoni interiori. Non mi è mai importato! Ho sempre creduto che tu fossi abbastanza tenace da saperli tenere a bada. »
Stava provando paura, ma paura per cosa?
« Notte Niccolò. »
Rimasi a fissarlo svanire pian piano in lontananza e poi salii a casa con il cuore che mi batteva all'impazzata. Il giorno seguente pioveva. Ero andato a trovare Emanuele a casa come ormai di  routine. Doveva essere una giornata felice per lui. Avrebbe incontrato Ludovica finalmente.
« Non sei contento? » domandai.
« Piove anche oggi. Non mi fido. »
Aveva ripreso a muoversi senza molti problemi, ma solo perché gli effetti della chemioterapia stavano svanendo.
« Devi farti bello e mi raccomando, buttati. »
« Non mi rimane altra scelta. Potrei morire da un momento all'altro. Carpe diem, si dice così? »
« Sì, si dice così. E no, non morirai. »
Avevo i capelli di nuovo lunghi ed avevo deciso di non tagliarli per un altro po'.
« Te con Valerio? Tutto bene? »
« Non ci facciamo più la guerra. »
« È un buon primo passo. »
« Immagino di sì. »
« Perché non dovrebbe? » si voltò verso di me assottigliando gli occhi curioso « Vi ho sentiti discutere nelle scale. »
« Oh Cristo » ridacchiai imbarazzato.
« Sai perché non sono venuto a dividervi? »
« No. »
« Perché sapevo che vi avrebbe fatto bene. »
« Adesso prevedi anche il futuro? »
« No. Il cancro non mi ha dato questo super potere. »
Il sole aveva continuato ad essere coperto e le nuvole grigie a muoversi velocemente per via delle raffiche di vento. L'aria era diventata improvvisamente più fresca e si poteva sentire l'odore di pioggia dal terreno e dalle piante circostanti.

« Nic! » mi chiamò dal bagno.
« Dimmi! » gli urlai di rimando.
« Ti voglio bene! »
« Anche io. Tanto! » sorrisi.
Avevo nel frattempo fatto partire un po' di musica dal telefono e lo sentivo canticchiare dal bagno. Era come se mi avessero mandato indietro il mio migliore amico per come era. Quello seduto su quella poltrona il giorno prima non era lui. Era una sua versione decisamente meno fedele.
« Che eleganza! » risi vedendolo in camicia.
« Mi sento un confetto » blaterò lui.
« Stai bene così. »
Non rispose. Acconciò i ricci scombinati davanti allo specchio e poi mi fece cenno che fosse ora di andare, così mi alzai. Quando fummo fuori, aspettammo Valerio nel punto in cui ci eravamo dati appuntamento e poi ci dirigemmo verso il parco dove dovevamo incontrare gli altri.
« Come ti senti? » chiese ad Emanuele.
« Sto bene, ce la posso fare. »
Valerio ci guardava silenziosamente. Non so a cosa stesse pensando ma sono sicuro che una parte di lui fosse gelosa di Emanuele. In lontananza scorsi Anita, Lorenzo, Ludovica e Federico, il gemello di Nilde. Quando ci videro, ci vennero subito incontro e ci salutarono.
« Venite, vi presentiamo gli altri » ci trascinò Anita prendendoci per i polsi.
« Lei è Ludovica. »
« Ciao Ludo, tutto bene? » le sorrisi io e poi tirai con me Emanuele che da solo non ce l'avrebbe di certo fatta.
« Sì Nic, tutto bene » ricambiò il sorriso e poi lo guardò « Ciao anche a te, come stai? »
« B-bene, voglio dire. Perché non dovrebbe? »
« Non è detto che vada sempre bene » lei fece spallucce ed inarcò un sopracciglio non molto folto.
Lui annuì.
« Passata bene l'estate? Tra poco si torna a scuola. »
« Sì, tutto perfetto. Non sono entusiasta, ma è giusto che si ritorni » le rispose.
Se la stava cavando bene senza che io lo spronassi a fare o dire qualcosa. Anita mi portò da un gruppo di ragazze che chiacchieravano tranquille tra di loro. Erano intente a commentare gli outfit di alcune modelle di Gucci e mi sembrò quasi scortese interromperle. Fu poi il turno Sam, il fratello maggiore di Ludovica. Per quanto riguarda le altre, mi si presentarono  Victoria che amava essere chiamata semplicemente Vic, Clarissa, Gaia, Matilde e Simona.
« Sì, molto emozionante » si avvicinò Valerio « Posso rubarvelo? » le guardò con aria interrogativa. Annuirono.

« Riguarda ieri sera. »
« Di che si tratta? »
« La verità è che mi piace stuzzicarti e provocarti. Mi manca poter essere qualcosa di concreto per te. »
« Ti manca? Non capisco. »
« Sì, sei l'unico che mi ha veramente preso. »
« Ti ho preso » ripetei.
« Sì, è così". »
« E cosa ti manca? » domandai curioso.
« Mi manca poterti toccare, poterti fare arrossire. Mi manca la colazione a letto, mi manca il tuo profumo di vaniglia. Pare che tu mi abbia estraniato da tutto. »
« Perché è così che è andata » strinsi le spalle.
Non aveva detto nulla che non fosse stato. Avevo preso la decisione di darci un taglio quella volta a Londra. Ci eravamo barricati dentro a mura di cinta altissime costruendole per circa due mesi, per evitarci, per non parlarci e per non toccarci. Poi è arrivato Emanuele e ci sono voluti due minuti a raderle al tappeto.
« E non ti manca un po' tutto quello che eravamo? Hai paura che io ti ferisca? »
« Sì. »
« Sono venuto qui. Ho abbattuto i miei muri di difesa e sono anche venuto a chiederti di riprovarci » fissò per tutto il tempo l'asfalto.
« Valerio, io... » ma mi interruppe.
« Oh mio Dio! »
« Cosa? » domandai voltandomi.
Vidi Emanuele guardare prima Ludovica e poi me. Era diverso. Era spaventato. Una grande ciocca di capelli gli era rimasta attaccata alla mano. Lei lo guardò confusa e spaventata allo stesso tempo, così come tutti gli altri che avevano smesso di parlare.
« Cazzo. »

SO BADARE A ME STESSODove le storie prendono vita. Scoprilo ora