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Il lunedì dopo Pasqua era l'ultimo giorno che Harry e Draco avevano a disposizione, l'ultimo giorno da passare soli e quasi completamente indisturbati. Una settimana prima, Harry non si sarebbe mai aspettato neanche di toccare Draco Malfoy; adesso, invece, sembrava essere il centro della sua attenzione e stargli lontano diventava sempre più difficile.

     La cosa più incredibile dell'intera situazione è che era stato Malfoy stesso ad ammettere i suoi sentimenti per primo. E, sorprendentemente, Harry voleva costringersi a credere che si trattasse di dimostrazioni genuine. Aveva il timore di non potersi fidare di Draco, reduce da sei anni di ostilità e cattiveria reciproca, ma quando vedeva quei meravigliosi occhi chiari fermarsi sui suoi non faceva altro che sperare. Sperava che non fosse tutta un'illusione, che non fosse una trappola, che quelle giornate non finissero così in fretta. Sperava di non dovere mai ritrovarsi nella posizione di spiegare i suoi sentimenti a chi non avrebbe capito. Prendeva quelle due iridi insicure e senza speranza e le trasformava nel suo appiglio più grande.

     Tutto si stava muovendo in un modo talmente veloce da fargli girare la testa, i pochi momenti in cui si fermava a pensarci. Harry non ne aveva fatto parola con nessuno; neanche a Ron e Hermione, i suoi amici più fidati, che sicuramente gli avrebbero lanciato una maledizione soltanto per essersi immaginato in situazioni tenere con Malfoy. Non c'era stato momento in cui Draco non aveva mostrato odio verso Harry e i suoi alleati: a lungo il bullismo era stata la sua arma principale. Harry, Ron e Hermione odiavano Draco allo stesso modo in cui lui odiava loro. Da generazioni, i Malfoy si guardavano bene dai maghi con origini Babbane e dai Babbani stessi. Essendo Hermione figlia di Babbani e Ron appartenente a una famiglia simpatizzante, Malfoy non poté che essere indottrinato a considerarli rispettivamente un abominio e un traditore del proprio sangue. Harry, secondo la genetica del mondo magico, era sullo stesso livello del temuto e rispettato Lord Voldemort, ma non perdeva mai l'occasione di rispondere a tono agli insulti discriminatori di Malfoy.

     Sospirò, mettendosi più comodo sul suo letto e rinunciando ufficialmente a Trasfigurazione. Studiare in presenza di Malfoy era difficile, ma forse farlo senza di lui lo era il doppio. Riordinò le pergamene di appunti in un malloppo disordinato, che infilò in mezzo al suo libro e abbandonò sul comodino. Sentì l'enorme orologio di Hogwarts rintoccare sette volte: anche questa giornata stava per finire.

     Pochi istanti dopo, Edvige lo raggiunse alla finestra. Harry notò che portava al becco un piccolo rotolo pergamena. Lo afferrò e, dopo avere dato da mangiare al suo amato gufo, ne lesse il contenuto.

Potter,
     ultimo giorno. Raggiungimi in cortile.

     Il biglietto non era firmato, ma non poteva essere stato mandato da nessun altro. Harry non esitò: si lavò i denti velocemente, cercò invano di dare una forma ai suoi capelli, si infilò una felpa pulita e uscì dai dormitori, dirigendosi verso il luogo indicato nella calma del pomeriggio inoltrato.

     Quando arrivò in cortile non c'era traccia di Malfoy. Fece il suo cognome un paio di volte ma, non ricevendo risposta, decise di aspettarlo pazientemente e sedersi ai bordi della fontana. Sorrise lievemente, ricordandosi che, il giorno in cui aveva scambiato il suo primo bacio con Draco, era stato proprio il biondo ad aspettarlo nello stesso luogo. Al contrario, però, Harry non lo aveva trovato con un sorriso sul volto: sembrava invece contrariato dopo un breve colloquio con Narcissa, sua madre, e il professor Piton. 

     Diversi secondi dopo, Harry sentì fischiettare. «Potter.» Malfoy aveva adesso conquistato la sua attenzione. Harry si accorse che era poggiato con la schiena a una delle colonne del chiostro, dietro di lui. «Aspettavi qualcuno?»

     Harry si voltò verso di lui, mantenendo il suo sorriso. «Sì, in realtà» rispose. «Aspettavo questo ragazzo del sesto anno, affascinante, arrogante, un po' troppo altezzoso. Mi ha mandato un gufo.»

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