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Draco non aveva voluto sentire ragioni per giorni. Harry aveva cercato disperatamente di ristabilire un qualsiasi contatto con lui, ma non c'era niente da fare. Non rispondeva al codice Morse, anzi: fingeva di non riconoscerlo nemmeno. Lo strattonava ogni volta che Harry cercava di fermarlo in corridoio, dimenandosi e tornando imbronciato dal suo gruppo di amici. Ma soprattutto, Draco non lo sfiorava più con la mano, e Harry pensava di poter impazzire a causa di questa piccola, ma fondamentale mancanza.

Non aveva fatto parola con nessuno del loro litigio, ma era sicuro che Hermione avesse percepito qualcosa. Gli rivolgeva uno sguardo più comprensivo, quasi come se avesse pietà di lui per essere coinvolto con una persona così problematica e diversa da lui, dai suoi amici. Ciò che più innervosiva Harry era che Hermione aveva ragione.

Eppure, Draco Malfoy non gli era mai sembrato così simile e vicino a lui come nell'ultimo periodo. Harry aveva imparato a conoscere il giovane profondamente umano e fragile che si celava dietro le apparenze a lui imposte. Harry era l'unico capace di strappargli dei sorrisi sinceri. Harry aveva accarezzato quelle guance pallide e si era avvicinato anche al lato più oscuro della sua anima. Harry era riuscito ad avvicinarsi al Draco che vedevano in pochi, al ragazzino usato da forze più potenti per quello che sembrava il bene superiore. Proprio come lui.

Quella situazione era dannatamente peggiore della quotidianità che dal primo anno aveva condiviso con Malfoy; ricca, volente o nolente, di battibecchi o di scontri. Avevano ora perfino smesso di scontrarsi, lasciando spazio alla pura e distruttiva indifferenza. Harry si chiedeva spesso come potesse sentirsi Draco, ma leggerlo non era così facile. Non nel momento in cui era tornato a rinchiudersi nel suo guscio e a non fare trasparire alcuna emozione.

Desiderava parlargli. Tutto ciò che gli bastava erano cinque minuti in una stanza privata con lui, in cui avrebbe innanzitutto chiesto scusa per averlo offeso e attaccato durante il loro ultimo incontro. Draco avrebbe potuto accettare le sue scuse, avvolgerlo tra le sue braccia e perdonarlo; o avrebbe potuto arrabbiarsi ulteriormente e cancellarlo per sempre dalla sua vita. Importava poco, ormai, tornare a baciarsi o a picchiarsi. Quella stremante indifferenza, tuttavia, era insopportabile, e Harry avrebbe dato qualsiasi cosa pur di vederla finire.

Il cinque maggio, mentre cenava con i suoi amici in Sala Grande, Harry stava seriamente prendendo in considerazione l'idea di confrontarsi con il professor Piton. L'idea non lo allettava affatto, ma era l'ultima possibilità rimasta di riavvicinarsi a Draco. Mi riterrà ridicolo, realizzò scrutandolo al tavolo dei professori. Penserà di ritrovarsi in mezzo a uno stupido dramma adolescenziale, e mi tormenterà per il resto dei miei giorni.

«Santo cielo, Hermione, vuoi piantarla?» imprecò Ron, così ad alta voce che alcuni studenti di Corvonero interruppero il loro pasto e si voltarono curiosi verso il tavolo di Grifondoro.

Hermione sbuffò sonoramente, sollevando il suo libro di Aritmanzia dal tavolo e stringendoselo al petto. Aveva cominciato a portare con sé i libri da studiare anche mentre mangiava, convinta di non avere abbastanza tempo per memorizzare tutto in vista degli esami. Ron, naturalmente, ne era terribilmente infastidito; ma Harry sapeva che in fondo stava soltanto nascondendo una genuina preoccupazione verso la sua ragazza.

«Ne ho bisogno» insistette Hermione, «quest'anno Aritmanzia è semplicemente impossibile. Non posso non essere la prima della classe, devo battere-». Si bloccò quando realizzò quale nome stesse per pronunciare, e Harry capì all'istante. «Comunque studierò più tardi nella sala comune, se sei più contento» concluse frettolosa.

Harry sentì Ron acconsentire compiaciuto mentre, lievemente distratto, aveva ricominciato a fissare Piton come in cerca di un segno. Il professore non incontrò il suo sguardo se non qualche minuto dopo, ma non sembrò particolarmente felice di sentirsi osservato.

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