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Era un ragazzo speciale.

Quante volte, crescendo, aveva sentito quella frase? Gliela rivolgevano familiari, conoscenti, amici di famiglia e perfino insegnanti. Questi ultimi, tuttavia, spesso consideravano la sua una peculiarità negativa.

Aveva sempre camminato a testa alta, ovunque si trovasse, a sottolineare la sua superiorità fisica e sociale. Centinaia di beni materiali glielo ricordavano costantemente; alcuni li custodiva in casa, altri li ostentava con convinzione, portandoli con sé ogni giorno. Il materialismo adornava la sua aura superficiale e lo proteggeva, mantenendolo a una certa distanza dal resto delle persone.

     Inoltre, chiunque desiderava le sue ricchezze e, di conseguenza, desiderava lui. Durante la sua adolescenza aveva attirato l'attenzione di numerosi coetanei, ragazzi e ragazze, ma aveva fatto in modo che nessuno si avvicinasse troppo. Anche quando non era sicuro del suo posto nel mondo, sapeva di essere terribilmente affascinante e irraggiungibile agli altri. E questo lo compiaceva.

Almeno fino a un anno e mezzo prima.

Chiaramente non aveva smesso di curarsi sotto un punto di vista estetico. Anelli, spille, cravatte e completi lucidi e di lusso. Pelle morbida, più bianca del latte e curata senza troppi sforzi. Capelli perfettamente a posto, neanche una ciocca diversa o distaccata dalle altre. Tuttavia la bellezza esteriore cominciava a provocargli un certo sdegno, come se non fosse meritata o se non gli si addicesse.

Durante tutta la sua vita aveva visto fotografie di criminali famosi nell'intero mondo magico. Ognuno di loro aveva un aspetto trasandato, spaventoso, sporco. Ad Azkaban ogni prigioniero indossava la stessa uniforme a righe, larga e consunta. Per Merlino, lo stesso Signore Oscuro non osava abbellirsi: tutto ciò che portava era una veste vecchia, scura e priva di forma, rigorosamente lontana dal tipico aspetto Babbano. E il suo volto era anche peggio.

Il giovane contemplava il suo riflesso allo specchio ogni mattina, consapevole che non era così che si vestivano gli assassini. Ma, in fondo, lui era un assassino particolare. Portava l'orrore dei suoi atti dentro di sé, non lo estendeva agli abiti o alle acconciature. E soprattutto, lui non era neanche un vero e proprio assassino. Qualcun altro aveva ucciso per lui.

Non cambiava comunque l'evidenza: era stato complice di un reato grave. La missione iniziale era stata affidata a lui, ma non era stato capace di portarla a termine. Alla fine nessuno, neanche il Signor Oscuro, ne aveva fatto un grosso problema. Lui era l'unica persona a sentire centinaia di voci nella sua testa strillare: «Codardo!», «Assassino!», «Vergogna della tua stessa famiglia!». Solo lui. Solo il nome nel quale spesso faceva fatica a riconoscersi. Solo Draco.

Il professor Piton lo aveva coperto più di chiunque altro, a Hogwarts. Aveva tolto una vita al suo posto, l'aveva aiutato a fuggire e a tornare a casa. Aveva rassicurato sua madre quando, una volta Materializzati di fronte a Villa Malfoy, l'avevano trovata: aspettava il suo bambino in ginocchio sui gradini davanti all'atrio, e lo aveva accolto piangendo, stremata dall'isteria e dalla preoccupazione. Ma soprattutto, Piton era diventato preside, e non gli aveva negato la lettera per il settimo anno a Hogwarts. Tutti sapevano che era un assassino, ma i Mangiamorte erano entrati comunque nella scuola e avevano stabilito il terrore. Studenti ed insegnanti evitavano di parlare della morte di Albus Silente. Perfino coloro che gli erano più affezionati, come la vicepreside McGonagall, rimanevano in silenzio, seppur mantenendo un portamento malinconico.

E lui, dietro le quinte ma in guardia, stava ad ascoltare per assicurarsi di essere ancora protetto. Ma nessuno sospettava di lui. Chi avrebbe mai sospettato di un diciassettenne calmo e indifeso, costantemente sotto l'ala del peggior preside che Hogwarts avesse ospitato dopo Dolores Umbridge?

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