La notte, il sogno che occupò la mia mente fu ben più strano.
Era sera, notte, forse. Ero per strada ma non vedevo altro che un rabbrividente buio che mi circondava, spezzato solo dalla fievole luce di qualche lampione distante. Quell'atmosfera alla Tim Burton mi metteva i brividi. Pensa, mi dissi. Dove ti trovi? Non lo sapevo, era questo il punto: ero persa in chissà quale strano angolo remoto della terra, nei miei pensieri. Stavo sognando.
Decisi che stavo sognando perché l'aria gelida che vedevo condensarsi in piccole nuvolette bianche uscenti dalla mia bocca era decisamente fuori luogo in una notte di fine settembre. Era troppo. Mi strinsi nel mio cappotto marrone e continuai a camminare strisciando i piedi, quando un coltellino mi si piantò davanti, sfiorandomi la gola.
«Stai zitta o giuro su Dio che ti ammazzo» diceva la voce di qualcuno nascosto nell'ombra.
I brividi di freddo si trasformarono in brividi di terrore, iniziai a tremare, più di prima. Deglutii a fatica, sentendo la saliva troppo densa, dentro la bocca. «Chi... che cosa...?»
«Zitta» m'intimò la nuvoletta d'aria condensata. Una mano mi afferrò per il cappotto e mi trascinò da qualche parte, in un angolo. Per un attimo temetti il peggio, temetti che volesse uccidermi. O peggio. Deglutii un altro grumo denso di saliva. «Zitta e guarda.» mi costrinse.
Sentii delle urla provenire da un vicolo, urla di donna e poi un pianto. Un bambino piangeva, forse la donna stava partorendo... per strada? Era mai possibile che qualcuno nel ventunesimo secolo partorisse in un vicolo buio, da sola, di notte? Fui scossa da un fremito e mi accorsi solo allora che la figura col coltello era sparita, volatilizzata nel nulla. Il mio respiro si fece più affannato.
Stai sognando cercavo di convincermi. Ma si sa che i sogni non sembrano mai sogni. Sembrano sempre reali, troppo reali, anche quando sfiorano l'inverosimile.
Un altro grido gelido mi fece drizzare la spina dorsale. L'istinto mi diceva di correre, il buon senso diceva nella direzione opposta, l'animo di correre verso il vicolo, di aiutare la donna.
Rimasi bloccata dal panico per un po', finché un altro grido non mi fece correre verso il vicolo buio.
Sentivo qualcuno respirare profondamente, velocemente. Ma non era la donna, era un respiro più profondo, sembrava quello di un fumatore. Passi davanti a me, nell'oscurità. Un corpo esanime cadde ai miei piedi. Una giovane donna, ferita al petto, all'altezza del cuore, giaceva sull'asfalto freddo, colorandolo di un rosso scarlatto. Lanciai un urlo, accorgendomi troppo tardi del grave errore che avevo appena fatto: la figura nascosta nell'ombra, allora, interruppe il suo respiro affannato.
Ero sicura che a breve avrei visto l'assassino negli occhi, sapevo che c'erano ottime probabilità che mi facesse fuori, che con un battito di ciglia mi avrebbe trapassato il petto con un'arma. Ma tutto quello che vidi fu il silenzio.
Aprii gli occhi.
Ero sudata, arrotolata in due strati di lenzuolo bianco ed ero sul ciglio del letto, in bilico, pronta a cadere giù. Mi tirai su e, in un attimo, mi convinsi che non c'era nessuno dietro l'oscurità della mia camera. Nessun uomo col coltello, nessuna donna assassinata, nessun bambino che piangeva. Che fine aveva fatto il bambino del mio sogno? Non l'avevo visto e non l'avevo sentito più piangere. Poteva essere stato ucciso dal malvivente? Presi un respiro e mi convinsi che un sogno non è altro che un sogno.
Proprio in quel momento, una figura si mosse davanti ai miei occhi. Mi pietrificai all'istante: c'era qualcuno, era chiaro.
Senza voltarmi cercai tentoni la luce, tastando col palmo della mano il muro. Ma quando la debole luce della lampadina invase la stanza, le sagome della mia mente svanirono al lampo. Feci un respiro profondo.
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Il Pezzo Mancante
ParanormalGiulia è una normale diciottenne al suo ultimo anno di liceo quando il suo cammino incrocia quello di Salvatore Esposito (Tore), un ragazzo con un fascino da "bad-boy" sexy ma talmente misterioso ed enigmatico da metterle i brividi. Lei lo aveva già...