11. Altalena pt.2

43 7 9
                                    

Riconobbi subito la strada. Gli alberi che proiettavano ombre meravigliose e giochi di luce sul terreno, la strada chiara coperte di foglie, l'erba che riluceva le goccioline di pioggia che questa volta era asciutta ma dello stesso verde vivo di sempre, il vento che si faceva spazio tra le foglie e i rami, facendosi sentire: stavamo andando nel posto addomesticato. Ne ero certa.

Non fu sorprendente solo il fatto che Tore ci avesse pensato, ricordandosene, ma, al nostro arrivo, una sorpresa era lì ad aspettarmi: appesi al ramo dell'albero, c'erano due altalene, erano fatte con la corda e i copertoni che, dalla stazza, dovevano appartenere a quello che doveva essere un grande camion. Solo che erano nuovi. Non il tipo da garage, proprio nuovi. E appeso alla corteccia dell'albero c'era un foglio strappato da un quaderno: era il mio quaderno, era il mio disegno. Neppure me ne accorsi ma doveva aver rubato uno degli scarabocchi che facevo durante la lezione di matematica. C'era raffigurato proprio quell'albero. O almeno la mia versione di quello. Lo avevo disegnato tempo prima, poco dopo quella mattinata di domenica.

«Così, avrai un posto dove pensare.» Disse sorridendomi.

«Abbiamo.» Lo corressi, senza quasi pensarci ma priva di imbarazzo. «Le altalene sono due, no?»

«Abbiamo.» Concordò. Sorrideva. «Be', andiamo adesso, no?»

Mi ero appena seduta sull'altalena. «Di già?» Mi lamentai.

«Non mi avevi detto di avere fretta? Quindi forza.» Rideva.

«È meraviglioso!» Ero sincera. «Tutto questo. È fantastico, non so cosa dire.»

«"Sei il compagno di banco migliore del mondo" andrebbe bene, mi accontenterei» Poi mi regalò un altro dei suoi dolci sorrisi da personalità tre. «Sono contento che ti piaccia.»

Non mi alzai. Così si avvicinò lui. Si sedette nell'altalena accanto alla mia e cominciammo a dondolarci piano, mentre parlavamo del più e del meno. Fui sorpresa dalla facilità con cui parlavo con lui. Non parlare nel senso "dirsi tutto" o "confidarsi i segreti a vicenda". Proprio parlare. Tore parlava, ascoltava, commentava e non giudicava. Aveva smesso con quel suo strano atteggiamento da "so esattamente tutto quello che ti è successo da quando sei nata ad oggi e conosco ogni tua mossa" che mi faceva sentire sempre a disagio. Sentivo di poter parlare con lui, addirittura per un attimo mi parve di potergli dire tutto, sensazione strana mai provata con nessuno. Dietro il suo fascino enigmatico e sfuggevole si celava la persona più chiusa e allo stesso tempo la più aperta. Aperta alla gente, alle nuove esperienze, alle amicizie e chissà, magari anche a qualcosa di più.

Dietro la maschera da mostro incurante bad-boy, doveva esserci una persona fantastica, lo sentivo e lo avrei scoperto.

Parlammo di Diesel e mi raccontò che perse la mamma in tenera età. Pensai a quando lui stesso mi raccontò dei viaggi con sua madre e mi chiesi se fosse stato doloroso, per lui, parlarmene.

«So cosa vuol dire perdere qualcuno a cui vuoi bene.» Mi sforzai di sorridergli ma non dovette riuscirmi molto bene.

Il suo sguardo si fece curioso e allo stesso tempo triste. «Preferisci che non te lo chieda. Vero?» Anche questa sua delicatezza fu strana ma cominciavo ad abituarmi a questa sua versione meravigliosa che stavo scoprendo.

Scrollai le spalle. «È passato molto tempo. Le ferite sembrano sempre fresche ma ero piccola, in realtà all'inizio non capivo. Non volevo capire...» presi un bel respiro. «...Avevo cinque anni» cominciai. Lo sguardo perso nei ricordi. «Mio fratello ne aveva solo sette ed eravamo andati con la mia famiglia in vacanza tutti insieme, al mare, avevamo una casa lì.» Feci una pausa per ricominciare. «Quel giorno, non mi sentivo bene, avevo paura dell'acqua e non mi capitava mai, perché io amavo andare al mare ma sentivo come se qualcosa fosse pericoloso, quel giorno.» Sentii una lacrima calda scendermi per il viso, sulla guancia sinistra, più scendeva, più diventava fredda. Tore mi guardava come se stesse immaginando la scena. Nei suoi occhi profondi ed enigmatici si potevano leggere tristezza e comprensione ma anche qualcos'altro che non compresi. Feci un altro respiro. «Per Leo era impensabile che la sua sorellina avesse paura dell'acqua, lui era stato due volte di fila campione di nuoto infantile al mini-club e doveva far vedere ai nostri amichetti che anche io non ero da meno. Era un bambino incredibile, mi adorava e io adoravo lui.»

Il Pezzo MancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora