10. Senza via di fuga pt.1

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Per tutta la settimana Tore non si presentò a scuola. Non venne neppure al bar dove lavorava il suo migliore amico. Juan mi disse che non era andato nemmeno a fare colazione, quando invece andava spesso, ogni giorno, secondo lui. A parte questo, evitammo di parlare di Tore, nonostante io ci avessi provato più volte.

Quel weekend in particolare lo avevo passato praticamente ogni giorno con Alice, che ormai mi scriveva frequentemente e si era sinceramente scusata per essere sparita. Mi sembrava incredibile che riavessi indietro la mia amica, nonostante qualcosa sembrasse ancora rotto, tra noi. Non avrei saputo dire cosa, mi sembrava di aver perso la parte di me che era la sua gemella spirituale, come dicevamo da ragazzine. Forse eravamo semplicemente cresciute.

Era lunedì mattina, la professoressa non era ancora arrivata e mancavano ancora dieci minuti al suono della campanella. Ciro si materializzò davanti al mio banco, sedendovisi sopra e guardandomi con un mezzo sorriso. «E quindi tu e Alice siete di nuovo best friend forever gne gne e robe del genere?»

«Che c'è, sei geloso che possa rubarti la gemella?»

«Figurati, tienila pure quella rompipalle»

In realtà loro due erano i fratelli più uniti che conoscessi. Non avevo mai visto fratello e sorella volersi tanto bene. Sì, bisticciavano spesso, ma erano sempre uniti e inseparabili. Fu così che Ciro ed io diventammo tanto amici, così che nacque la nostra storia - alla quale Alice non si era mai opposta ma anzi si professava abbastanza "contenta di avermi come cognata" - e così che riuscimmo a tornare amici e ad esserlo veramente, anche dopo la nostra rottura.

«In realtà mi fa molto piacere» disse, sincero. «Non ho mai capito perché vi siate allontanate tanto»

Mi strinsi nelle spalle, perché effettivamente non lo sapevo neppure io ma non mi importava molto. Stavo per replicare, quando una voce piuttosto fastidiosa mi colse di soprassalto.

«Ragazzi, tutti a sedere per favore! E quando dico "tutti a sedere", intendo: IMMEDIATAMENTE A POSTO!» Era la voce della professoressa di matematica che non mi sopportava. Posso ben dire che il sentimento era reciproco.

«Ma non è ancora suonata» fece notare uno che non aveva ancora capito quanto lei si fosse alzata dal lato sbagliato del letto.

Io odiavo il lunedì mattina e non perché tutti odiano il lunedì. Lo odiavo perché a prima ora avevo sempre matematica e a seconda fisica. Avevo due ore consecutive di tortura il lunedì mattina. Si poteva essere più sfigati di così? Non mi era mai piaciuta la matematica ed era questo il motivo principale per cui non mi ero iscritta a un liceo scientifico, un tecnico industriale o economico: troppa matematica e io volevo starne lontana il più possibile. E ad aggravare il tutto, la professoressa Giambino insegnava sia matematica che fisica e preferiva tenere le due ore unite, il lunedì mattina, così da potersi permettere di prendere qualche minuto in più durante un'ipotetica interrogazione. Questo voleva dire che: a, non esisteva la regola del "salvato dalla campana" per matematica; b, se andavi male in matematica, probabilmente ti avrebbe guardato male anche durante l'ora di fisica. E se si pensa che l'unica cosa che odiavo più della fisica era la matematica... be', direi che il piatto è completo.

Mancavano esattamente quattro secondi alla campanella, quando Tore fece la sua comparsa in classe. Si sedette sulla sua sedia, scostandola senza fare rumore, e poggiò i gomiti sul banco. Mi voltai per guardarlo, con chissà quale pretesa di una qualche mistica spiegazione ma lui si limitò a sorridermi come se nulla fosse. «Che c'è?» chiese notando che non la smettevo di fissarlo.

Scossi la testa. «Niente»

Si avvicinò a me, parlando piano per non farsi sentire dalla prof che nel frattempo si era già alzata per scrivere un esercizio alla lavagna. «Che c'è, principessa, ti è mancato il tuo compagno?»

Il Pezzo MancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora