5. Un'altra persona pt.1

72 11 8
                                    

Tornai a casa stanca, ora anche spaventata. Non vedevo l'ora di andare subito a letto, volevo che la giornata finisse. Richiusi la porta alle mie spalle con un po' troppa forza, senza rendermene conto, e sperai di non aver svegliato mia nonna.

«Giulia, già a casa?»

Appesi le chiavi al portachiavi da parete e mi tolsi la giacca. «Nonna, scusami, non volevo svegliarti!» Andai di corsa da lei, nella sua camera, per darle un bacio sulla guancia.

«Svegliarmi? Non è nemmeno mezzanotte e lo sai che prima dell'una non dormo mai»

Risi e sistemai il lenzuolo che cadeva dal letto. «Hai ragione.»

Andai in camera mia, dove posai la borsa e presi il mio pigiama e mi diressi di corsa verso il bagno, lavandomi e cambiandomi in fretta per far finire il prima possibile quella giornata. Volevo non pensarci, non pensare a nulla. Mentre uscivo dal bagno, per dirigermi in camera mia, sentii mia nonna chiamarmi, così mi materializzai nuovamente nella sua camera.

«Giulia, ti ricordi quando a otto anni avevi paura del buio?»

Deglutii, perché quella domanda mi ricordò tutto quello che stavo cercando di dimenticare. «Sì?»

«Avevi sempre uno sguardo strano, prima di dirmi che c'era un mostro dentro la tua stanza, ti ricordi?»

In realtà non lo ricordavo per niente. «Perché me lo chiedi?»

«Perché è lo stesso e identico sguardo che hai adesso, l'ho notato poco fa e non volevo dirti nulla. Ma non hai più otto anni e le paure di una ragazza della tua età sono ben diverse da quelle di una bambina che ha paura dei mostri bui nella sua camera.»

Trasalii. «I mostri bui nella mia camera?»

«Dicevi sempre così, che qualcuno ti controllava, che ti seguivano o non ti facevano dormire. E ricordi cosa facevamo?» Restò in attesa di una mia risposta che non arrivò, così continuò lei. «Accendevamo tutte le luci, ci guardavamo allo specchio e dicevamo: "Sono grande e sono forte, non ho paura di niente".»

Mi sedetti sul bordo del suo letto e risi. «E funzionava?»

Scosse la testa. «Neanche una volta, finivi con il tornare qui e infilarti sotto le coperte per dormire con me e il nonno.»

Sorrisi al pensiero di una me impaurita dal buio. Poi pensai che non era il buio, dovevano essere le stesse tenebrose figure che sembravano perseguitarmi e che avevo rimosso. Dovevo preoccuparmi? Potevo essere impazzita? Poggiai la testa sulla sua pancia, mentre lei mi accarezzava i capelli come quando ero bambina. «Non ho più paura del buio» constatai.

«Non hai più paura di tante cose.»

Le sorrisi, pensando a quanto bene le volessi e a quanto mi sentissi amata, con lei lì. Questa era la cosa che più mi faceva paura: era il mio unico genitore, il mio unico parente in vita che si fosse mai occupato di me e aveva già da un pezzo passato gli ottant'anni. Ogni giorno vivevo nel terrore che si ammalasse e mi abbandonasse anche lei, vivevo nel terrore che potesse andarsene da un momento all'altro. Le diedi un altro bacio, sistemandole il lenzuolo e mi ritirai nella mia stanza, cercando di dimenticare tutto quello che la mia testa stava riportando a galla.

Vedevo ancora quegli occhi neri impressi sulla mia mente, neri come un disegno fatto con la carta carbone, come se fosse trasparente e scuro allo stesso tempo. Ero forse impazzita?

Smettila, Giulia!, pensai. Era soltanto un'ombra, la stanchezza doveva giocarmi brutti scherzi e io avevo dormito poco. Cercavo di autoconvincermi perché, seppur le avessi come rimosse, sapevo di aver sempre visto queste tenebre. Ripetevo sempre a me stessa che erano soltanto problemi di vista, giochi di luce, eppure le vedevo comunque. Questa volta era diverso, non era la solita figura indistinta, la solita oscurità. Sospirai, cercando di sprofondare in un sonno che si preannunciava già pieno di incubi.

Il Pezzo MancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora