5. Un'altra persona pt. 2

69 10 7
                                    

Ci incamminammo e dietro il parco in cui andavo da bambina, c'era una piccola macchia verde, da dentro sembrava enorme: alberi alti, muschio ed erba ovunque. Era bello ma non riuscivo a togliermi di dosso quella sensazione di sbagliato, di pericolo.

Sul suolo, tra il marrone della terra e il verde delle piante, piccoli disegni di luce, dagli alberi, sembravano quasi camminare al nostro passo, muovendosi con noi. Il leggero fruscio del vento si faceva spazio tra le foglie e mi raggiungeva accarezzandomi i capelli: mi sentii più rilassata, il suono ritmico della selva mi faceva stare meglio. Aveva ragione, era un posto davvero bello.

«Non ti resta che trovare il punto perfetto per fare una sosta e riuscire a pensare in solitudine, in pace.» Commentò, continuando a camminare. «Oppure distrarti e non pensare.»

Vidi un albero alto, sereno e calmo. Lo guardai con insistenza e Tore, notando questo particolare, lo indicò sorridendo. «Quello mi sembra il posto ideale per te.» Sorrise.

«Magari è anche il tuo.» Suggerii.

«Può darsi.» Fece spallucce e io cercavo di studiarlo per capire da quale pianeta venisse questo clone fisicamente identico a Tore.

Ci avvicinammo all'albero, era il più bello, ne ero sicura.

Il mio sguardo si perse, cominciando a scendere al terreno e da lì seguiva i colori e le ombre create dai raggi filtrati dai rami.

Passammo l'intera mattinata a non fare completamente nulla, seduti ai piedi di quell'albero, a parlare del più e del meno, della scuola, dei nostri insegnanti, finimmo per ridere dei pantaloni troppo giovanili del professore di spagnolo.

«Posso farti una domanda, Giulia?»

«Certo»

«Se avessi la possibilità di aiutare qualcuno, pur sapendo che questa cosa ti farebbe veramente tanto del male, cosa faresti?»

Rimasi colpita dalla sua domanda, non era una domanda che solitamente si utilizza per fare conversazione, così lì per lì non seppi subito cosa rispondere. «In che senso?»

«Se tu avessi la possibilità di evitare a qualcuno delle cose brutte, pur sapendo che ne soffriresti molto, cosa sceglieresti?»

Sospirai, guardando l'orizzonte alla ricerca di una risposta sensata. «Non saprei, credo di dovermi trovare nella situazione per capirlo.» ci pensai su. «Però, tendo un po' a soffrire in silenzio, piuttosto che fare del male, non perché sia una martire, semplicemente so come reagisco a determinate cose, mentre non so come lo fanno gli altri» storsi la bocca, chiedendomi quanto il mio discorso potesse effettivamente avere senso. «Non mi piacerebbe vivere con la consapevolezza che qualcuno soffre a causa mia. Quindi forse è una specie di egoismo, il mio.»

Rise, sembrava sul serio divertito. «Egoismo?»

«Be', più o meno.»

«Sai, credo che a volte mi piacerebbe essere buono.»

«Non lo sei?»

«Non dici sempre così, tu?»

Mi strinsi nelle spalle. «Non ti conosco ancora abbastanza da essere una giudice attendibile»

Scosse la testa. «Non serve conoscermi più a fondo.» E chiuse così quel particolare discorso, deviando qualsivoglia altra domanda da parte mia che cercasse di toccare l'argomento.

Senza neanche rendercene conto si fece già ora di pranzo. Mi stavo rilassando davvero, senza pensare a tutto quello che stava succedendo, dimenticandomi quasi di essere pazza o sull'orlo di una crisi di nervi. Dimenticandomi dei mostri bui sotto al letto.

Il Pezzo MancanteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora