Ho Bisogno Di Te

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Avevamo fatto sesso, di nuovo e per l'ennesima volta. 

Era stato difficile arrivare perfino in hotel: sentivo le sue mani stringermi i fianchi e avvicinarmi sempre più a lui nonostante fossimo in un taxi. 

Mi aveva baciato in ascensore: mi aveva schiacciato contro alla parete e si era letteralmente appiccicato a me. Una volta arrivati al piano, con me in braccio, eravamo entrati in stanza ed eravamo finiti sul letto. 

Nudo.

Ero nudo fra le coperte e lui sopra di me che continua a baciarmi, a stringermi. Mi sentivo soffocare dal calore dei nostri corpi: avevo paura di svanire al suo tatto. 

Mi faceva sentire vivo essere stretto così, morso, graffiato. Mi faceva sentire finalmente concreto, esistente in quel nulla che provavo di solito.

Mi bruciavano le labbra e la gola: continuavo a gemere il suo nome per paura che potesse andare via. 

Piantavo le unghie nella sua schiena ad ogni spinta: pretendeva che avessi i suoi segni sopra di me, doveva sentire ciò che provavo io. 

L'ennesimo morso sulla gola, che sapevo sarebbe rimasto per giorni e che tutti si sarebbero chiesti da dove fosse arrivato e chi lo avesse fatto. 

Non mi importava. 

Mi importava solo di lui e del fatto che stesse spingendo sempre più velocemente dentro di me. 

Avevo smesso di sentire dolore tempo fa ormai, abituandomi a tutto quello.

Abituandomi al fatto che non potesse essere se non così: non era un amore sano in nostro e, ormai, lo avevo ammesso a me stesso. 

Stranamente venimmo assieme: labbra contro labbra per paura di fare troppo casino e che le persone ci sentissero. 

Uscì da me, si stese accanto e cadde il silenzio: nessuna parola, solo silenzio.

In quei momenti avrei voluto stringermi a lui, farmi coccolare e coccolarlo, ma non era così. Si respirava solo la momentanea quiete prima dell'inizio delle litigate e delle discussioni. 

Mi girai a guardarlo: era comunque bellissimo, nonostante il suo volto si fosse già indurito rispetto a pochi secondi prima. 

L: “Fai la doccia per primo tu o io?”

T: “Come ti pare”

E come al solito non mi ero sbagliato: lui non si addolciva mai, neanche per un secondo.

L: “Se vuoi vado prima io”

T: “Mi sto godendo la mia cazzo di pace. Vuoi andare tu? Vacci, ma che cazzo”

Chiusi gli occhi e appoggiai il capo alla testiera del letto.

Mi veniva da piangere e non ne sapevo nemmeno il motivo: ero abituato alle sue risposte di merda, al suo menefreghismo, ma in alcuni momenti mi faceva male. 

Dannatamente male.

Mi alzai dal letto e presi le robe per potermi cambiare, per poi recarmi in bagno. Chiusi la porta alle spalle  e, ancora nudo, mi lasciai semplicemente scivolare a terra. 

Piansi in silenzio, soffocando i singhiozzi fra i vestiti. 

Non sapevo se fosse per lui, per cosa fosse accaduto in quei giorni o se fossi semplicente io, ma non ce la facevo. 

Non ce la facevo a non piangere.

Non ce la facevo a non odiarlo anche solo per un secondo. 

Non ce la facevo a sentirmi bene, quando non ero nemmeno in grado di sentirmi io. 

Origini dei Tankele//Part TwoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora