Perdonami

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Quando mi ero svegliato lo avevo trovato ancora a stringermi: aveva il volto distrutto. Sapevo che non avesse dormito tutta la notte: non lo faceva mai quando stavo male. 

Lo baciai delicatamente a stampo e gli accarezzai il viso guardandolo.

Non lo facevo spesso: ero sempre troppo perso nei suoi occhi.. Non mi ero reso minimamente conto delle sue occhiaie troppo profonde, delle guance scavate e delle labbra tagliate da morsi.

Distolsi lo sguardo, sentendo il solito groppo in gola farsi presente. 

Sapevo che fosse colpa mia, ne ero consapevole. Sapevo che si stesse annullando per aiutarmi, per permettermi di essere felice.

Il problema? Stava dimenticando se stesso e, come al solito, ne ero io la causa. 

Mi alzai dal letto, come se fossi improvvisamente scottato dalla consapevolezza. Mi infilai i boxer che  avevo abbandonato sul letto la sera prima e mi misi alla finestra.

Accesi la sigaretta. 

Ogni sigaretta segna sempre qualcosa, almeno, nella mia vita. Ogni volta che ne sentivo il bisogno era perchè accanto a me stava accandendo qualcosa.

Era appena sorto il sole e l'aria fresca pizzicava la mia pelle. 

Roma era così silenziosa nel suo decadentismo. La città eterna, immutata, che desolata osservava il mondo accanto a sè cambiare senza far nulla. 

Roma aveva un fascino pessimista: lo specchio di ciò che non potrà mai cambiare. 

Il fascino di chi in eterno guarderà la gioia delle persone senza poter far nulla, perchè animata solo dalla vecchia gloria. 

Il fascino di chi, con le sue pietre smussate dal tempo,  crollerà interiormente senza cedere all'esterno 

Sentii una lacrima rigarmi il viso: da quando i miei strani pensieri mi facevano piangere?

Mi girai verso il letto e vidi Tancredi ancora addormentato: purtroppo lui aveva incontrato Roma. 

La mano mi tremava leggermente, ma sembrava non volesse mollare quella dannata sigaretta: l'ennesimo vizio per autodistruggersi, per annientarsi. 

Presi un respiro profondo.

Mi rigirai. 

Buttai la cicca giù dal balcone. 

Chiusi gli occhi e portai le mani contro al viso: piangevo. Come al solito mi sentivo incapace di trattenermi: troppo debole, troppo stupido, troppo instabile. 

La gola mi bruciava e stavo trattenendo i singhiozzi per non svegliare il mio fidanzato. 

Dovevo essere forte: per una volta in quella fottuta coppia, non dovevo essere il debole, ma fare il bene per entrambi. 

Non dovevo crollare a terra e lasciarmi mangiare dalle mie paura, ma non ero Tancredi.

Io non ero verde, ero semplicemente grigio e non potevo permettergli di perdere quel bellissimo colore a causa delle mie nubi. 

Chiusi la finestra. 

Mi rinfilai i vestiti della sera precedente, prendendo però da terra il beanie che il mio fidanzato aveva indossato la sera prima. 

Lo infilai nella mia valigia, insieme ai vestiti che avevo abbandonato sulla sedia, nonostante la breve permanenza di due giorni. 

Come regalo, feci anche quella di Tancredi e gli lasciai appoggiato sopra il mio biglietto del treno. 

Origini dei Tankele//Part TwoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora