Diglielo

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Mi faceva schifo: lei, il suo profumo dolciastro e il suo modo di comportarsi. Eppure non riuscivo a staccarla.

Ero senza forze.

Avevo bisogno d'acqua, di cibo e di un letto. Non sapevo nemmeno come fossi arrivato lì.

 Ricordavo solo la voce di Emanuele che mi chiedeva di rimanere con lui. 

Lele, bella merda vero? Ero talmente tanto fottuto  in quel periodo che stavo prestando sempre meno attenzione a lui. 

Vivevo dentro alla mia bolla e non avevo intenzione di uscirne: stavo bene.

Tutto sembrava essere diventato secondario a lei. 

Gian continuava a sgridarmi, a dirmi di farmi furbo, di non farmi travolgere, ma io ero già stato travolto nel momento stesso in cui il filtro di carta aveva ritoccato le mie labbra. 

Il nulla .

Tutto si era annullato per vivere di lei. 

Non era la prima volta che mi capitava: avevo avuto una fase simile a sedici anni, poi a diciassette, poi a diciotto. Forse era tutta la vita che ci lottavo, ma non volevo accettarlo. 

Non volevo accettare di essere dipendente da un qualcosa, di voler star bene per qualcosa. 

G: “Amore dai, andiamo vieni.”

T: “Giu, per favore. Fammi stare seduto o vado per terra.”

G: “Dai, andiamo a prendere qualcosa da bere, per rilassarci un po'”

T: “Che hai da bere?”

G: “Un po' di tutto, apriamo la cantinetta di papà”

E chi mai aveva detto di no all'alcool?

Era un modo per coprire anche quel profumo che mi aveva intriso i vestiti. 

Sapevo troppo di lei. 

Probabilmente una volta mi sarebbe piaciuto, lei mi era piaciuta o, forse, era stata solo una della tante scopate, ma adesso nemmeno volevo sfiorarla. 

Ero finito a casa sua per caso, per una strana coincidenza di eventi e per il suo essere ovunque, costantemente. 

Era come se, ogni volta che fossi più debole e sensibile, lei comparisse per fottermi e farmi fare l'ennesima cagata. 

E così era stato.

Dopo aver bevuto finii chiuso nella sua camera con lei addosso e senza la forza di reagire: non riuscivo nemmeno a ricambiare quegli schifosi baci che mi stava dando. 

Ero inerme. Fermo, immobile sul letto semplicemente a fissare il vuoto, chiedendomi quando avrei rigettato tutta quella merda che avevo dentro. 

Intanto lei continuava, convinta che mi stesse piacendo, che valesse qualcosa. 

Non sentivo le sue mani, ne' i suoi baci e nemmeno il suo strusciarsi sul mio bacino per cercare di eccitarmi.

G: “Ti piace?”

“No, per niente” avrei voluto risponderle, ma non usciva nulla: ero in completo collasso.

Mischiare non mi aveva mai fatto bene.

Ricominciò con i suoi gesti, con i suoi tentativi. 

Mi sfilò la maglia, mi calò i pantaloni. Non capii esattamente cosa iniziò a farmi: non mi piaceva, non riuscivo minimamente a eccitarmi. 

Perchè non se ne rendeva conto?

Non vedi quando a uno non provochi nulla?

Sentii un conato di vomito invadermi la gola, proprio nel momento stesso in cui la porta della stanza si aprì.

Origini dei Tankele//Part TwoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora