Neve

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Ero seduto sotto la neve. 

Mi pizzicava le dita, le caviglie scoperte. Non avevo messo nulla addosso se non i soliti jeans e una felpa di Emanuele. 

Non mi era mai piaciuta la neve in realtà.

Troppo fredda. 

Troppo silenziosa.

Troppa candida. 

Era sempre stata l’opposto di me, della mia persona, eppure, in quel momento, mi stava piacendo. Non sapevo davvero il motivo, ma mi ricordava qualcosa, un sentimento  felice che premeva nel petto. 

Alzai la mano arrossata dal freddo verso il cielo, cercando di afferrare un fiocco. Quando sentii il palmo bagnato sorrisi: forse ci ero riuscito. La riavvicinai a me e lo guardai. 

Era bianco, di un bianco puro.

 Bianca come la pelle che ogni sera sfioravo e che adoravo rendere rossa. Era così delicata che romperla era semplice, mi piaceva.  Ci avevo sempre giocato o, meglio,disegnato sopra. Avevo inciso con le unghie, con i denti, i segni che c’erano nella mia testa rendendola mia e di nessun altro. L’avevo addirittura tatuata, per lasciare impresso che io fossi stato lì e che nessun altro, neanche in futuro, avrebbe potuto superare la mia importanza nella sua vita. 

Alzai  la mano e ne afferrai un altro. Sentii freddo. Lo avvicinai nuovamente, ma quella volta percepii solo il gelo. 

Gelato come i piedi che ogni sera si ostinava a mettere fra i miei polpacci. Gelato come le mani che nascondeva nelle tasche delle mie maglie durante i film. Gelate come le sue labbra quando mi baciava sotto alla pioggia. Era freddo, ma toccava a me scaldarlo. Amavo farlo, nonostante mi lamentassi sempre, perchè mi faceva sentire completo. Come se le metà opposte di un mondo parallelo si unissero. 

Si donassero l’una all’altra. 

Sentii la finestra aprirsi alle mie spalle: era Gian che usciva a fumare. Non gli diedi troppo peso, immerso in quel gioco strano che stavo facendo. Lo salutai con la mano e lo vidi ricambiare senza troppo entusiasmo. Non capii, ma quando notai che fosse a telefono non mi feci ulteriori domande: gli avrei parlato dopo. 

Mi rigirai posando la testa sopra alla ginocchia osservando il profilo di Milano da quel minuscolo balcone di casa. 

Un fiocco sul naso. 

Sorrisi.

Non volevano lasciarmi in pace, proprio come lui. Era sempre lì, pronto a disturbarmi, a darmi fastidio. Era quella parte rumorosa della mia vita che avevo allontanato e abbandonato in favore del silenzio. Eppure con lui tutto era suono.  Persino la mia testa si era riempita di suoni, prevalentemente simili a quelli della sua voce. 

Era strano, riuscivo a capire come stesse solo dal tono che usasse nelle frasi. Era espressivo o, forse, lo era solo per me. A forza di circondarmi di nulla, la sua voce aveva occupato ogni spazio, ogni centimetro. 

Chiusi gli occhi sentendoli pizzicare. Piangevo perchè ero felice. Ero felice perchè ogni cosa, ogni tassello delle nostre vite si era finalmente aggiustata, incastrata  nei giusti spazi. 

Appoggiai la testa al muro e le lasciai semplicemente uscire, nonostante mi facessero sentire stupido.

Io, Tancredi Galli, piangevo perchè innamorato? Era una barzelletta a cui non avrei riso un anno prima .

Mi asciugai le guance e  accesi l’ennesima sigaretta inutile. 

Anche quello sapeva di lui. 

Proprio mentre stava calando il silenzio sentii la finestra aprirsi di nuovo. 

L: “Oddio amore, ma nevica! Dovevi chiamarmi! Dobbiamo fare il pupazzo, mi porti a fare il pupazzo vero?”

T: “Emanuele, sei scemo? Viviamo in un palazzo, in centro a Milano. Come cazzo te lo faccio fare un pupazzo?”

Risposi così, ma dentro di me stavo sorridendo. 

Ecco il ricordo felice che mi riempiva il petto. 

L: “Non fare il cattivo. Andiamo al parco e lo facciamo. Dai. Dai. Dai”

T:”Gesù, che rompicoglioni. E’ necessario? Sai che odio la neve”

L: “Ma così sono felice...”

Mi guardò con i suoi occhioni. Sospirai e semplicemente annuii. Come potevo dirgli di no?

L: “Grazie, grazie, grazie.” 

Disse riempiendomi di baci sulla guancia e alzandosi  per rientrare. Lo seguii: stava davvero iniziando a far freddo vestito così.

L: “Die, Tancredi mi porta  al parco a fare il pupazzo! L’ho convinto!”

D: “Ti porta davvero?”

L :”Sì, ora corro a cambiarmi o  viene tardi e non andiamo più”

Li sentivo parlare dal corridoio e quando entrai in cucina vidi Diego guardarmi con uno sguardo fin troppo consapevole.

D: “Ti stai rammollendo, lo sai vero?”

T: “Sono semplicemente innamorato Diego”

Lo vidi sorridere e sedersi sulla sua solita sedia. 

Mi girai verso la finestra. 

Nevicava. 

Ero felice. 

Era felice. 

Eravamo felici. 

Someone’s note

Ciao e tutti ed eccovi qua il capitolo. Spero vi piaccia. 

Grazie di leggermi, commentate e che gli anticorpi siano con voi.

Someone.

Origini dei Tankele//Part TwoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora