Capitolo 3

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Il mio armadietto viene chiuso di colpo facendomi spaventare, appoggio una mano sul petto e mi giro per capire chi cavolo l'abbia chiuso e perché, ma mi è subito chiaro tutto quando vedo Lily e le sue amiche.

Ora che cosa vogliono?

Ho già i miei problemi, non voglio che loro me ne creino altri o che mi mettano in mezzo ai loro di cui non mi importa niente.

Riapro il mio armadietto e faccio finta di niente, in modo che se ne vadano e mi lascino in pace, ma con la coda dell'occhio noto che non sembrano intenzionate ad andare via e a lasciarmi in pace.

«Avete bisogno di qualcosa?» chiedo senza nemmeno guardarle.

«Questa cos'è?» mi chiede Lily facendomi voltare.

In mano ha il cellulare, e sullo schermo c'è una foto... una foto scattata dentro a Paxy's, nella quale ci siamo io e Caleb, ieri pomeriggio, seduti al tavolo che mangiamo.

Lei come ha fatto ad averla?

Sono incinta, sono sola perché il ragazzo con cui ho passato una notte non si ricorda di averlo fatto con me e di conseguenza non sa che questa bambina è anche sua, sono all'ultimo anno di liceo e ho promesso ai miei genitori che avrei studiato, che avrei continuato ad essere una delle migliori della classe, e se ora inizia a girare una foto di me e Caleb insieme, il mio anno scolastico non può che iniziare male, perché Lily non mi lascerà mai in pace, e nemmeno le sue amiche.

«Una foto.» sussurro voltandomi di nuovo verso l'armadietto, ma lei lo richiude schiacciandomi quasi le dita.

«Una foto in cui ci siete tu e il mio ragazzo. Ancora non l'hai capito che di te non gli frega nulla e che gli devi stare lontano?» mi chiede.

«Come, scusa?»

Di che cavolo sta parlando?

Caleb mi è sempre piaciuto, Lily lo sa, probabilmente anche lui lo sa, ma non è che l'ho cercato io.

Lui è a qualche metro da noi con i suoi amici, sembrano particolarmente interessati a ciò che accade qui, ci credo, queste sono le loro ragazze. Caleb mi guarda, anzi, ci guarda, ma non sembra intenzionato ad intervenire, ciò mi fa arrabbiare, non perché io abbia bisogno che lui mi difenda, ma perché in quella foto c'è anche lui e potrebbe tranquillamente spiegare alla sua ragazza come sono andate davvero le cose, in modo che mi lasci in pace.

«Guarda che il mio ragazzo me l'ha detto: lui stava mangiando e tu, con tutti i tavoli liberi in cui ti saresti potuta andare a sedere, ti sei auto invitata al suo. Cosa c'è, Bristol, volevi fargli pena?» mi dice ridendo con le sue amiche.

Io che cosa?

Guardo il suo ragazzo incredula: poteva dire la verità, invece ha detto che sono stata io ad andare a sedermi con lui, di mia spontanea volontà, quando invece è stato lui a offrirmi un passaggio, a propormi di andare a mangiare un hamburger, e ad offrirmelo anche.

Perché non ha detto la verità? Si vergogna?

Io posso accettare di tutto, tranne che una persona di quasi diciotto anni, che, pur non sapendolo, sta per diventare padre, si vergogni di dire che si è seduto ad un tavolo con una persona di sua spontanea volontà.

Posso fare soltanto due cose ora: dire la verità su come sono andate davvero le cose, lasciare che lui e la sua ragazza litighino e andarmene a testa alta, oppure dargliela vinta, non fidandomi più di lui e mantenendo le distanze da tutti loro.

«È molto triste mangiare da soli, io ne so qualcosa e ho voluto tenergli compagnia. Se sei gelosa non sono affari miei.» le dico.

«Devi stare lontana dal mio ragazzo.» ringhia a denti stretti.

«Altrimenti?» le chiedo con tono di sfida.

Avrei dovuto dire la verità, ma nemmeno in quel modo mi avrebbe lasciata in pace.

Mi spinge contro gli armadietti, copro subito la mia pancia come per proteggerla, e nessuno osa mettersi in mezzo, cosa che, davvero, mi fa vergognare dei miei compagni di scuola.

«Perché non fai un passo indietro?» la voce di una ragazza ci fa voltare tutte, non ho idea di chi sia, non l'ho mai vista prima, ma si mette tra di noi e guarda Lily: «È incinta, non può difendersi, e a me piace particolarmente mettere le mani addosso alle stronze che se la prendono con chi sanno di poterla avere vinta. Ora puoi fare un passo indietro, oppure puoi lasciare che io ti strappi una ad una le extension che hai attaccate ai capelli e che ti rovini quella faccia di merda che ti ritrovi.»

Mi ha spinta, hanno visto tutti, anche Caleb ha visto, ma non ha fatto nemmeno un passo verso di noi per rimediare a ciò che, per colpa sua, stava accadendo a me... l'unica ad intervenire è stata una ragazza di cui non conosco nemmeno il nome.

Le ragazze si guardano tra di loro e, visto che suona la campanella, se ne vanno, ma non prima di avermi dato un'ultima occhiata che conosco molto bene: mi stanno facendo capire che non è finita qui. La sconosciuta si volta verso di me soltanto quando sono uscite dalla nostra visuale, e mi sorride. Ha gli occhi scuri e i capelli interamente blu, le stanno molto bene. È alta e magra, indossa dei pantaloni neri e una t-shirt larga anch'essa nera, ha anche un paio di tatuaggi, ma non capisco se siano veri oppure no.

«Stai bene?» mi chiede.

«Sì... grazie.» sussurro.

«Io sono Farrah. Avrei dovuto cominciare ieri, ma ho preferito stare un giorno in più a casa a dormire.» mi dice porgendomi la mano, rido per quello che ha detto e gliela stringo.

«Bristol.» mi presento anche io.

«Bristol. Anni fa vivevo in Inghilterra, c'è una città che si chiama Bristol.» le sorrido.

I miei genitori dicono che non mi hanno chiamata così in onore della città inglese o di qualcos'altro, semplicemente a loro piaceva questo nome.

«Dunque... puoi dirmi dove si trova la classe di matematica?» mi chiede.

«Devo andarci anche io.»

Tutto quello che è appena successo è solo l'ennesima conferma che io e la mia bambina staremo bene da sole.

Nonostante tuttoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora