Lo vedo molto agitato, lo conosco, anche se per anni non ci siamo visti, è comunque rimasto il solito ragazzo, forse solo con un po' di problemi in più... siamo seduti ad un tavolo di un ristorante con i suoi genitori e sua sorella... non credo sapessero che ci sarei stata anche io, ma mi ha chiesto di accompagnarlo perché teme che possa peggiorare rapidamente la situazione come ogni volta che vede i suoi genitori... è sempre stato così. Abbiamo preferito non portare i bambini perché non avrebbe senso fargli conoscere dei nonni che non hanno mai voluto saperne di loro, sia quando Caleb stava da me, che dopo. Da quando siamo arrivati non ci hanno calcolato molto, e forse è meglio così.
«E i bambini dove li hai lasciati, Bristol? La prossima volta dovremmo metterci d'accordo, così porterò anche io i miei e si conosceranno.» mi dice sua sorella.
«Sono a casa con la babysitter.» risponde al mio posto Caleb.
Da un certo punto di vista è sbagliato che lui faccia credere alla sua famiglia di essere qualcuno che non è, ma li conosco abbastanza da sapere che, altrimenti, gliene direbbero di tutti i colori e non lo lascerebbero più in pace. Forse è anche a causa loro e di ciò che gli hanno detto che ha deciso di allontanarsi da me e dai nostri figli.
«Vanno a scuola?» chiede sua madre.
«Dylan deve iniziare la terza elementare, Sophia inizia a breve la prima.» le rispondo.
«La bambina che cognome porta?» chiede il padre.
«Sophia porta il nome di Bristol, e anche Dylan, ma non vedo cosa c'entri.» gli risponde Caleb.
Sin da quando eravamo solo dei bambini mi rendevo conto che i suoi genitori non era buoni e comprensivi con lui come lo erano, ad esempio, i miei genitori e tutti gli altri. Lui ne ha sofferto, si vedeva, anche il fatto che non siano mai venuti a vedere nessuna delle sue partite... era abbastanza triste, forse è stata anche la paura di poter diventare come loro ad allontanarlo da noi. Sono tanti fattori che lo hanno portato a prendere quella scelta drastica, ma è chiaro che non ci sia stato giorno in cui non si sia pentito di quella scelta.
«Quel bambino non è un tuo problema, non lo è mai stato, quindi non capisco perché dici che è tuo figlio. E poi vogliamo parlare del fatto che ci stai chiaramente prendendo per il culo? Fingi di essere importante, di vivere a Seattle, quando in realtà sei solo un buon a nulla che si è fatto incastrare da una puttanella anni fa e che ora è obbligato a crescere due marmocchi, come se fino a ieri non stavi in prigione.»
Come, scusa?
Questi tizi andavano a scuola con i miei genitori, esattamente come io e Caleb siamo cresciuti insieme, anche loro e i miei genitori sono cresciuti insieme, e che mi vengano a dare della poco di buono e che chiamino i miei figli marmocchi, questo non lo accetto.
La signora Phillips appoggia la mano su quella del marito, forse per calmarlo, non capisco se sono fatti della stessa pasta o se lei si renda conto che sua marito è uno stronzo.
«Sono finito in prigione per aggressione, pensi che mi faccia problemi a spaccarti la faccia e a tornarci?» gli chiede Caleb, questa volta sono io ad appoggiare la mia mano sulla sua, prima che faccia qualche pazzia: «Chiedile scusa e sciacquati la bocca col sapone prima di parlare di lei e dei nostri figli.»
«Non è sicuro che tu stia a contatto con dei bambini.» gli dice lui.
Mi sembra che lo stia facendo solo per farlo arrabbiare, non capisco perché lo stia facendo e soprattutto perché né la figlia, né la moglie, intervengano.
«Signor Phillips, non credo che lei abbia chiaro che Caleb, nonostante non sia qualcuno di importante a Seattle, è comunque un buon padre che i nostri figli adorano. Credo anche che sappia che per essere un padre non basti concepire un figlio come ha fatto lei, ma padre è chi cresce un bambino, e per Dylan suo padre è Caleb, e non le permetto di parlare dei miei figli che per fortuna non sono qui per vedere che razza di nonno si sono ritrovati. Io e Caleb abbiamo una casa, anzi, un attico qui a Seattle in cui passiamo le vacanze, magari qualche volta potrà venire a vedere che buon padre è suo figlio, a differenza sua, e poi può baciarci il culo perché non ho incastrato nessuno, ma ad avere incastrato noi con questa specie di rimpatriata è stato lei, quindi rinfacci pure a Caleb di essere finito in prigione e di stare crescendo un figlio che non è suo, intanto lui è amato dai suoi figli, mentre lei resterà un pezzo di merda sia per i suoi figli, che per i suoi nipoti.» gli dico alzandomi e facendogli vedere le chiavi della mia auto: «Ora raggiungo i nostri figli nel nostro bellissimo attico con la nostra bellissima e nuovissima Mercedes.» me ne vado senza guardare più in faccia nessuno ed esco da questo ristorante in cui non saremmo mai dovuti venire.
«Lascia che guidi io.» mi dice Caleb strappandomi di mano le chiavi.
«Scusami, è che non potevo starmene in silenzio.» gli dico.
«Scherzi? Non mi devi delle scuse. Abbiamo perso solo tempo a venire qui, e sei stata grande, batti il cinque.» gli batto il cinque e rido mentre lui mi attira a sé e mi da un bacio tra i capelli: «Ei, sto dalla tua parte, sempre e comunque. È stato uno stronzo, ma anche tu lo sei stata... perché non tiravi fuori questo lato di te quando eravamo al liceo?» mi chiede allontanandosi da me e prendendomi per mano, iniziamo ad incamminarci verso la macchina.
«Perché attaccavano me, e non mi importava, ma tuo padre ha attaccato le persone che amo di più su questo mondo.»
«Oh, come sei dolce.» mi dice dandomi un altro bacio tra i capelli.
So che ci vorrà tempo, ma sono sicura che si rimetterà in sesto e tutti, prima di tutti i suoi genitori, si renderanno conto di aver sbagliato a non avergli dato una seconda possibilità come ho fatto io.
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Nonostante tutto
RomanceBristol ha diciassette anni ed è innamorata da sempre del ragazzo più popolare della sua scuola, del quale è incinta. Più tempo passa, e più è indecisa se parlargli del fatto che, presto, diventerà padre... ma, inaspettatamente, si ritrovano entramb...