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Apro gli occhi lentamente e la prima cosa che vedo è un petto tatuato. Solo ora mi ricordo di stare a casa di Luca e, non so come ma soprattutto perché, ho la testa poggiata sul suo petto.
"Visto! Sei tu che non riesci a stare nella tua metà" mi prende in giro il moro ricordandomi della mia decisione di ieri notte di dividere a metà in modo tale da mantenere le 'giuste distanze'.
Mi giro nella sua direzione e resto a fissarlo mentre sul suo volto compare un sorriso.
"Ti ricordo che ieri mi hai concesso di restare nella tua metà" affermo ricambiando il suo sorriso, passa lentamente una mano tra i miei capelli mentre i suoi occhi sono fissi su di me. Non so perché non mi stia spostando, sono passata dall'odiarlo allo stracci bene insieme pur non sapendo praticamente niente di lui? So che è solo una fase e tra poco tornerà il Luca stronzo.
"Dai, andiamo a fare colazione" mi sposta leggermente e si alza dal letto.
"Se vuoi puoi continuare a dormire" dice sulla soglia della porta notando che io non mi alzo dal letto. È veramente comodo.
Poggio i piedi a terra e, con fatica, raggiungo il moro al piano di sotto. Lo vedo preparare la moka del caffè mentre impreca, in non so quale dialetto, per aver praticamente rovesciato tutto a terra.
"Non sei di qua vero? Intendo di Milano" gli chiedo prendendo uno strofinaccio e iniziando a pulire il disastro che ha combinato.
"Ti sembro un Milanese?" chiede retoricamente scoppiando a ridere.
Scrollo le spalle, ma dal suo accento si capisce che non è di qua.
"Comunque no. Sono di Salerno, di Pastena per lo specifico" mette il caffè in due tazzine e me ne porge una.
"Sei salito qua per fare musica quindi?" soffio sul caffè ancora bollente e mi siedo sul divano, di fianco a Carti. Questo cane è più pigro di me, da ieri non si è spostato di un centimetro e, per di più, russa come un ghiro.
"Non è andata proprio così. Scrivo da quando ho 13 anni ma il boom l'ho avuto nel 2016 con Nisida, un pezzo che ho fatto uscire. Da lì è stato un crescendo fino a 20. Quando ho inziato a frequentare Milano e Roma per i vari contest mi sono reso conto che Salerno mi stava un po' stretta. Lì hanno una mentalità molto 'chiusa', chi indossava i pantaloni larghi, i capellini, faceva rap veniva visto come uno 'fuori dal comune'. Così ho deciso di venire qui a Milano. Nonostante ciò amo la mia città, devo tutto a Salerno, se sto qui è solo grazie a lei" mi guarda mentre beve poggiato allo stipite della porta. Mentre parla i suoi occhi brillano, si vede l'amore che prova nel fare musica.
"E come mai hai deciso di chiamarti Capo Plaza?" si stende di fianco a me sul divano.
"Diciamo che a quell'età stavo sempre in giro con i miei amici, scendevano in piazza fumavamo, giocavamo a pallone, facevamo i gavettoni. Aprivamo le saracinesche per vedere cosa c’era dentro i posti abbandonati, nelle fabbriche, rubavamo le batterie dei motorini e tra le altre cose facevamo i murales. Io scrivevo sempre 'Plaza', 'capo' invece è un autocelebrativo. Mi piaceva l"accostamento di capo plaza, per questo ho scelto questo nome" lo guardo affascinato mentre lo sento parlare di una realtà tanto lontana quanto vicina a quella che ho vissuto.
Mi cinge le spalle con il suo braccio e mi avvicina a sé.
"A cosa pensi?" mi chiede mentre continuo a fissare un quadro appeso nella stanza.
"In realtà a niente, sto cercando di immaginarti nello scenario che mi hai appena raccontato" gli sorrido posizionandomi meglio sulla sua spalla.
"E pensa che ti ho raccontato la minima parte di ciò che facevo, combianavo guai un giorno sì e l'altro pure. I miei erano disperati. Non ci stavo con la testa, mi sono fatto bocciare due volte in prima superiore così ho deciso di lasciare la scuola. Poi, per fortuna, con l’aiuto di mia madre e facendo dei lavoretti, mi sono pagato la scuola privata e ho preso il diploma: maturità scientifica. La scuola era una sorta di piano B, se non ce l'avessi fatta con la musica almeno avevo un diploma".
"Alla fine ce l'hai fatta però".
"Si, ce l'ho fatta... Ma non è finita qui. Ce l'ho fatta ma non sono comunque felice" lo sento scrollare le spalle.
"E perché?" 
"Non lo so. Mi manca qualcosa, ma non so cosa". Continuo a guardare il quadro davanti a me e penso cosa possa mancare ad un ragazzo di 21 anni che ha già realizzato il suo sogno. Ma non mi so dare una risposta. Continua a passare la sua mano tra i miei capelli facendomi rilassare a tal punto che potrei riaddormentarmi.
"Dai ti riaccompagno a casa che ho da fare tra poco" spezza il silenzio piacevole che si era creato nella stanza, mi fa alzare dal suo petto e mi fa segno di seguirlo fuori dall'appartamento.

"A tuo fratello non dirgli che sei restata da me, sai non la prenderebbe bene" mi comunica prima di scaricarmi fuori il mio palazzo e sfrecciare via tra le vie di Milano.

|Mi scordo di noi, che è meglio così| Capo Plaza Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora