Quell'uomo davanti a me è mio padre. I suoi occhi sono uguali identici a quelli di mio fratello: l'unica differenza è che non riesco a trovarci dell'affetto guardandoli nel profondo.- Ti si è arricciata la lingua, tesoro?- mi dice, facendo apparire sul suo viso un sorriso strano, che definirei inquietante. Lo vedo avvicinarsi e come risposta le mie gambe mi fanno muovere all'indietro, ma sono costretta a fermarmi contro il frigorifero.
-Oh, Grace- sentirgli pronunciare il mio nome mi fa venire i brividi. -non c'è bisogno di scappare. Anche perchè una volta che inizi, non la smetti più.
Questa sua ultima frase mi lascia interdetta e allo stesso tempo mi suscita una strana pietà.
Dopo circa una decina di minuti, siamo seduti sul divano. Se avessi visto dall'esterno una scena del genere, non ci avrei visto nulla di anomalo. Eppure, vivendola io stessa, percepivo qualcosa, come se in quella situazione ad essere fuori posto fossi io e non il fatto che io stessi parlando con mio padre. No, lui appariva così a suo agio, così perfettamente in linea con quella situazione.
-Sei molto bella.- mi dice. - somigli molto a tua madre.
Dopo una lunga ricerca nella mia mente, riesco a trovare il modo per mettere insieme qualche lettera dell'alfabeto. -Grazie.
-Ma di mio hai veramente poco.
Lui mi osservava, come se si aspettasse che a parlare fossi io. Anzi, se ne stava comodo sul divano, in attesa di un qualche mio intervento. Ma io mi sentivo appisolata, in una specie di sogno lucido. Era tutto così assurdamente normale: io e mio padre seduti sul divano ad aspettare che uno dei due avvii una qualsiasi conversazione. Così, prendo fiato.
-Dove sei stato tutto questo tempo? E perchè presentarsi così?
Dopo una breve pausa, dice:
-Grace, verrò al dunque. Desidererei saltare queste stupide domande.
-Cosa?! Stupide domande?- non potevo credere a quello che avevo appena sentito.- Fammi capire: ti ripresenti casa dopo quasi vent'anni e poi io farei domande stupide? Non te l'avrei manco dovuto chiedere dove tu fossi stato durante tutta la mia vita, me lo avresti dovuto dire tu stesso! Io non...-ma mi porta un dito alla bocca e, senza nemmeno guardarmi negli occhi, lo vedo chiudere i suoi, cercando il silenzio.
-Shh- mi dice.- Anche nell'essere maledettamente irritante sei uguale a tua madre.
Questa frase mi fa capire che non era venuto a cercarmi per volermi bene. Così, mi zittisco e attendo che agisca da solo. Si alza e inizia a fare una breve, ma molto snervante camminata per tutto il salotto.
-Ascoltami bene, Grace. Non ti deve interessare dove io sia stato in questi anni, perchè non c'è nulla che ti possa essere utile.
Lo vedo avvicinarsi, sempre più minaccioso in viso. Io cerco di allontanarmi, mi sta spaventando. La sua faccia si fa raccapricciante, diventa un mostro, si trasforma in qualcosa di non umano. Le sue tenebre mi mangiano e io scompaio, affondando in tutta la sua oscurità.
Mi sveglio, tutta sudata. Era solo un brutto sogno, a testimoniarlo è il mio respiro pesante ed affannato. Non posso andare avanti così. Questa storia mi farà uscire pazza, più di quanto non dovrei già essere.
Dopo quello che era successo con Ashton la mia testa era come sottosopra. Come sarei riuscita a dirlo a Niall? Avrei dovuto confessarglielo? In fondo io non avevo colpa e non mi sembrava il momento adatto per creare ulteriori problemi. Ma necessitavo di chiarire questa cosa: Ashton mi aveva detto che mi amava. Ma come avevo fatto a non capirlo prima? Forse, proprio parlando con Niall avrei potuto avere qualche chiarimento in più.
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||Thunderbolt|| niallhoran
FanfictionGrace Hemmings è al primo anno di università. Nonostante il nuovo inizio, sono esattamente 503 giorni che piange senza sosta ogni sera prima di andare a dormire. Un giorno però qualcuno cade nella sua vita, come un fulmine colpisce la terra durante...