Capitolo 19

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Alla fine, sono andato da ma' e davanti alla lapide c'era il suo compagno, quel professore.

«Salve, piacere sono Steven.» Mi ha allungato la mano, però avevo troppo freddo. C'era la dannata neve sugli alberi. Chi doveva cacciare la mano e salutare un professore? Poi lui era anche tutto ammaccato. Ancora si doveva riprendere dall'incidente.

«So chi sei, non ti preoccupare.» Ho fatto senza neppure guardarlo.

«Ah bene. Allora... Come stai? È una domanda stupida. Lo so.» Era imbarazzato il professore dei miei stivali. Ma' ha sempre avuto la fissa per gli uomini con i capelli un po' lunghi. 

Quello lì, il professore, li aveva sino alla collottola e un po' bianchicci. Però a me sembrava uno che si fosse sottoposto alla chirurgia plastica. Non lo so. Le labbra avevano qualcosa di finto. E poi erano gonfie come un materassino che si porta al mare.

«Molto bene. Domani me ne vado a Disneyland, quello a Parigi.»

So essere parecchio scorbutico quando voglio. Credo ve ne siate accorti che sono un bastardo di prima qualità. 

Una volta ci ho provato a frenare la bastardaggine, ma non ci sono riuscito. Però adesso che ci penso, parecchie cose che ha detto Duerf Lomo sono delle cazzate belle e confezionata. Capisco il Ponte Einstein-Rosen e anche le frasi cazzute sugli uomini, i vizi e via dicendo, però sul fatto dei viaggi nel tempo, io non riesco a darmi pace. Cioè se si potesse fare, allora io potrei viaggiare nel passato e incontrare il tizio che ha scritto Peter Pan. Gli direi che è un grande, che la sua fantasia è una tipa tosta. Poi però se dovessi scoprire che l'inglese ancora deve scrivere Peter Pan cosa accadrebbe? Secondo me gli fotto la mente, letteralmente. 

Aspettate, questa volta devo fare la ricerca sul tizio che ha scritto Peter Pan. J.M. Barry. Gesù non è neanche inglese, è scozzese. Spero che questa cosa me la perdoni il signor Barry. Però potrei ritornare al momento in cui il Petroliere Russovski mi ha detto che sarebbe dovuto ritornare "in suo paese". E poi evitare che la mamma andasse con il professore nella macchina e morisse. Io gliel'ho chiesto al professore quella cosa.

«Cosa pensi tu dei viaggi nel tempo? Ti piacerebbe evitare quello che è successo?» Gli ho domandato. Devo dire che lui ha spalancato gli occhi. Sembrava proprio impaurito.

«Beh, sì. Ma dovremmo metterci l'anima in pace. Anzi io dovrò farlo. È colpa mia.» A quel punto il professore è scoppiato a piangere. Casco sempre io in situazioni di questo tipo. Vedere un adulto che piange è un paradosso del tempo. Mi diverto troppo a inventare 'ste cose. Ringrazio gentilmente Duerf Lomo il Giovincello per avermi offerto un ulteriore spunto a inventare fandonie. Grazie di cuore. Le persone però non ti ringraziano, ti maledicono.

«Doveva andare così. Ste cose le decide il destino, mica puoi deciderle tu.» Il professore ha annuito tutto piagnucolante.

«Mi manca parecchio.» Ha confessato lui. Ragazzi, mi ha fatto una pena pazzesca. Ho sentito il Wormhole nello stomaco.

«Già, ma' era ma'. Se vuoi ti lascio solo con lei. Io devo andare via con un mio amico.» Ho inventato una balla all'istante. Il professore ha preso a dire cose del tipo "No, se vuoi posso anche andare io, e bla bla"; insomma frasi ipocrite. 

Alla fine ha chiuso la bocca e sono andato via dal cimitero. Lì sì che incontri gente strana. C'era una signora inginocchiata su una lapide che pregava con un crocifisso stretto fra le mani. Sembrava una suora, solo spiritualmente però, perché aveva un perizoma che si vedeva anche dall'Antartide. Una roba allucinante. Ci stavano degli addetti al cimitero che guardavano soltanto il sedere della signora inginocchiata. Lei aveva proprio un vestitino invisibile. Però sulle spalle era coperta da una pelliccia di qualche animale.

Ragazzi quando sono uscito da quel posto, mi sono sentito spaesato. La Cittadina era viva, nel senso che la routine si svolgeva come sempre: le persone lavoravano, alcuni ragazzi con lo zainetto in spalla uscivano da scuola e poi c'ero io, che non ho mai saputo perché mi trovassi lì, in quel dato posto e in quel dato momento. 

Sì, il tempo e via dicendo, però mica il tempo decide di fare amicizia con me. Se ne frega. È un tipo egoista. Lo devo ammettere. Come quegli aristocratici che hanno la puzza sotto al naso e camminano con il cilindro e il bastone e le scarpe nere e poi basta.

Nella Cittadina era presente una sola biblioteca; praticamente un vecchio sgabuzzino dove i topi facevano cincin con la spumante. Io non ci sono mai andato. 

Quel giorno sono passato davanti alla biblioteca, mi sono affacciato e non c'era nessuno. Però lo stesso non sono entrato. A volte sono proprio un codardo. Così ho camminato lunga la 17°, poi ho svoltato per un viale che conduce alla strada parallela, dove affaccia anche il parco e tutto. Solo che nel viale mi sono fermato davanti a due graffiti: il primo era smielato, "Il tempo è della nostra parte, e il mondo anche". L'altro era proprio disegnato in modo pazzesco, tutto particolare. Una cosa allucinante. "IL TEMPO È UN ILLUSIONE". 

E immaginate sotto chi appariva? Albert Einstein con la linguaccia, ma curato nei minimi dettagli. In quel viale non c'era mai passato nessuno. Era piuttosto stretto ed erano presenti dei cassonetti dell'immondizia che facevano salire il vomito. Però quando mi sono girato c'era un ragazzo che calciava una pallottola di carta stagna e recitava una poesia.

«E subito riprende il viaggio. Come dopo il naufragio. Un superstite. Lupo di mare.» E la ripeteva. Non suonava bene, però mi è piaciuta subito. Allora cosa ho fatto... Ho chiesto al ragazzo cosa diavolo significasse.

«E cosa diavolo ne so io. A scuola ti ordinano di imparare a memoria una poesia, mica di capirne il significato.» Mi ha detto lui. Che gran stronzo. Aveva fra le mani un libro dalla copertina scintillante. C'era scritto, La Prima Generazione o una cosa simile.

«Quello invece sai cosa significa?» Ho indicato il libro. Il ragazzo dai capelli rossicci gli ha dato un'occhiata.

«È un libro scritto da uno di noi. A volte sono meglio i libri scritti in modo diretto ma che hanno un dannato messaggio. Io le odio quelle cose tutte descritte. Tu fai un po' troppe domande comunque.» Lui ha preso a sfogliare le pagine. Ne erano parecchie.

«Scusa. Dimmi è stato un ragazzo a scrivere quel libro?» Gli ho fatto la seconda domanda.

«Così sembra. Uno che abita in queste zone. Non ti interessa che a me dà fastidio che tu faccia troppe domande?» Il Rossiccio ha terminato di fare lo scontroso.

«In verità per niente. Volevo sapere di cosa parlasse quel libro.»

«Parla di noi, tizio che fa troppe domande. Di come i vecchi bastardi pilotano la nostra vita e ne fanno quello che cazzo vogliono. Siamo burattini, noi, e passiamo anche per i disgraziati. Questi qui devono smammare, si devono levare dai coglioni. Comunque io devo andare. Addio, tizio che fa troppe domande. È stato un piacere.»

«Ciao.» L'ho salutato anch'io, ma il Rossiccio mi aveva già superato.

E subito riprende il viaggio. Come dopo il naufragio. Un superstite. Lupo di mondo.

Giuro che la ricordo così. Lupo di mare, forse l'ho inventato. Dopotutto chi si fida della mia mente.

SPAZIO AUTORE

La poesia di Giuseppe Ungaretti. 

Allegria di naufragi

E subito riprende
il viaggio
come
dopo il naufragio
un superstite
lupo di mare

Luca 💙


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