Capitolo 1

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Asturie (Spagna), 1897.

"Forza, Antonia, spingi! Un'ultima spinta e finalmente vedrai il tuo bambino!", sentii mia madre gridare alla giovane ragazza che stava per partorire, l'ultima tappa di un'avventura durata nove mesi, durante la quale il corpo si trasforma e diventa un tempio sacro nel quale custodire la creatura che si porta dentro. È un periodo magico, bello ed emozionante, ma allo stesso tempo difficile, pieno di insicurezze e paure che portano le future mamme ad affrontare il momento più complicato e rischioso: il parto, con mille preoccupazioni.

Mia madre era una levatrice, amava il suo lavoro e lo svolgeva con tanta passione da avermi trasmesso il desiderio di aiutare le donne in gravidanza e di assisterle durante il parto. Infatti, anch'io, da grande, avrei voluto diventare una levatrice amorevole ed esperta come lei. Avevo solo undici anni quando assistetti al mio primo parto, proprio quello della giovane Antonia. Mia madre aveva deciso di iniziare ad istruirmi fin da piccolissima. L'arte dell'ostetricia si tramandava di madre in figlia e assistere al mio primo parto non mi impressionò quanto mi sarei aspettata. Anzi, lo trovai un momento speciale e mistico; un momento nel quale una donna vede per la prima volta suo figlio, la creatura alla quale si dedicherà in tutto e per tutto durante il resto della sua vita.

"Non ce la faccio più, Marta!", gridò Antonia, presa dai dolori lancinanti delle doglie, implorando di far finire quella tortura il prima possibile.

"Antonia, tesoro, ascoltami", si rivolse mia madre in tono compassionevole alla ragazza. "So che è doloroso, ma sei una donna, sei nata per questo. So che puoi farcela, sei più forte di quanto tu creda. Un'ultima spinta e facciamo nascere il bambino. Però devi promettermi che quest'ultima spinta me la fai bella lunga e dopo ti prometto che non sentirai più niente." Poi mia madre si rivolse a me dicendomi: "Alicia, prendi dei panni puliti e dell'acqua calda. Il bambino sta per nascere!"

Dall'angolino della stanza, dal quale stavo osservando tutto, mi girai di scatto e andai a prendere ciò che mia madre mi aveva chiesto.

Antonia strinse forte le coperte del letto sul quale era adagiata, raccolse tutte le ultime forze che le erano rimaste in corpo e spinse. Una spinta lunga che durò una decina di secondi e che fece nascere il piccolo. Quest'ultimo iniziò subito a piangere e mia madre, appena lo prese, lo adagiò sul petto della neo mamma. Poi le porsi gli asciugamani puliti e l'acqua calda che mi aveva chiesto e iniziò subito a pulire il neonato.

Antonia era in preda a un pianto di felicità che durò vari minuti: un pianto liberatorio, un pianto che rappresentava la fine di una breve avventura e l'inizio di un lungo viaggio.

Dopo alcune ore, il sole stava sorgendo, la giovane ragazza si era riposata un po' e stava allattando il suo piccolo Beltrán (quello era il nome che la mamma aveva deciso di assegnare a suo figlio), quando ad un certo punto mia madre esclamò: "Chi è il padre del bambino, ragazza?" Antonia si voltò verso mia madre e con sguardo pieno di vergogna rispose: "È Don Julian, è lui il padre di Beltrán." A quelle parole, mia madre si passò le mani fra i suoi capelli neri e poi disse: "Antonia, sai che la tua vita da ora in avanti non sarà facile? Non essendo sposata, tutto il paese ti giudicherà attribuendoti soprannomi poco lusinghieri, te lo assicuro. Tenendoti il bambino, passerai una vita di miseria e pregiudizi."

"Marta, so a cosa andavo incontro tenendomi il bambino e portando avanti la gravidanza; ma è mio figlio, non voglio che tu lo veda come un errore. Qui l'unico errore è stato il mio, ad essermi fidata di un uomo come Don Julian."

"Non ti avrà violentata, spero", disse mia madre con il volto furente al solo pensiero che quell'uomo avesse abusato di Antonia.

"No, non mi ha violentata. Puoi stare tranquilla, Marta. Sono stata incosciente io ad aver giaciuto per mesi con il mio padrone, sposato e con una famiglia. Sono stata una sciocca a credere alle sue finte promesse", disse Antonia con tono desolato.

"Maledetti uomini, sono tutti uguali. Ti promettono la luna e le stelle per ottenere quello che vogliono, ma poi quando rimaniamo incinte non se ne importano più nulla. Tu eri la sua domestica ed era tuo compito servirlo e restargli lontana, e il suo invece era quello di essere fedele alla moglie. Ma ciò che è fatto è fatto e ora quello che conta è che tu e il piccolo Beltrán viviate una vita più serena possibile."

"Tra qualche mese partirò per Madrid. Lì le domestiche sono molto richieste e vedrò se mi assumono. Devo solo aspettare che mio figlio cresca un po'."

"E nel frattempo, che farai?", chiese mia madre accarezzando la testa del piccolo.

"Andrò a vivere dai miei. Sono molto fortunata che non mi abbiano voltato le spalle in questo momento così difficile della mia vita."

"Già, sei stata molto fortunata. Ho assistito al parto di molte altre ragazze che non hanno avuto la tua stessa fortuna. Dopo aver partorito, si sono ritrovate a vivere per strada, chiedendo l'elemosina, emarginate dalla società in quanto ragazze madri e allontanate dalla loro stessa famiglia. Povere ragazze...", mia madre strizzò gli occhi inorridita.

"Marta, grazie davvero, per tutto. Sono contenta che sia stata tu a far nascere mio figlio. Ti stimo e ti ammiro molto."

"Antonia, non devi ringraziarmi. Sei come una figlia per me. Non ti avrei mai fatto partorire da sola e senza le adeguate cure."

"Sei la miglior levatrice del mondo", disse la ragazza sorridendo.

Mia madre ricambiò il sorriso e poi disse: "Domani passerò per vedere come state tu e il piccolo Beltrán. Allattalo circa ogni due o tre ore e cerca di riposare il più possibile, almeno per questi primi giorni. Non è stato un parto facile il tuo..."

"Lo farò. A domani", disse Antonia salutando mia madre con un cenno della mano.

Uscendo da casa di Antonia e percorrendo la strada verso casa nostra, mia madre mi disse, accarezzandomi i capelli: "Che ne pensi? Sei rimasta impressionata?"

"Manco un po'. Anzi, mi è piaciuto vederti all'opera. Voglio diventare come te un giorno", guardai mia madre sorridente. Lei accennò un sorriso sul suo volto mentre guardava dritto per la strada.

"Bene, allora vuol dire che ti porterò più spesso con me. Sappi però che devi essere reperibile e attiva ventiquattro ore su ventiquattro. I bambini non hanno orari per nascere."

"Certo, madre. Chiamatemi e sarò pronta in un istante."

"Bravissima, figlia mia. Ti vedo molto determinata nell'apprendere questo mestiere. Ti avviso però, non è tutto rose e fiori. È un lavoro duro che richiede forza e dedizione."

"Sarò all'altezza di questo impiego, madre. Ti renderò fiera di me", espressi il mio desiderio essendo orgogliosa di avere una madre tanto in gamba.

Mia madre mi guardò, mi baciò sulla guancia e mi abbracciò, poi riprendemmo a camminare per tornare a casa. Mio padre ci aspettava per la colazione.

Come una rosa bluDove le storie prendono vita. Scoprilo ora