XVI

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Mi sveglio piano, sbattendo gli occhi. Non mi ricordo proprio di essermi addormentato la sera precedente. L'ultimo mio ricordo è... Logan. In cuor mio spero proprio che non sia stato solo un banale sogno della mia coscienza infame, ma che sia stata la verità.

Un raggio di sole entra dalle tende e mi infastidisce la vista, provo ad alzare la mano per un riparo, ma questa viene trattenuta da qualcosa. Mi sporgo verso il bordo del letto e vedo Logan dormire sul pavimento, la mano a stringere la mia. Dorme in una posizione scomposta, un braccio alzato e le gambe storte. Metà coperta è sul pavimento, i peluche gli fanno da scomposto cuscino. Russa appena. Vederlo placa ogni timore in me e mi addolcisce il risveglio.

Gli passo leggermente un dito sulle sue labbra, morbide e umide. Lui apre gli occhi, inquadrandomi. Mugugna un «buongiorno» impastato, facendomi ridere.

All'improvviso sobbalzo spaventato, preso in contromossa dallo sbattere della porta.

«Reginald!»

Mio fratello bussa e nella sua voce c'è tensione. Non rispondo, fissando Logan, non sapendo che fare. Mio fratello bussa più forte, alzando la voce. Merda, ho chiuso la porta.

«Arrivo!» esclamo, alzandomi. Logan si alza in fretta, guardandosi intorno. Prende la maglia, se la infila di corsa, afferrando la giacca posata sulla sedia e indirizzandosi verso la finestra. «Ti farai male se scendi da lì!» lo ammonisco e lui si ferma ad ascoltare mio fratello sempre più inacidito dietro la porta.

Se non esco la sfonderà di sicuro, penso.

«Reginald, o apri questa porta o...»

«Un minuto!» Mi giro e Logan è già uscito dalla finestra, scendendo per la scala antincendio. Spero solo non si faccia male.

Apro la porta proprio quando Henry ha deciso che gli conveniva sfondarla. Lui mi spinge via e controlla la mia stanza.

«Cosa c'è?» domando e lui non mi risponde.

«Cosa ci fanno le coperte per terra?»

Io sbuffo. «Sono scivolate dal letto perché qualcuno ha deciso di svegliarmi come se fossi in un campo militare» rispondo secco e lui mi lancia un'occhiata furtiva. «Non puoi piombare in camera mia così, mi hai fatto spaventare» gli dico, sforzandomi di non pensare a tutte le cose che gli sto nascondendo e che d'ora in avanti aumenteranno. «È successo qualcosa?»

Lui sospira, mette a posto le coperte disfatte sul letto e si gira. «Questo sono io a chiedertelo. Perché ti sei chiuso a chiave? Pensavo di averti già detto di non farlo. Se fossi stato male...»

«Ma non stavo male» lo anticipo, riavviandomi i capelli. Henry incrocia le braccia. Conosco quello sguardo. «Senti, non è successo nulla, davvero. Ero solo in casa ieri, ho sentito un rumore dalla cucina e mi sono spaventato. Credevo fosse un ladro, ma mi sbagliavo. Ho chiuso la porta aspettando che tornassi, però mi sono addormentato dimenticandomi di aprirla. Non è grave. Non lo rifarò, promesso» giuro.

Non voglio che pensi che è stata colpa della sua uscita se è successo questo. Forse è stato il destino e basta, gli eventi si sono accavallati e semplicemente ho perso qualche conto. Henry si merita di avere finalmente una degna vita sociale, oltre che al lavoro. Non voglio che pensi che non mi può lasciare a casa da solo, d'ora in avanti. Mi ha già lasciato a casa varie volte, anche per giorni, ma si vede che il suo "ritardo" non era previsto.

«Comunque...» dico, svicolando il discorso «come è andata la serata?»

Per stare via tutta la notte deve essere successo di più che una semplice cena o film. Gli sorrido e riesco a farlo ridere.

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