Orario imprecisato. Paesello.
Quella notte la salita sembrava più ripida rispetto alle altre volte. Gli alberi più folti e la vegetazione non faceva sì che lo sguardo riuscisse ad andare oltre un metro. Quel maledetto zaino non aveva mai pesato così tanto. I graffi lasciati dai rami sulle braccia e sulla schiena facevano scorrere sangue. Il liquido scendeva fino a impregnare tutti i suoi vestiti. Per terra aveva trovato un bastone con il quale aveva iniziato a farsi strada tra le erbacce. Tutte le altre volte aveva solo contato sulle sue mani e sulle sue braccia. Sentiva la terra tremare e sbriciolarsi sotto i suoi piedi. I sassi su cui si poggiava non erano sicuri come le altre volte. Aveva paura che da un momento all'altro potesse ricadere e ritornare al punto di partenza. Stava scivolando, ma il bastone che aveva in mano riuscì a tenerlo in piedi. Aveva un coltello in borsa. E ne aveva bisogno. Sentiva di volersi fermare e farsi del male. Ma era impossibile aprire lo zaino, non riusciva a levarselo dalle spalle. Non riuscendo a raggiungere il coltello prova ad utilizzare quel bastone per infliggersi colpi sulle gambe, ma non ha forza nelle braccia e i colpi che vuole assestare non vanno mai a segno. Continua a camminare. A sanguinare. Scoppia a piangere. Un pianto di strazio e di liberazione. Dagli occhi scende sangue che gli dipinge il viso di rosso mentre cammina lungo quel maledetto sentiero come Cristo che porta la croce sul Calvario. Stremato dalla forza cade a terra inginocchiato ed alza gli occhi al cielo. Di fronte a lui si apre un piccolo squarcio di luce che lo ipnotizza e lo rimette in piedi. Prova ad asciugarsi quelle lacrime di sangue e ritorna sui suoi passi. La vegetazione sembra più nitida. La luce che trapela inizia a far distinguere i pini e gli abeti, il pavimento di terra ricoperto da ghiaia e aghi di pino. Mentre una brezza leggera inizia a soffiargli in faccia. L'aumento della luce è proporzionale all'aumento del freddo. Quella brezza si trasforma in un vento gelido che trasforma quel sangue in sudore.
"Mario? Mario smettila di piangere!"
Mario spalanca gli occhi e di fronte a lui c'è sua madre con gli occhi lucidi.
"Mario che succede? Perché stai piangendo?"
"Mà, ma che dici? Sto dormendo, mà!"
"Sei sudato fradicio e hai le lacrime sul viso, Mario"
"Mà, sarà stato un brutto sogno. Sto bene." Le si avvicina e le dà un bacio sulla guancia. "Mi fai un caffè?"
Il sudore impregnava le lenzuola e lui seduto sul letto non capiva bene cosa fosse successo quella notte. Aveva dei flashback mentre fissava la parete di fronte. Fissava quella foto di loro due abbracciati, al matrimonio del loro amico Leonardo. Di fronte a lui le scene di quel matrimonio in cascina. Delle giornate in cui si erano vestiti da fighi per eventi mondani o di quando insieme facevano jogging per strada con una tuta. Sudati e con un odore pessimo. Il suo pensiero andava alla serata precedente. Andava ai suoi occhi di ghiaccio. Un ghiaccio sciolto che aveva lasciato spazio a lacrime amare. Il suo pensiero va ai suoi amici. Al suo amico che l'aveva tradito. Il suo pensiero va a chi non aveva avuto il coraggio di dirgli tutto subito.
Prende il cellulare e cerca Megan in rubrica. Chiama. Il telefono squilla a vuoto.
"Eccoti il caffè! Mi dici che succede?"
"Nulla mà, dammi il tempo di riprendermi e arrivo di là"
È mattina. Magari. Le lancette della sveglia segnano le 13:27.
Oggi è domenica. Giorno di riposo. Esclusa la situazione, il periodo lavorativo di Mario nelle ultime settimane è stato davvero intenso. Il giorno prima, quarantanove anziani arrivati in pellegrinaggio per visitare il famoso Santuario di Paesello sono riusciti a far uscire in lui il demone che cercava di nascondere. Chi voleva il cappuccino. Chi voleva un caffettino. Chi lo voleva freddo. Chi lo voleva caldo.
"Basta." disse a Martina, quando la chiamò durante la pausa lavorativa,
"Questa vita mi distrugge. Mi sa che devo cambiare lavoro. Ho deciso. L'anno prossimo vado all'università. In effetti a questa età è un po' tardino. Ma chi se ne frega. Volere è potere." Lei annuì semplicemente, con un po' di menefreghismo che purtroppo non era nuovo a Mario, atteggiamento che molte volte era stato motivo di discussioni.
Ritorno alla mattina.
"Mamma?!"
"Ti sei alzato da quel letto, finalmente!"
"Si vede?" così dicendo le dà un altro bacio sulla guancia. "Papà dov'è?"
" È andato a trovare tua nonna."
"Ma è l'una e mezza?!" le chiede con un tono di difficile interpretazione tra una domanda e un'affermazione.
<<Forse non avrò visto bene la sveglia.>>
"Sai com'è fatto tuo padre, no? Trova sempre qualcosa da fare, quando non c'è niente da fare..."
"Va beh. Io vado al mare!"
"Ma non mangi?"
"Ho mangiato tanto ieri sera, mà"
Stende il telo da mare e si sdraia senza neppure togliersi la t-shirt. Con gli occhiali da sole fissa il cielo senza pensare a nulla. Senza cercare nulla. Ha scelto una spiaggia fuori mano dove non era mai stato prima. Sapeva solo che lì non ci andava mai nessuno. Era a poche centinaia di metri da una discarica. Aveva voglia di un po' di silenzio e di tranquillità. Aveva bisogno di dormire. Di riposare. Di non pensare. Aveva spento il cellulare e fissava il cielo.
Dietro di lui sentiva una presenza. Una voce di donna che non riusciva a riconoscere lo chiamava per nome, "Mario". Si volta ma dietro di lui non c'è nessuno. Solo il buio degli alberi che si piegano su se stessi. Una donna vestita di nero si fa spazio e gli allunga la mano. Afferrargliela sarebbe significato ritornare indietro. Le sfiora le dita delicatamente ma si gira e continua la sua salita, lasciando dietro le sue spalle quel nome pronunciato da quella donna che lo implorava di fermarsi e scendere insieme a lui. "Mario."
Quella spiaggia non era poi così silenziosa e priva di turisti. E il piccolo Ciro decide di interrompere il suo ennesimo sonno mancato con una pallonata sul costato.
"Cirooo! Stai attento, quante volte devo dirtelo? E vai a chiedere scusa al signore!"
Il piccolo Ciro si avvicina per prendere la palla e chiede scusa a Mario scappando via col bottino. La signora gli chiede scusa da lontano e Mario alza il pollice insù, facendole capire che va tutto bene.
<<Grazie Ciro. Mi hai fatto un grosso favore a svegliarmi.>>
Completamente bagnato dal sudore si leva la maglia e gli occhiali e si tuffa in mare per una lunga nuotata.
I pensieri sono tanti e cerca di definirli bene nella sua testa. Esce dall'acqua e prende carta e penna che sempre portava con lui e inizia a scrivere e a dare un nome a ciò che gli passava per la testa. Seduto su quel telo fissa l'orizzonte lontano fin quando non si decide di alzarsi e ritornare a casa per prepararsi per la partita di calcetto che avrebbe avuto poche ore dopo. Imbraccia il telo e si rimette in sesto incamminandosi verso l'auto.
Così come si era accorto poco prima, quella spiaggia non era poi così abbandonata. Il suo sguardo si incrocia con quello di Simona che era appena scesa dall'auto con la sua sorellina. Dopo essersi fissati per pochi secondi Mario distoglie lo sguardo. Piega la testa e sale in macchina.
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ONE SUMMER
RomanceScrivere un romanzo su un'estate adolescenziale è come scrivere un'autobiografia macchiata dall'esperienza dei 30 anni. Questo romanzo nasce oltre 15 anni fa, dopo aver vissuto insieme ai miei amici un'estate di cui portiamo ancora i segni addosso...