normal day

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capitolo 15

Parlare aveva avuto un effetto simile all'accettazione?

Non lo sapevo, ma quella notte sicuramente gli incubi non furono così  veri e reali da farmi svegliare, sobbalzare, boccheggiare o sudare e perdere preziose ore tra le braccia inquiete di morfeo.

Fu la prima mattina da quando arrivai al complesso, che non ero già in piedi alla sveglia delle 6.
La voce metallica echeggiò nella stanza mentre ero ancora sotto le calde coperte, in un dormiveglia piacevole.

Mi alzai più leggera.
Misi i piedi a terra e sentii quel pavimento come quello di casa. Non mi mettevo quasi mai le scarpe restando tutta la giornata nella struttura, ed ora che tutti i miei vestiti erano stati portati dall'appartamento in centro, potevo cambiare i soliti abiti con altri, sempre comodi e lunghi.

La giornata era calda, il sole fuori preannunciava un cielo chiaro e un tempo sereno. La luce filtrava dalla grande vetrata, illuminando la stanza.
Mi misi un pantalone di tuta grigio ampio e una maglietta lunga a maniche corte con sopra la solita felpa grigia.

Mi riusciva difficile ammettere che stessi bene, ma un sorriso involontario sul viso mi tradiva.
La stessa coscienza, che stava lottando per comprendere le nuove sensazioni, era confusa.
Non volevo che l'emozioni mi rendessero più debole, non volevo che qualcuno provasse pena, mi vedesse come un cucciolo abbandonato o un animale da compatire.
D'altro canto non desideravo nemmeno che quel benessere scivolasse via dal mio corpo non lasciandone neanche traccia.
Stavo bene. Dovevo solo accettarlo.
Eppure qualcosa mi mancava per farlo.

In cucina come ogni mattina trovai le solite facce impegnate nei loro affari.
La mia entrata non sconvolse nessuno fortunatamente, anche se non me l'aspettavo viste le rivelazioni del giorno precedente. Così, seduta su uno sgabello intorno all'isola e con il mio toast caldo sotto i denti, sbirciai tra i pensieri di qualcuno, innocentemente.

-oggi insieme a Wanda la faremo sudare di più, così magari impara a fidarsi la prossima volta-
pensava ironicamente Nat.
Mi rassicurai notevolmente quando giunsi alla conclusione che nessuno nella stanza stava provando quello che avevo temuto. Erano tutti più sollevati e qualcuno di nome Peter Parker era anche leggermente spaventato.

Risi all'idea di incutere timore, ed ero così assorta nei pensieri ed emozioni degli altri che non mi accorsi che qualcuno si era seduto accanto a me.
"da quand è che ridi di prima mattina?" mi schernì Sam.
"da quand'è che mi parli la mattina?"
ribattei sicura.
Ci tenemmo con lo sguardo, ma non resistemmo molto e scoppiammo in una leggera risata.

Falcon era stretto nelle spalle, con i gomiti poggiati sul marmo dell'isola, le braccia incrociate e la schiena un po' china.
Teneva la bocca storta in un sorriso schernitore che mi faceva ricordare il motivo per cui eravamo amici.
Entrambi ancora rallegrati dal primo scambio scrutavamo la sala e tutti i nostri compagni.

"Allora perché ridevi?" chiese rivolgendomi lo sguardo.
"niente, solo che sento che il bimbo-ragno ha paura di me dopo ieri" terminai sorridendo ancora al pensiero.
"beh, anche io lo sarei se non sapessi che sei dalla nostra parte" e mi accompagnò in una risata.
Continuammo piacevolmente la conversazione tra di noi a bassa voce, schernendo Peter, e trattenendo forti risate sotto i baffi.

Sentivo degli occhi inquisitori addosso, ma per quanto fossi tentata nel guardare e cercare nella sala chi fosse la persona interessata, gli ignorai e mi abbandonai ai momenti di amicizia con Sam, con cui sembrava che mi conoscessi da una vita.

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