trieste

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*in questo capitolo per comodità personale e filo logico della storia, non terrò conto del fuso orario



capitolo 33


Fu come riuscire a respirare dopo un obbligato affogamento. Sei sotto l'acqua e non riesci a muoverti. Risulta difficile nuotare. Non si puo' tornare in superfice e l'ossigeno non finisce, lasciandoti in una lenta e dolorosa asfissia. Ma Sam mi aveva teso la mano e con la sola forza dello sguardo, aveva mosso il mio braccio affinchè gliela afferrassi. Ora docilimente l'aria entrava nei miei polmoni quasi regolarmente.
Come sempre, però, la confusione attenagliava il mio stomaco e un'agonia conosciuta ritorceva le viscere. Un pezzo del puzzle era stato finalmente posizionato, ora ne mancava qualcun altro, e sopratutto quello di Bucky. L'immagine che stava iniziando a comparire non era reale, e la mia testa la disfaceva e le dava una interpretazione diversa ogni volta. Non capivo. Era frustante.

Con i nervi frementi di dubbi, adrenalina, agitazione e morsi dal terrore, arrivammo all'armeria.
«credo che questa sia la stanza migliore di tutto il complesso» rivelai a Sam che stava posizionando sul tavolo lo "zaino" metallico.
Una piccola risata e uno scuotere impercettibile del capo furono la sua risposta.
Io mi diressi verso i cassetti dove erano esposti coltelli e pugnali.
In silenzio. Lui ad armeggiare con qualche strumento in mano, riparando e migliorando le ali.
Io, affascinata, ammiravo le lame, le impugnature e le armi da fuoco agevoli.

Trascorremmo un tempo indefinito in quella camera ammaliante.
Quando uscimmo, sodisfatti del nostro lavoro, ridevamo per un qualche scherzo che, ora con gli anni si è dissolto nella mente. Ma il suono irregolare della temporanea felicità svanì: venne sostituito da due espressioni confuse, forse terrorizzate e allibite. Dalla finestra del corridoio non filtrava più la fredda luce invernale del pallido sole, ma un nero pece colorava il quadro della finestra.
Era notte. Era buio.
Che diamine di ore erano?
Ci scambiammo uno sguardo di "l'abbiamo fatta grossa" e corremmo verso le stanze ridendo, come se l'incrocio delle nostre emblematiche iridi avesse fatto scoppiare una scintilla e un muto accordo si fosse sigillato.
Era troppo tardi per cenare. Ci dirigemmo in camera mia.
Ormai il mio posto sicuro era il balcone, così ci sedemmo nel terrazzino.
Ora le risate non risuonavano più.
L'ardere della marlboro tra le mie labbra era uno scricchiolio impercettibile, ma nel silenzio assoluto dei nostri respiri riverberava come gli scoppi delle fiamme di un incendio.

«ora mi puoi dire cosa è successo con Buck, o devo aspettare che il ghiaccio di quel soldato si sciolga ancora un po'e che mi spifferi tutto lui?»
Nell'ironia c'era quella punta di amarezza che rende le domande di Sam rigide e serie. La stessa amarezza che li increspa le labbra nell'amaro sorriso.
Tono leggero appare divino, ma è terrestre per la nota amara della consapevolezza della realtà.
L'unico sistema che possedevo per celare, e allo stesso tempo mostrare, al mio amico la sofferente situazione, era l'ironia. «mi odia» una risata dolorosa accompagnò l'amara nuvola di fumo, graffiante nel buio assoluto. Lui sembrò sorpreso e allibito.
«come puo' l'uomo che ti ama, odiarti?!»
Io scossi la testa rassegnata
«non mi ama»
«oooh, sì che ti ama. Pensi che non vi ho sentito sul tetto?» Aspettai che il tabacco bruciasse ancora un po' nella mia gola prima di rispondere.
«se lo faceva, ora non lo fa più»
«io non ci giurerei...» Mi girai verso di lui con uno sguardo interrogativo. Sam scosse la testa e mi lasciò seduta sul balcone a crogiolarmi nei miei dubbi.
«dimmi che dormirai sta notte» mi supplicò sul ciglio della porta alle mie spalle: non ero riuscita a voltarmi, tanto ero presa dall'ambiguità della sua precedente affermazione.
«sai che studierò la città nei minimi particolari, vero?»
«avevo sperato di no» sospirò e poco prima di chiudere la porta in legno, accennò un "buona notte" dall'intonazione apprensiva e confortante. Non riuscì a sentire il mio "notte" che lo spiraglio di luce proveniente dal corridoio era già svanito, lasciando la stanza nella penombra lunare.

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