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capitolo 6

Qualcun altro stava sul tetto

Mi riscossi e uscii fin troppo rapidamente dalla mia testa.
In aria mi girai con la faccia  verso il pavimento da che guardava le stelle e atterrai accovacciata, senza che le ginocchia toccassero a terra, pronta ad agire.
Avevo ancora la testa china, non feci in tempo ad alzarla che mi ritrovai con quell'ombra bianca a pochi passi da me.

"c-che cosa stavi facendo esattamente?"
Era un po' incerto, la voce tremava leggermente e in faccia lasciava trasparire tutte le sue emozioni di confusione e stupimento.

Io intanto mi ero rilassata, non era un nemico almeno.
Ma ci misi poco a processare che ora dovevo delle spiegazioni.
"è complicato..." ero indecisa se continuare a parlare o meno, ero piuttosto imbarazzata. errore.
E se ne accorse, perché annuii con la testa e mi fece cenno di seguirlo.

Ci sedemmo sul bordo del cornicione, con le gambe a penzoloni che muovevo nervosamente.
Guardavo avanti, non avevo coraggio a vedere i suoi occhi. errore.
"non pensavo ci fosse qualcuno al complesso" gettai così di botto come se dovessi scusarmi.
"non dovresti essere alla cena di gala?"

Aveva le mani appoggiate al tetto e la schiena chinata avanti, anche lui teneva lo sguardo verso la città.
"non vado mai, rischio di far male a qualcuno" sospirò sorridendo lievemente.
"fare male a qualcuno?" rimasi stupita e confusa.
"si, ma stai evitando la mia domanda"
In effetti speravo che non se ne accorgesse, che si dimenticasse di quello che aveva visto senza che io dovessi entrare nella sua testa, impresa impossibile, di cui tutti i miei tentativi erano vani.
Ma probabilmente notò la mia esitazione nel rivelarli qualcosa e iniziò parlare, come per farmi coraggio.

"Mi chiamano Bucky, sono un soldato, passato dal proteggere la mia patria nella seconda guerra mondiale a, 70 anni dopo, seguire gli ordini dell'associazione che forniva le armi ai nemici.
Ma dopo tutti quegli anni, ora ero io l'arma.
Prima di entrare in questa famiglia, ci combattei contro. Lottai con il mio migliore amico, l'unico, facendoli male.
Dentro di me vedevo ciò che succedeva e urlavo di fermarmi, di smettere di combattere, ma non rispondevo.
Vedevo le persone soffrire, il metallo insanguinato.
Poi però loro mi portarono ad essere, non James, non the winter soldier, ma Bucky."

Ero rimasta in silenzio, ascoltando le sue parole e ritrovandomi cercando di collegare i miei fili con i sui.
"non lo sapevo".
Ero dispiaciuta, mi stavo scusando.
ma per cosa? non avevo detto niente, non li dovevo nemmeno una scusa!

Era sorpreso anche lui, infatti girandosi verso di me con la testa sorrise quasi divertito.
Con la coda degli occhi vidi che con lo sguardo mi stava suggerendo -ora è il tuo turno-.
Presi un respiro profondo, chiusi gli occhi e iniziai.

"anche il mio passato non è rosa e fiori. Ciò che mi hai visto fare è l'accettazione.
Rivivo i miei ricordi in terza persona, cercando di accettare ciò che ho fatto.
Ma non è solo questo. A volte da quando ho lasciato tutto, mi manca.
Non dovrebbe, ma sentire e vedere la morte in una persona mi da una strano brivido di mostruosità che con il tempo mi ha dato quasi dipendenza.
Non mi piace, ma sono la figlia di mio padre e questo sono diventata"

Ora mi stava guardando, non provava pena, ne mi stava consolando: mi capiva.
Stavamo condividendo ciò che entrambi avevamo provato. 
Condividere le nostre ferite.

"perché eri avvolta da una nebbiolina viola per tutto il corpo?"
Era curioso, teneva ancora gli occhi puntati su di me. Non mi forzava a dire niente, era calmo.
Mi girai e i miei occhi si spostarono sui suoi dopo un ultima occhiata allo skyline.
"sai di che colore appare la morte nella testa delle persone?"
alzò leggermente un sopracciglio.
"viola" continuai. "una macchia viola sbiadita, confusa, che annebbia la mente".

Ritornammo a guardare verso la città, dove i nostri compagni stavano chissà in quale palazzo a godersi un bicchiere di champagne.
nostri? sei seria?

Tirai un sospiro e dissi
"ci vediamo domani" mi alzai rivolgendoli ancora gli occhi, mi guardò e sorrise senza mostrare i denti, solo per annuire.
Un nuovo tipo di brivido mi attraversò la schiena. sarà il freddo.

In camera mi affacciai sul balcone, ancora intrigata in quello scuro così alto e irraggiungibile. Le stelle sembravano piccoli puntini che puoi prendere e mettere in un sacco, ma quando ci provi, e quando le indichi e provi a sfiorarle, ti arriva solo la sensazione di aria fresca e lontananza.

Mi addormentai, ma non cambiò molto dalle altre notti.
Gli incubi presero il sopravvento, iniziai a muovermi furiosamente, sudavo, tremavo e mi stavo congelando dal freddo stando senza le coperte che avevo buttato giù dal letto.
Mi alzai di scatto, respiravo a malapena. Mi ci volle un po' per ricordami che ero nella stanza del complesso e non nel giardino di casa mia.

(sogno:) ⚠️violenza fisica, se vi da fastidio saltate la parte del sogno⚠️
-
Ero stremata dall'allenamento che mio padre mi aveva fatto affrontare dalle 5 alle 8 del mattino.
Mi aveva dato appena il tempo di digerire la colazione che riniziammo con la seconda fase: i poteri.
Avevo a mala pena 7 anni, ma affrontavo ogni mattina 3 diversi tipi di addestramento a cui vengono sottoposti i militari americani e le più grandi spie.
Uno ogni ora: dalle 5 quando il sole era sul punto di sorgere, alle 8 quando ancora non bruciava l'asfalto.
Dopo mi portava nell'altra parte del giardino, dove non c'erano attrezzi o percorsi, ma la terra era smossa e l'erba strappata.

Una sedia di plastica mi aspettava ogni giorno alle 9.
Papà mi legava, si poggiava su un ginocchio per stare alla mia altezza e iniziava.
"vai piccola rid, vedi quell'albero?"
io annuivo e lui continuava
"voglio che tu lo butti giù,va bene rid?"
Solo lui mi chiamava per cognome.

Io strizzavo gli occhi, provavo a concentrarmi, ma non ci riuscivo.
Allora lui cominciava a spazientirsi e diceva,
"ieri ci sei riuscita, non dobbiamo però arrivare fino al punto di ieri? non dobbiamo, vero rid?"
Così io provavo, provavo, e fallivo, fallivo.

Papà a quel punto prendeva dalla tasca il coltellino e mi diceva piano all'orecchio
"io lo faccio per te rid, sforzati di più"

A quel punto, cercando di non farmi scoprire usavo la mano.
Lui si rallegrava per un momento, ma poi quando si accorgeva che non stavo facendo tutto solo con la vista, il volto si arrossava, si avvicinava tanto alla mia faccia che sentivo i suoi respiri profondi,veloci e  rabbiosi caldi arrivarmi taglienti in faccia.

Iniziava a urlare, mi ripeteva sempre che lui lo faceva per me, non ero abbastanza riconoscente.
Ad ogni parola, che mi colpiva, una lacrima mi scendeva, ma peggioravo solo la situazione.

"EMOZIONI RID?" si allontanava e sbattendo il piede a terra alzava sempre di più il tono di voce
"ERRORE, ERRORE, ERRORE"
Respirava, si calmava un attimo e la rabbia li si iniettava negli occhi, si riavvicinava al mio viso e sussurrava
"tutte le sensazioni che provi sono un errore" distoglieva lo sguardo e avvicinava il coltellino alle mie dita.

"se devi provare qualcosa, in questo momento devi sentire il dolore"
Iniziava a incidere tra le dita piccoli, veloci e profondi tagli.

Ingoiavo le urla e prosciugavo le lacrime

-
⚠️(fine sogno) ⚠️

Ogni notte un ricordo diverso.
Ogni notte una ferita diversa, un incubo solitario.
Ogni notte un dolore passato, un'oscurità che mi annegava nella sofferenza.

Ma quella mattina stanca, non avrei avuto nessun Papà che mi urlava, mi aspettavano solo qualche sforzo fisico, 2 ragazze sorridenti e un'ombra bianca con cui condividere ombre nere.


Ciao, questo capitolo è più corto del precedente, ma spero che vi sia piaciuto. Non sarà l'ultimo capitolo dove non c'è azione, ma mi interessava inquadrare bene il personaggio di violet.
Ditemi come sempre i vostri pareri!
e datemi qualche idea o suggerimento che vi piacerebbe portare nella storia, sono aperta a tutto. Grazie a tutti.
Al prossimo capitolo.

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