i'm not going

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capitolo 26

Il respiro era accelerato, vidi le scritte sul post-it e realizzai solo una volta giunta a "casa".
Non avevo idea di cosa dovessi fare.
Inoltre mille domande mi frullavano in testa e la sensazione confusa e piacevole del suo sguardo bruciava ancora sulla mia pelle.
I ricordi di ciò che ero riuscita a diventare si sparsero nella mia mente lasciandomi secondi di speranza nel potere tornare.
Ma la realtà mi colpì nel momento in cui si presentarono le immagini di ogni volto privo di vita a causa mia.
Il vuoto tempestoso si abbatté su di me, stravolgendo completamente quei secondi di fiducia nella mia possibile umanità.
Egoisticamente avrei voluto presentarmi, riattaccare i pezzi caduti, ricostruire i ponti, ritornare a sorridere e a confondermi quando emozioni intense mi invadevano nei momenti condivisi con Bucky.
Era riuscito quasi del tutto a scordarsi ed accettare i suoi demoni, aveva aiutato me con consapevolezza e sguardi penetranti.
Un travolgente legame ci teneva insieme, sentivo verso di lui una inarrestabile connessione e una complicità innata ci avvolgeva.
Di nuovo i frammenti di ricordi si dispersero.
Io ero tremendamente inumana, e il mio sopravvivere era dato solo dalla consapevolezza che Vali stesse organizzando qualcosa di ambiguo e funesto e io ero l'unica in grado di fermarlo, ero l'unica che sapeva che il suo era solo un piano per uno scopo più grande.

Combattuta tra il bisogno avido di riconcialrmi con i miei amici e lui, e la cognizione che il mio ritorno avrebbe potuto portare solo problemi, la parte più reale, umana e altruista di me vinse.

Non ci andrò.

La decisone era presa, nonostante gli abiti con cui avrei dovuto festeggiare erano appesi a una grigia stampella scarna, ero fermamente convinta e sicura che il mio ultimo scopo era fermare il mio "fratellastro".
Poi niente, tranne memorie sfocate, avrebbe avuto senso e la mia fine poteva giungere.
Avrei voluto scoprire la verità sulle visone che avevo avuto con l'ultimo incontro con Vali, ma altre idee e pensieri erano più importanti.

Mi immersi nell'acqua fredda della vasca spoglia.
Un sensazione di afflizione e una continua indecisione vagavano per la mia testa.
Soffocai ogni idea con le cuffiette che risuonavano "all apologies"
dei Nirvana a tutto volume.
La voce di Kurt annientava ogni pensiero e lasciava che il gelo dell'acqua e il contatto con la ceramica logora mi avvolgessero e mi facessero evadere per assopiti attimi.

L'acquisto di quell'ipod mi aveva salvato da molti incubi.
La sera mi bastava indossare gli auricolari, chiudere gli occhi e avviare la playlist confusionaria delle mie canzoni mischiate ai rimasugli dei titoli commerciali di quelle che mi ricordavano lui.
Così anche quella sera, sdraiata sotto il piumone, pulita e assonnata, chiusi le palpebre e mi abbandonai alle braccia di morfeo.

La mattina mi svegliai.
Teoricamente avrei ripreso a lavorare l'11 gennaio, praticamente mi ero riproposta di usare questo lasso di tempo per cancellare definitivamente le mie tracce e cambiare nuovamente identità in una nuova parte del mondo.
Restare per un lungo periodo nello stesso luogo avrebbe potuto far saltare la copertura e facilitare, chiunque mi cercasse, nel trovarmi.
Mi ero abbandonata al confort di questa città per fin troppo tempo.
Ci ero legata inconsapevolmente.

La musica si era interrotta e le cuffiette si erano aggrovigliate intorno al dispositivo disperso nel "letto", che in realtà era semplicemente composto da un materasso singolo poggiato sul parquet della casa.
Mi alzai e dopo essermi rinfrescata il viso, lo sguardo mi cadde sul riflesso di quei dannati abiti eleganti, comprati per una qualche evenienza di copertura, ma sarebbero potuti servire per qualcosa di reale.

violet   | marvel |Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora