KEREM
Avevo amato moltissimo mio padre fin da quando ne avevo ricordo.
Era stato il mio idolo, il mio punto di riferimento, l'esempio che volevo seguire.
Lui sapeva essere padre e amico. Quando avevo bisogno di parlare e confidarmi con qualcuno sceglievo sempre lui. Mi ascoltava attento, senza interrompermi e senza giudicarmi. Non mi rimproverava mai, ma mi invitava a riflettere sulle mie azioni e/o decisioni finché ero io stesso che mi rendevo conto di aver sbagliato.
Lo ammiravo e invidiavo il rapporto che aveva con mia madre. Dopo tutti quegli anni erano ancora innamorati come ragazzini. Quando la guardava, nei suoi occhi si poteva leggere un amore infinito, un desiderio ancora vivo e pulsante e lo stesso valeva per mia madre. Erano come calamite, non potevano stare lontani a lungo l'uno dall'altra.
Quando giunse la notizia dell'incidente e della sua morte sul K2 feci fatica a crederci. A quel tempo avevo vent'anni e per me la morte era un concetto astratto, una semplice parola priva di contenuto. A quell'età si vive una sensazione di onnipotenza e le tragedie della vita ci sembrano cose lontanissime, che non ci riguardano.
Quello che mi spaventò di più, fu vedere mia madre crollare come un castello di carte. Gridò come un animale ferito e poi più nulla, si perse in se stessa e si rinchiuse in un mondo tutto suo dove gli altri non potevano entrare.
La consapevolezza di quello che era accaduto giunse più tardi, quando nelle nostre vite arrivò Ferit.
Grazie a lui e alle sue cure amorevoli, la mamma riuscì ad emergere dall'oscurità, ma io capii che niente sarebbe stato più come prima e che mio padre non sarebbe più tornato...
Quella verità mi colpì come un pugno nello stomaco e per cercare di sfuggirle inizia a viaggiare e a scattare foto....proprio come aveva fatto mio padre.
Fu grazie alla passione per la fotografia che un giorno, per puro caso, notai delle piccolissime incongruenze nello scatto che ritraeva mio padre in vetta al K2 e che io portavo sempre con me.
C'era qualcosa che non mi tornava, qualcosa di strano riguardo alla luce e all'ombreggiatura del suo volto. Sapevo, per esperienza, che con appositi programmi si poteva fare di tutto, addirittura ritrarre gente in posti dove non era mai stata e così decisi di far esaminare quella fotografia da un laboratorio specializzato.
Il responso, per quanto lo avessi sospettato, mi lasciò di stucco: si trattava di un falso.
Non sapevo cosa fare.
Non volevo parlarne con mia madre, che finalmente aveva ritrovato un po' di pace, per non sconvolgerla di nuovo, anche perché quello che avevo scoperto in realtà non dimostrava proprio nulla, però mi imposi di risolvere quel mistero, dietro al quale avevo la sensazione si celasse qualcosa di più.
Feci delle ricerche su Internet ma non riuscii a trovare nulla sulla spedizione e sull'incidente che avevano coinvolto mio padre e questo mi sembrò davvero strano. Decisi allora di recarmi sul luogo e di rivolgermi direttamente alle autorità pakistane per saperne di più.
A mia madre dissi che dovevo recarmi là per lavoro e per tutti i documenti necessari all'espatrio mi rivolsi a Metin.
A lui, che era stato un grande amico di mio padre, rivelai quello che avevo scoperto ma anziché appoggiare la mia decisione di partire si oppose con fermezza ed io non ne capii la ragione. Dentro di me avevo sperato di trovare in lui un alleato ed invece....
SANEM
Ero appena rientrata da Istanbul dove mi ero recata per liberare il capanno di Can, che sarebbe poi stato espropriato e demolito dal Comune insieme al terreno. Era stato un viaggio nei ricordi di una vita ormai passata, ma che non avrei mai dimenticato e che mi aveva lasciato una nota nostalgica nel cuore. Con me avevo portato via solo due cose: l'album che avevo fatto io stessa e che avevo regalato a Can per un suo compleanno, tanti anni addietro e la sua vecchia macchina fotografica che volevo dare a Kerem.
Giunta a casa lo andai a cercare nella sua stanza.
Kerem ormai viveva da solo, come le sue sorelle, ma ogni tanto, soprattutto al rientro dai suoi viaggi o prima di partire, passava a trovare me e Ferit e si fermava con noi qualche giorno.
Lo trovai che stava preparando il suo inseparabile zaino.
"Posso disturbarti un attimo?" gli chiesi.
"Mamma tu non disturbi mai, lo sai" mi rispose.
"Ecco" gli dissi porgendogli la macchina "questa apparteneva a tua padre. Ci era molto affezionato e adesso vorrei che la tenessi tu... magari ti potrebbe tornare utile..."conclusi
"Grazie mamma...." sembrava in imbarazzo così lo spronai a continuare "cosa c'è Kerem...sai che puoi dirmi tutto"
"Beh in effetti c'è una cosa che vorrei chiederti....come hai fatto ad accettare la morte di papà?" mi domandò guardandomi negli occhi.
Rimasi in silenzio per un attimo e poi prendendo le sue mani tra le mie gli risposi: "in realtà non ho mai accettato la morte di tuo padre perché lui continua a vivere nel mio cuore. E' vero non posso più toccarlo, ma posso vederlo attraverso i tuoi occhi ed il tuo sorriso. Gli assomigli così tanto Kerem...In questi dieci anni non c'è stato un solo giorno in cui, svegliandomi al mattino io non abbia sperato che fosse stato tutto un brutto sogno...ma Can avrebbe voluto che noi continuassimo a vivere ....in fondo credo di essere stata fortunata, perché ho conosciuto il vero amore, mentre ci sono persone che lo cercano e lo rincorrono per tutta la vita senza mai trovarlo...anche sapendo tutto il dolore che ho dovuto sopportare, se tornassi indietro rifarei ogni cosa.." conclusi.
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VENT' ANNI DI NOI
RomanceQuesto racconto è il seguito di "Un amore Dimenticato". Com'è stato l'amore tra Can e Sanem? I vent'anni trascorsi insieme, la nascita dei figli, la loro quotidianità, fino al quel tragico incidente, come li hanno vissuti? E quello di Can è stato d...