Capitolo 8: IL CAMUFFAMENTO, Parte 1

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 Debora e Jandira si erano allontanate dal resto del gruppo, seguite da una catena di sguardi scombussolati.
Erano giunte al secondo piano, sostando di fronte al portone di un'antica biblioteca.
Debby si fece avanti con circospezione. Ancor prima di varcare l'entrata dell'aula, riconobbe quell'aroma a lei tanto familiare, sprigionato dalle pagine ingiallite dei libri. Fiutò con delizia quella spezia dolciastra e al contempo amara. Il sapore delle parole.
Entrarono.
La luce pomeridiana filtrava obliqua e vibrante. Nella biblioteca, le pareti di legno si contrapponevano al pavimento rivestito di tappeti persiani. Rasenti al perimetro dell'aula, si ergevano antiche ed imponenti librerie, intervallate nel muro frontale da finestre corniciate d'oro. Lungo i bordi degli scaffali di quercia scheggiata risaltavano trecce di rune. Sollevando gli occhi al soffitto era possibile abbracciare con lo sguardo un meraviglioso affresco, le cui immagini rappresentavano le creature più svariate: serafini, cavalli alati, colombe, cervi bianchi e rosati dalle nodose corna di forme e dimensioni singolari.
All'interno della biblioteca era stato posizionato un lungo tavolo di marmo, intorno al quale, attualmente, sedevano Ronald e Cheyenne. All'apparizione di Debby e Jandira, marito e moglie interruppero una conversazione parsa alquanto animata.
— Debora — disse Cheyenne sorridendo con goffaggine. — Ciao, cara. Il tuo soggiorno qui alla Magione procede bene?
Debby comprese all'istante di essere stata l'oggetto della precedente discussione tra i signori Lionchild. — Benissimo — rispose.
— Ti chiederai perché ti abbiamo convocata qui — presunse Ronald.
La ragazza tacque. Si limitò ad accomodarsi su una sedia di legno dal cuscinetto di cuoio rosso, lasciando sottintendere la propria curiosità. Jandira le si sedette accanto. Aveva l'aria d'essere... impaziente.
— Be', devi sapere — esordì Ronald — che dopo l'attacco demoniaco sferrato alla Sede dei Licantropi, certe voci sono corse piuttosto in fretta. Gli Occulti di Amsterdam sanno che sei viva – più di quanti dovrebbero essere. E vogliono incontrarti.
Un ginocchio di Jandira sfiorò la gamba di Debora. — In particolare le Fate — precisò. — Gli Stregoni e i Vampiri tendono a reagire in maniera piuttosto discreta, nonostante la faccenda li abbia incuriositi.
— E questo che vorrebbe dire? — chiese Debby. — Devo incontrare il Popolo Fatato, non è così?
— Sì, Debora — confermò Ronald. — Questa è una delle responsabilità di cui ti sei fatta carico.
La giovane apprendista annuì con vigore. — Certo, sono impaziente di conoscerle. — Continuò ad annuire, più a sé stessa che ad altri. — Quando avete previsto di incontrarle?
I coniugi Lionchild schiusero le labbra, intenzionati a rispondere, quando Jandira intervenne gracchiando: — Debora ha portato qui due Imperfette.
— Che cosa? — Ronald e Cheyenne sbottarono all'unisono. Possibile che risultassero affiatati e innamorati in qualsiasi cosa facessero?
— Non è vero — protestò Debora. Si voltò verso Jandira ringhiando in silenzio. — Innanzitutto, sono state loro a trovare me — puntualizzò. — E hanno visto tutto. Sono stata costretta a dire loro la verità.
Cheyenne sospirò. — Non penso sia stata la decisione migliore.
— Non ho avuto scelta.
— E invece sì. Avresti potuto...
— Sottoporla a chissà quale incantesimo? No, non intendo farlo.
Cheyenne la fissava con aria addolorata, mordendosi un labbro. — Senti, Debora... vorrei solo che ti rendessi conto di ciò che hai fatto. Capisco che tu abbia voluto dire ogni cosa alle tue amiche per avere ulteriori appoggi, e non te ne faccio una colpa. Ma ora, a causa tua, quelle due innocue ragazzine saranno costrette a sostenere il peso di un'immane responsabilità. È della massima importanza che taccino. Dio, Debby... Se tutti commettessero il tuo stesso errore, dove pensi che finiremmo? Gli Imperfetti sostituirebbero le macchine ai draghi, o peggio, si farebbero ammazzare dai demoni in un nanosecondo.
Debora percepì una stretta allo stomaco. — Riconosco di essermi comportata da emerita incosciente — ammise. — Ho agito senza pensare, rivelando un segreto ben più grande di me. Ma Rina e Lotty non sono stupide, e non faranno parola di niente a nessuno. Lo garantisco.
— Sarà meglio. — La donna trasse un tremulo respiro. — Scusa, Debora, ma è fondamentale che questa faccenda rimanga segreta. Altrimenti non avremo altra scelta che ricorrere a soluzioni drastiche.
Lo sguardo di Cheyenne non prometteva nulla di buono.
— Ricevuto.
— Bene. — La Prescelta fissò il limpido tavolo di marmo su cui poggiava le mani conserte. — Di' alle tue amiche che d'ora in poi avranno una certa propensione per la Vista, e che perciò non dovranno spaventarsi qualora notassero particolari insoliti. In ogni caso, cerca di non coinvolgerle troppo, Debby. Trattare con gli Imperfetti più di quanto non predichi la nostra missione non giova in particolar modo.
— Va bene. Ma c'è una cosa che non mi è ancora chiara — obiettò Debby. — In questa Magione, gli Occulti vengono ammessi senza alcun problema. Jandira, August e io siamo entrati facilmente. Per non parlare del fatto che uno dei direttori, Ronald, è un licantropo. Pensavo che gli Occulti non potessero accedere alle dimore dei Nephilim senza un permesso speciale; e tantomeno credevo che potessero dirigere una Magione.
I signori Lionchild si scambiarono uno sguardo. L'espressione di Cheyenne era del tutto ermetica. — I rapporti tra Occulti e Prescelti non sono mai stati dei più facili — spiegò. — Centinaia di anni fa, eravamo gli uni contro gli altri. Poi, un giorno, poco dopo la grave incursione demoniaca verificatasi nell'undicesimo secolo, un'imponente muraglia di argento minerale si erse dalle lussureggianti e fiorenti terre dell'Amazzonia. Ai quattro angoli della muraglia erano state incise in ossidiana quattro figure dalle linee spezzate, una per ogni razza occulta. Una stella a quattro punte per le Fate, un rombo equilatero per gli Stregoni, una sorta di clessidra rettilinea per i Vampiri e una circonferenza per i Licantropi. Al centro della muraglia era invece stato intagliato un ottagono, il simbolo rappresentativo dei Nephilim.
Debora rivide l'affresco staccato del corridoio al piano di sopra, poco distante da camera sua. I disegni geometrici di cui aveva parlato Cheyenne erano gli stessi che aveva scorto in corrispondenza di ogni dito dell'Angelo Primordiale. Non interruppe il discorso della Prescelta.
— Quell'enigmatico monumento era spuntato dal nulla, e ovviamente non passò inosservato, non agli occhi degli Occulti, dei Prescelti e di chiunque disponesse della Vista. Diversi individui di tutte e cinque le razze si recarono alla muraglia. Non riuscivano a capire né ad immaginare a cosa fosse dovuta la sua apparizione. Temendo che rappresentasse un pericolo, vi si accamparono davanti. I Nephilim e gli Occulti, nella loro stupidità, tentarono più e più volte di abbattere l'immane parete, invano. Solo dopo centodiciassette giorni di rispettosa convivenza, venne spiegata ogni cosa. Un licantropo particolarmente curioso si avvicinò all'incisione a forma di circonferenza. Non intendeva distruggerla, o danneggiarla. Si limitò a sfiorarla, e questa, come per incanto, rifulse d'oro. Un vampiro cercò di imitare il licantropo, senza successo. Il licantropo gli consigliò di provare con gli altri intagli, e presto ognuna delle cinque razze scoprì qual era il simbolo a lei appartenente. Quando tutti e quattro gli emblemi posti agli angoli della muraglia si illuminarono, affiorarono due diagonali dorate, che andarono a congiungere un simbolo rappresentativo all'altro, passando attraverso l'ottagono. Questo risplendette a sua volta, ed inscritti in esso apparvero gli altri quattro emblemi. Lo stemma in tal modo riprodotto venne riconosciuto come lo Stemma dell'Alleanza, e la muraglia, prevedibilmente, venne chiamata Muraglia dell'Alleanza. Le Forgiatrici Divine verificarono quale fosse la natura del materiale indistruttibile di cui era costituita la Muraglia. Si trattava, ebbene sì, di argento minerale fortificato con l'ohr. Era dunque opera degli Angeli Primordiali, un'intimazione a smettere di avventarci gli uni contro gli altri e a unire le forze al fine di poter raggiungere l'efficienza, di poter amministrare la giustizia, proteggere gli indifesi e promettere al mondo un lungo periodo di pace. Ci fu raccomandato di allearci e di continuare a coesistere pacificamente così come durante i centodiciassette giorni impiegati a decifrare il messaggio racchiuso tra le fondamenta della Muraglia. E questa, tuttora, rappresenta il tacito accordo secondo il quale i Figli della Luce e gli Occulti devono unirsi nella costante guerra contro i demoni, evitando di combattere tra di loro se non per autodifesa. Da allora, le quattro razze occulte elessero ciascuna un Portavoce, e i Nephilim nominarono a loro volta un Console, capo del Senato. I cinque rappresentanti così designati, rieletti solo alla morte di un delegato, diedero vita al Consiglio, e a partire da quel momento ne diressero le assemblee – di cui, solitamente, sono spettatori numerosi Occulti e Prescelti. Oggi, tuttavia, le cinque stirpi si tengono a debita distanza le une dalle altre. È così che vanno le cose, da sempre.
La donna riprese fiato, ma si non fermò. — In teoria, come avevi presunto giustamente, nessuna Magione dovrebbe acconsentire l'accesso agli Occulti, poiché in loro scorre sangue demoniaco. Dunque, ogni Magione dotata delle difese magiche necessarie contro i demoni dovrebbe respingerli. Gli Occulti, però, possono accedere alla dimora di qualsiasi Nephilim in due modi: attraverso un breve rituale d'accettazione o, altrimenti, semplicemente grazie all'assenza di incantesimi protettivi intorno all'edificio in questione. Casa nostra non è poi così grande. Quando mi innamorai di Ronald avevo diciassette anni, e lui diciannove. I miei disapprovavano la nostra relazione, per via della sua licantropia; ma Ronald e io non permettemmo loro di dissuaderci dal continuare a stare insieme. Al mio diciottesimo compleanno, abbandonai i miei parenti e scappai con Ronald da Dublino, dove ero nata e dove avevo sempre vissuto. Per quanto amassi la mia terra, detestavo chi la abitava. Uno dei miei più cari amici stava attraversando la mia stessa situazione: voleva sposare una vampira. Così fu disposto ad aiutare me e Ronald. Lui e la sua compagna ci diedero le coordinate geografiche di una villa situata a pochi chilometri da Amsterdam, proprietà di una famiglia di Imperfetti che da tempo serviva i Nephilim. Sai, certi umani dispongono per natura della Vista, e spesso decidono di lavorare per un gruppo di Prescelti in cambio di protezione. I nostri amici ci dissero che i proprietari della villa, ovvero gli Smit – al momento in ferie ­–, sarebbero stati molto indulgenti, e ci avrebbero permesso di essere ospitati e serviti. Così partimmo, e una volta arrivati, questa divenne non solo casa nostra, ma anche la Magione Dirigente di Amsterdam. Essendo una villa originariamente imperfetta e perciò priva di qualsiasi difesa magica, incaricammo Jandira di edificare intorno all'abitazione una cerchia di campi protettivi. La pregammo di rendere la Magione accessibile agli Occulti ed inagibile ai demoni. Volevamo che il nostro rifugio fosse un riparo e un luogo di riposo per chiunque ne avesse bisogno, che si trattasse di un Occulto, di un Prescelto o di un umano. In ogni Magione di origine antica, invece, non si fa differenza tra gli Occulti e i demoni, quanto ad accessibilità o inaccessibilità.
Cheyenne e Ronald si erano presi per mano, le dita allacciate armoniosamente tra loro, un unico e romantico nodo di sottili tentacoli umani.
La donna rialzò lo sguardo. — E sempre nelle Magioni più antiche, soltanto i Nephilim possono aprire il portone del palazzo, con un semplice tocco o, in modo più formale, richiedendo il permesso di entrare in nome del potere conferito loro dagli Angeli Primordiali.
Debby osservò il riflesso dorato sul tavolo di marmo lindo, mentre marito e moglie si guardavano sorridendo.
— Siamo del tutto tolleranti — disse Cheyenne. — Sosteniamo che i Nephilim possano e debbano accettare gli Occulti e viceversa. Pensiamo di poter convivere in assoluta pace. Evidentemente, c'è chi non condivide questo tipo di pensiero. Ma a noi non importa. A casa nostra, ogni membro del Mondo Occulto è il benvenuto.
Debora era affascinata. Quello dei signori Lioncihild era un amore persino più forte della legge. Più forte della tradizione.
— È... davvero ammirevole — disse. –– E se posso permettermi... — aggiunse rivolgendosi a Cheyenne — che ne è dei tuoi genitori?
La Prescelta sorrise, ma Debby riconobbe nel suo sguardo un barlume oscillante di intrinseca tristezza.
— Be', i miei genitori sono sempre stati puntigliosamente avversi al mescolamento delle razze. Del resto, sono stati influenzati dal Senato, ossia il corpo governativo dell'Istituzione Primordiale.
Ronald le passò un braccio attorno alle spalle.
— Mia madre e mio padre – ma soprattutto mio padre – posso essere considerati veri e propri conservatori. E questo implica un certo grado di ottusità — scherzò Cheyenne, con lieve amarezza. — Dopo essermi sposata con Ronald, i miei genitori decisero di tagliarmi i viveri, e mi costrinsero persino, in un modo o nell'altro, a troncare i rapporti con qualsiasi Nephilim conoscessimo entrambi. Oggi, benché siano passati anni, non vogliono avere niente a che fare con me e non hanno nessuna intenzione di aiutarmi qualora io ne avessi bisogno, poco importa quale sia la natura della mia necessità. Nonostante tutto, pretendono comunque di poter frequentare i loro nipoti. Ritengono che non sia colpa loro se loro madre si è innamorata di un licantropo.
Il tono di Cheyenne era pacato e controllato. V'era nostalgia, ma anche serenità, per via della gioia passata che aveva provato nel sposare Ronald contro la volontà dei suoi genitori e del compiacimento da cui era tuttora appagata per non essersi lasciata condizionare dall'intolleranza che lei e suo marito avevano dovuto sopportare. Dalla voce della Prescelta non emergeva alcun rimpianto.
Debby era commossa. — Capisco — biascicò. — Vi fa onore, il coraggio che avete avuto nel mollare tutto e tutti per realizzare il vostro sogno.
Jandira si schiarì la voce. — Sì, be', è davvero toccante. — Il suo sarcasmo era fuori luogo e mordace, abbinato ad una smorfia tanto annoiata da lasciar trapelare ogni disinteresse; da lasciar intendere quante volte avesse ascoltato quella storia commovente senza mai lasciare che le addolcisse il cuore e mitigasse l'anima.
Ronald tornò a Debora: — Sarà meglio che tu vada, adesso. Domani faremo visita al Popolo Fatato.
La ragazza sorrise e lasciò la biblioteca. Di buon umore, scese le scale e fece per dirigersi nel cortile posteriore, quando un accennato e contenuto brusio di voci attirò la sua attenzione. Seguendo quel sovrapporsi di sussurri, giunse in cucina, dove Lotty e Rina parevano invaghite dai racconti di Roy e Katrin, mentre August, appoggiato al bancone, taceva.
— Ed è così — concluse Roy — che noi Figli della Luce fummo creati.
Debby si fermò sulla soglia della porta. — Ehi, che state facendo alle mie amiche? — chiese con ironia.
— Ci hanno raccontato per filo e per segno tutto quell'assurdo ambaradan riguardo gli Angeli Primordiali — disse Rina.
— Be', tenetevi forte — li avvertì Debora. — Ho una notizia da darvi.
La curiosità galleggiò sul viso di ogni presente.
— Domani visiteremo la Corte delle Fate!
Lotty sbarrò gli occhi e Rina sputacchiò buona parte del tè che stava bevendo. I gemelli Lionchild, al contrario, non apparvero affatto stupiti, e l'espressione sul volto di August si rivelò ben diversa dalla sorpresa.
— Roy, Jason e io lo sapevamo già — esplicitò Katrin.
August abbandonò il bancone e scosse la testa, confuso. — Io non ne ero al corrente.
— E ci sarà pur un motivo.
Jason, nascosto tra le ante del frigorifero, si allontanò dall'elettrodomestico e addentò una mela.
— E con questo che vorresti dire? — August s'irrigidì tutto d'un tratto. Il petto gli si gonfiò di stizza.
— Avanti, August — lo incalzò il Nephilim con un odioso sorrisetto sardonico spiaccicato sulle labbra. — Sei un ifrit. Non servi poi a molto.
Un immediato barbaglio di collera attraversò il volto del ragazzo, che si avvicinò a Jason con fare intimidatorio. I suoi occhi baluginavano di minacce. Il Prescelto, in segno di totale noncuranza, manteneva le spalle afflosciate ed ingobbite.
— Devo forse ricordarti chi ti ha salvato la vita quando stavi per annegare in un paio di inoffensive gocce d'acqua? –– sibilò August, inviperito.
Jason lo fissò. Masticava la mela in maniera rumorosa e spavalda. Appariva del tutto indifferente alla provocazione da parte di August. — Io uccido demoni — rispose, impostando un tono discorsivo con perfetta disinvoltura. — E sono piuttosto bravo a farlo. Tu, forse, preferiresti essere uno di loro, rispetto a ciò sei ora. Un ifrit. Un essere incompleto, assolutamente... imperfetto. Condannato a non appartenere a nessun mondo. Non sei uno stregone, e nemmeno un umano.
La goccia
che fa
traboccare
il vaso.
La spina dorsale si August si intirizzì tutto d'un colpo. Il ragazzo serrò i pugni tanto forte che le sue nocche sbiancarono e i muscoli delle sue poderose braccia guizzarono in un lampo. Digrignò i denti con abbastanza nerbo da permettere a Debby di intravedere gli angoli della sua mandibola contrarsi in un continuo lavorio.
August osservava Jason come se avesse potuto ucciderlo con la forza del pensiero.
Debora si sentì persino spaventata alla vista della collera e della furia riverse negli occhi del ragazzo, un ragazzo che, in quel momento, pensò di non riconoscere.
August sembrava proprio sul punto di afferrare Jason per il la gola e di strozzarlo fino a poter cogliere l'ultimo luccichio di vita nei suoi occhi, e fino a poter ricevere in volto il flebile soffio del suo ultimo, languido rantolo d'agonia. Nessuno sapeva cosa lo trattenesse dal farlo.
Un austero e subitaneo silenzio tagliò la lingua ad ogni spettatore. Poi August scartò di colpo e se andò, di gran carriera.
Debora lo seguì d'istinto. Poco prima di abbandonare la stanza, però, si voltò verso Jason: — Qualsiasi tipo di insulto non basterebbe a descrivere quanto da stronzo tu ti sia comportato e che essere orripilante tu sia. Parli di demoni? — Le sue labbra gorgogliavano di rabbia. — La creatura più simile a un demone, qui, sei tu. — Lo guardò con disprezzo e rassegnazione. — Ottimo lavoro, davvero. Ti riterrai soddisfatto. — E detto questo, si lanciò al seguito di August. Nella stanza permase un greve senso di vuoto.
Rina, ancora seduta su uno sgabello al bancone, ringhiò verso Jason: — Ti conosco appena e mi sembri già un grandissimo pezzo di...
— No — la fermò Lotty. — Non ne vale la pena.
Kate incenerì Jason con lo sguardo, sferrandogli una gomitata dritto nelle costole. — Ma mi dici che diavolo ti passa per la testa, oggi?
Il Nephilim fece spallucce e si allontanò, le gambe dinoccolate in una falcata lunga e rilassata.

— August! — gridò Debora.
Fu inutile: l'Harley Davidson sgommò con clamore teatrale.
Debby, adirata, tornò all'interno dell'edificio con le idee ben chiare, se non cristalline, sul da farsi. Corse in cucina, dove ritrovò i gemelli Lionchild, Lotty e Rina, assorti in un vivo dibattito. — Devo seguirlo — dichiarò ansimando. — Vado.
Raggiunse in tutta fretta l'angolo dietro cui August, qualche notte prima, aveva posizionato la scala con la quale erano sbucati sul tetto della Magione. Una volta aver messo piede sulle tegole scivolose e muschiose, esitò. Le sue ali erano rimaste fin troppo a lungo celate e oppresse dalla carne che le circondava e salvaguardava. Debby sapeva che avrebbe sanguinato. E sofferto.
Ma doveva andare da August.
Allora chiuse gli occhi, e si buttò. Era cosciente del dolore causato dalle sue maestose ali nere quanto della salvezza che esse avrebbero potute rappresentare.
Una volta recuperato il senso dell'orientamento, Debora volò fino all'entrata della Magione. Avvertiva il flusso viscido, lento e caldo del sangue che sgorgava e colava lungo la sua schiena, cosa che tentò comunque di ignorare.
Ad un'altezza più elevata, visualizzò la vasta metropoli di Amsterdam e vi si diresse senza indugio, come se, alle sue spalle, non esistesse alcun passato a cui fare ritorno. Come se il futuro fosse lontano, ma non aspettasse altro che essere raggiunto. Come se, nel preciso istante in cui Debora aveva scorto gli scintillanti canali di Amsterdam, ogni ricordo precedente l'arrivo di August fosse deflagrato e dirotto in un'infinità di cocci, di schegge e di frantumi, su ciascuno dei quali riverberavano le immagini e le memorie di una vita che non le era mai appartenuta. Come se una parte del suo ippocampo fosse andata perduta, o avesse cessato di funzionare.
Debby era una colomba alla perpetua e disperata ricerca della propria, eterna compagna.
Arrivò a casa di August. Atterrò dolcemente davanti al garage; entrò, salì le scale, irruppe nella camera del ragazzo.
Ma di lui non v'era traccia.

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