Capitolo 3: LA REGINA DEI CIELI

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Le palline dei corn-flakes al cioccolato galleggiavano e intorbidivano il latte.
Lotty e Rina se n'erano andate da un po'.
— Ieri sera siete state sveglie fino a tardi, tu e le tue amiche.
Debora rivolse alla madre un sorrisetto innocente. — Era il mio compleanno.
Hanna si pettinò la frangetta bionda. Si avvicinò alla figlia dal bancone della cucina e con una mano le accarezzò una guancia; le sue dita vellutate profumavano di mandorla. — Hai ragione — le concesse. — Ma oggi sarà meglio che ti concentri sui compiti.
— Sì, mamma. — Debby osservò le rughette espressive attorno agli occhi di sua madre: le parvero raggi di sole.
Hanna era una donna molto semplice. Senza fronzoli. Le piaceva indossare vestiti comodi e pratici, come la tuta e il largo maglione di lana che al momento portava sulle spalle. Era ancora dotata di un fisico alquanto scolpito, nonostante l'età. Da giovane era stata una grande atleta sportiva, una campionessa di canottaggio.
Poteva vantarsi di splendidi e folti capelli biondi; aveva occhi color nocciola, una carnagione perennemente abbronzata e guance ricoperte di adorabili lentiggini.
Debora ricambiò l'amorevole sorriso della madre. Quest'ultima si voltò, e reggendo una tazza di tè caldo ai fiori d'arancio oltrepassò la soglia del soggiorno. Da questo comparve il marito, Edward Brouwer. — Buongiorno, tesoro. — Schioccò alla moglie un tenero bacio. — E buongiorno anche a te, Debora.
— Buongiorno, papà.
L'uomo si chinò in avanti per scostare un ciuffo di capelli color dell'ebano dalla diafana fronte di Debby. Fu un gesto incredibilmente dolce. Edward era un uomo altruista, cordiale ed amichevole. Rare volte aveva lasciato trasparire la propria rabbia. Ciò capitava, per esempio, quando entrando in camera di Debora rimaneva inorridito dal groviglio di vestiti infognati e gettati alla rinfusa tra le ante dell'armadio. Si era sempre domandato cosa nascondessero gli abissi di quel guardaroba.
Edward era un maniaco dell'ordine. Unico, inesorabile difetto.
Debby gli sorrise, e lui fece altrettanto, le sopracciglia folte e inarcate verso il basso, more ma spruzzate di grigio – come i capelli, d'altronde. Gli occhi castani di suo padre, contornati da occhiaie gonfie, erano ancora più piccoli di quanto risultassero solitamente, quand'erano incorniciati dagli occhiali neri rettangolari. La lieve ed accennata barba da detenuto, immancabile la domenica mattina, affiorava a livello delle basette.
— Ascolta tua madre — le disse Edward, sedendosi al tavolo accanto alla figlia.
Debby corse su per le scale.

Si era fatta sera.
Dopo aver cenato, Debora preparò la cartella e indossò il solito pigiama bianco. Scivolò sotto le coperte e circondata da un centinaio di pupazzi s'accinse a spegnere la luce. Poi udì un ticchettio alla finestra.
Era August. Bussava sul vetro.
La ragazza sgranò gli occhi. Sbatté via le coperte e trotterellò baldanzosa verso di lui, fino ad aprirgli. — Ciao! — lo salutò con enfasi.
Lui sfoderò un sorriso ammaliante.
Dal giorno prima, i dubbi di Debora non aveva fatto altro che infittirsi; ottenere risposte era diventato vitale. Tuttavia doveva ammetterlo: August le era mancato, anche se solo per un giorno. E in quel momento, Debby non poté fare a meno di rimanere magnetizzata dagli aggraziati movimenti del ragazzo. A partire dal modo in cui si sedette sul davanzale e accavallò una gamba dopo l'altra, fino al guizzo in cui i suoi addominali si tesero quando ruotò il torace e si alzò in piedi.
Le sfiorò le braccia con delicatezza. Tra le sue dita e la dolce carne della stregona non v'era che un sottile tessuto di lino. Il tocco di August disperse ondate di elettricità, e Debby continuò ad avvertirne il peso e il pizzicamento sulla propria pelle anche quando le sue mani la abbandonarono. Le sembrava quasi che il suo corpo fosse un fine foglio di carta e August non esitasse mai dall'accartocciarla e stropicciarla ad ogni semplice gesto.
— Oggi volevo venire a trovarti — le disse. — Poi, però, mi sono detto che sarebbe stato meglio lasciarti in pace. Cioè, darti un po' di spazio. Così, eccomi qua. A darti la buonanotte. — Si passò la lingua sulle labbra. Il suo sguardo vagò per la camera semibuia e ritornò infine su Debora. — Sai, stavo pensando... Che ne diresti se domani ci vedessimo? Per concludere ciò di cui stavamo parlando.
Santo Cielo, pensò la ragazza. Cosa c'è ancora?
— Certo — rispose. — Al Freedom verso le tre?
–– Direi che è perfetto. Allora ci vediamo domani. — Un sorriso apparve sul volto di August. Poi l'ifrit raggiunse il davanzale della finestra e vi si calò oltre, reggendosi al tappeto verticale di edera. Debby lo osservò, chiedendosi dove avesse imparato a muoversi con tanta agilità.

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