Nei giorni seguenti, August non si fece vivo. Debby non era sicura di volerlo rivedere dopo l'incoerente atteggiamento di cui aveva dato mostra lo scorso lunedì. Per non parlare della sua immotivata assenza. Tuttavia, il fatto che lui non si fosse presentato per porgerle le proprie scuse o semplicemente per occuparsi della sua integrazione nel Mondo Occulto, la irritava.
Ma finalmente, sabato arrivò.
All'uscita da scuola, August era lì, sulla solita Harley Davidson. La aspettava, e a giudicare da come i suoi occhi saettavano alla ricerca della Debora, doveva essere piuttosto impaziente.
Debby gli andò incontro. Si fermò ad un metro di distanza da lui, senza salutarlo. Lo fissava, la bocca ridotta ad una linea retta e priva di espressione.
August diede gas alla moto. Il suo volto assunse una smorfia interrogativa. — Be' — disse, — sei pronta a conoscere i gemelli Lionchild e Jason Blacklight?
Debby non rispose. Scongiurò l'attesa e montò in sella. Al diavolo, pensò. Entrare a far parte del Mondo Occulto trascendeva l'ambiguo comportamento di August.
Lotty e Rina scrutarono l'oscura sagoma dell'Harley Davidson fin quando questa non svanì nel nulla. Erano felici e preoccupate al tempo stesso. Ultimamente, Debora sembrava errare in una dimensione parallela ed ignota. A scuola era distratta, assente. Ignorava i messaggi, le proposte d'uscita.
Rina incrociò le braccia al petto, senza distaccare gli occhi dall'angolo dietro cui il veicolo nero aveva svoltato scomparendo. — Quel ragazzo la sta portando via da noi — latrò con tono aspro.
— Non esagerare — disse Lotty. — Si è semplicemente presa una cotta. Dovremo pur farcene una ragione.
— Capisco benissimo che si sia presa una cotta, ma non è una buona scusa per cui non cagarci — replicò Rina. — Insomma, siamo le sue migliori amiche.
Lotty trasse un lungo respiro. — Hai ragione. È probabile che si tratti soltanto di un periodo. Dicono che la prima fase di innamoramento sia la più devastante. — E con questo, le due si congedarono l'una dall'altra.
— Oh mio Dio. — Debby scese dalla moto con movimenti lenti e aggraziati, lo sguardo catturato dallo spettacolo a cui stava assistendo.
August sollevò le braccia. — Questa è la Magione Dirigente di Amsterdam.
Davanti a Debora, immerso nella verdeggiante campagna olandese, torreggiava un imponente edificio intarsiato di pietra e di legno.
— I Lionchild detengono il titolo di Famiglia Dirigente di Amsterdam — disse August. — Si occupano degli affari interni alla città, di qualsiasi questione riguardante i Nephilim, gli Occulti e gli attacchi demoniaci. Hanno un ruolo piuttosto importante al Centro Direzionale Primordiale di Amsterdam, ovvero alla sede direttiva dell'Istituzione Primordiale qui nella nostra città.
— E l'Istituzione Primordiale è...
— L'ente amministrativo formato da tutti i Prescelti in servizio.
Dopo una breve pausa di silenzio e di rielaborazione dei dati, Debby si voltò. — Su, andiamo. Non sto più nella pelle. — Raggiunse il portone di legno pregiato che l'avrebbe accolta all'interno della presunta Magione Dirigente. Su entrambe le ante spiccava il bassorilievo di un leone dorato. Dalle fauci dell'animale pendeva un batacchio che Debora agguantò all'istante. Ne percepì la freddezza e la consistenza, increspata nei punti in cui il materiale era vergato da fregi e ghirigori intagliati, criptiche incisioni.
Bussò, mentre August le si avvicinava. — Solitamente, fino ai diciotto anni i Prescelti dovrebbero passare l'anno all'Accademia e tornare a casa per le vacanze o per emergenze di vario tipo. Di recente, in effetti, i demoni si sono manifestati più frequentemente e in modo più aggressivo. È sospetto l'inizio di una guerra, ma è una cosa che accade spesso.
Debby trasalì. — Le guerre sono una cosa che accade spesso?
— Oh, no. I falsi allarmi, intendo — rettificò August ridendo fra sé e sé. — Sta di fatto che quando vengono registrati più attacchi demoniaci del solito, gli allievi delle Accademie, in tutto il mondo, sono esortati a ricongiungersi alle rispettive famiglie.
Debora lo guardò in tralice. — E pensi che questo sia un ulteriore falso allarme? Dimmelo sinceramente.
Per un momento, sembrò che August volesse tenersi la risposta per sé. — Nulla è certo — disse poi. — Presumibilmente no, non si tratta di un ulteriore falso allarme. Sarò sincero, stavolta la faccenda sembra essersi fatta seria. Ma come ti ho detto, molte volte capita di essere sicuri che debba scoppiare una guerra tra demoni e Nephilim, quando alla fine non succede nulla. Non preoccuparti. Almeno per ora, non hai nulla da temere.
Debora sbuffò appena. — Be', devo dire che così mi rassicuri molto. — E prima che August potesse replicare, s'affrettò ad aggiungere: — Quindi, visto che vanno all'Accademia, i Prescelti non nascono imparati. Voglio dire, qualcuno deve comunque insegnare loro a padroneggiare i poteri che si ritrovano a dover gestire sin dalla nascita, giusto?
— Certo — confermò il ragazzo. — Anche se a dire il vero, è più complicato di così. Una delle cose che mi ha sempre affascinato del sistema accademico dei Prescelti è il fatto che ogni Nephilim cominci l'apprendimento a un'età diversa. Iniziano a frequentare l'Accademia quando su di loro appare l'emblema della famiglia a cui appartengono; prima di allora, sono gli istruttori privati assunti dai loro genitori o i loro genitori stessi, ad occuparsi della loro educazione e della loro istruzione.
— Per cui, cominciano ad andare a scuola solo quando compare il loro emblema? — chiese Debby.
— Sì. Ora che ci penso, credo di non essere stato abbastanza preciso, a proposito del simbolo che li marchia a vita. Ecco, vedi, per i Prescelti, l'emblema non è come il cognome per gli Imperfetti. Non prendono per forza quello del padre, e non possono cambiarlo, o scegliere il cognome di entrambi i genitori. È imprevedibile quale emblema segnerà la pelle dei Nephilim. Su di loro potrebbe apparire, per il 50% delle possibilità, il simbolo rappresentativo della madre, e per il restante 50% il simbolo rappresentativo del padre. Fatto sta che, alla comparsa dell'emblema, il Prescelto in questione ha finalmente il diritto e il dovere di recarsi all'Accademia, dove viene sottoposto all'insegnamento di varie materie, teoriche e motorie. Di rado capita che l'emblema appaia prima dei sei anni, o dopo i quindici.
Debby lasciò trasparire la propria curiosità, non ancora soddisfatta e dissetata, con espressione inquisitoria. — Vorrei che mi togliessi un altro dubbio. Dopo tutti questi discorsi di angeli, e demoni, e Bene e Male, i Nephilim hanno a che fare con Dio?
August schiuse le labbra. Non si aspettava certo una domanda tanto complessa ed enigmatica. — Mi trovi impreparato. Questa è una delle più grandi perplessità che abbia mai tormentato il Mondo Occulto. I Prediletti testimoniano ben poco. Stando a quanto riportano le fonti, gli Angeli Primordiali dissero loro: "Con questo dono, ti è conferito il potere angelico. Combatti il Male, proteggi gli innocenti, diffondi l'armonia. La Luce scorre in te. Ti predilige, ti ha prescelto". Ed ecco tutto. Non hanno accennato a nessun Dio, o a nessun Signore. Hanno usato una terza persona singolare, ma a chi si riferissero rimane ignoto. Alcuni pensano che gli Angeli Primordiali parlassero della Luce come entità superiore astratta. Altri ritengono che i creatori dei Prescelti furono inviati dall'Angelo Uriel, il cui nome significa "Luce di Dio", in ebraico. Altri ancora si convertono a una determinata religione – non è raro, di questi tempi; è una scelta personale. Ma per principio, i Nephilim non credono in nessun dio. Credono in ciò che hanno visto, o più che altro, in ciò che alcuni di loro hanno dichiarato di aver visto. Hanno fede negli Angeli Primordiali e nella missione che è stata loro assegnata, ossia proteggere gli Imperfetti dai demoni e garantire la pace nel mondo.
Debby rimase in silenzio. Era stregata da ogni particolare di ogni leggenda e tradizione che le venisse raccontata.
August la guardò, in silenzio, il viso amabilmente sciancato da un sorriso placido ed ingiustificato.
Poi, d'un tratto, un nome familiare riecheggiò tra i pensieri della stregona.
Rina.
Rina aveva sempre ed inspiegabilmente rilevato la presenza di particolari soprannaturali, proprio come Debora, tenendole così compagnia nella sua solitaria estraneità.
— A che stai pensando?
Debby si riscosse. — A Rina. Vede esattamente le stesse cose che vedo io. Ed è così da sempre.
— Rina? — August corrugò la fronte.
— Sì, Rina. Bionda, alta, figa. Una delle mie migliori amiche.
— Oh!
Debora ebbe l'impressione che August si fosse ricordato di Rina non prima d'aver recepito la parola "figa".
— È probabile che sia naturalmente dotata della Vista — ipotizzò il ragazzo. — Ce ne sono diversi, di Imperfetti come lei.
— Già — parlottò la stregona. — È probabile...
All'improvviso sopraggiunsero voci, gridolini e risate attutite dalla lontananza. Il portone si spalancò con bruschezza. August e Debora si scansarono per evitare di essere travolti dai battenti di legno. Dall'edificio ruzzolarono una ragazza e un ragazzo – due Prescelti. Si davano strattoni e gomitate, ridacchiando euforicamente. La Prescelta sbarrò gli occhi, come se non si fosse accorta dei due nuovi arrivati. — August! — esclamò. — Eccoti qua! Vi stavamo aspettando.
Poi Debby catalizzò la sua attenzione.
— E tu devi essere la famosa Debora. — La abbracciò.
Debora rimase stordita dall'affetto istantaneo. Non era sua abitudine ricevere tanto contatto fisico da una sconosciuta.
La ragazza a lei estranea si scostò appena, senza smettere di tenerla per le braccia. — Piacere, io sono Katrin. Ma puoi chiamarmi Kate. E lui è mio fratello Roy.
Il Nephilim le strinse la mano con fare energico e rivitalizzante.
Debby studiò con attenzione i gemelli Lionchild. La parentela tra i due era nitida e netta, evidenziata da tratti pressoché identici: stessa mandibola, stessi occhioni color smeraldo, stessa corporatura scolpita. Ma ciò che accomunava i due Prescelti più di ogni altra cosa, e li rendeva quasi indistinguibili l'una dall'altro, era senza dubbio la capigliatura: una miriade di dreadlocks biondi. Katrin teneva le ciocche stoppose raccolte in una folta e ispida coda, mentre Roy lasciava che i capelli crespi gli ricadessero sulle spalle, sciolti in tutta la loro riottosità.
— Dov'è Jason? — chiese August.
— Dovrebbe arrivare — disse Kate.
— Sono qui.
Si voltarono tutti verso l'entrata del palazzo. Un ragazzo vestito completamente di nero scendeva una piccola rampa di scale. — Finalmente ti conosciamo, Debora. — La sua voce era grave e profonda. Corposa, palpabile. Sensuale. — August ha contorto e assillato le nostre menti fino a farci impazzire, parlandoci di te. Spero che tu valga tutti i minuti persi finora.
Debora non poté fare a meno di rimanere incantata, a prescindere dall'arroganza del Nephilim. Era catturata dall'accenno dell'emblema che gli si arrampicava sulla gola. E i suoi occhi, di un marrone tanto chiaro da variare al giallo-arancio, conferivano al Prescelto uno sguardo tagliente ed intrigante.
Debby fece scorrere lo sguardo lungo l'atletico e slanciato fisico di Jason, soffermandosi sulle spalle, sui bicipiti, sui pettorali di cui si intravedeva la curva attraverso la scollatura della maglietta.
Il Nephilim era bello quanto irritante e borioso.
Debora si portò una mano al petto. Contrattaccò: — Anch'io sono felice di conoscerti, signor "vi prego portatemi via di qui ho di meglio da fare".
Kate sghignazzò. — La ragazza ha carattere.
Jason non fiatò. Il suo sguardo dichiarava guerra. Si avvicinò tanto che con un solo passo falso, le sue labbra avrebbero incontrato quelle di Debby. Chinò il capo. Dal suo collo pendeva un ciondolo rotondo, che Debora adocchiò all'istante, rilevando inoltre una particolare incisione. L'intaglio raffigurava un sole nero: era probabilmente quello, l'emblema del Prescelto. E la sottile linea che Debby aveva scorto poco prima sull'affusolato collo del ragazzo non poteva essere altro che un raggio di sole.
— Non hai torto — disse Jason. — Avrei di meglio da fare, in questo momento. E infatti tolgo il disturbo. È stato un piacere, Debora. Per quanto breve. Ma d'altronde, i piaceri migliori sono quelli meno duraturi, non è vero?
Debby si trattenne dal ridacchiare. — Su questo si potrebbe dibattere a lungo — ribatté prontamente.
Jason sorrise. Si incamminò verso il portone. Prima di svanire nel nulla, si voltò. Rivolgendosi a Debora, aggiunse: — Ah, e comunque, begli occhi.
Neanche i tuoi sono male, pensò la diretta interessata. Poi si girò verso August. Quest'ultimo seguiva Jason con sguardo assottigliato. Pareva quasi che volesse polverizzarlo con la sola forza del pensiero.
Le ante del portone si richiusero con un rimbombo.
— Scusatelo — intervenne Katrin. — È fatto così.
— Vorresti dirmi che si comporta sempre in questo modo? — domandò la stregona.
Roy rise. — Sconvolgente, vero?
— Ritornando a noi... — intervenne August. — Come già vi ho spiegato, Debby e io siamo qui perché è mio compito farla integrare nel Mondo Occulto ed insegnarle a governare i suoi poteri. Volevo solo che vi conoscesse. Ora dobbiamo recare visita a Jandira.
Debora lo squadrò. August le sembrò strano, diverso dal solito. Gli leggeva negli occhi, nei gesti nervosi e nella rigidità assunta tutta d'un tratto, che aveva fretta di andarsene. Ma per quale motivo?
— Così presto? — gli chiese allora.
Kate si sollevò sulle punte affinché i suoi occhi potessero riflettersi in quelli di August. — Già! Così presto? — le fece eco.
— Così presto? — s'aggiunse Roy scimmiottando la sorella.
— Non abbiamo parlato praticamente di nulla, se non dell'apparente stronzaggine di Jason — disse Debby.
— Apparente? Effettiva! — la corresse il Prescelto.
Debora sorrise, ma restò esclusivamente concentrata sul contradditorio comportamento di August.
— Mi è venuta un'idea. — Katrin alzò un braccio come per rispondere a una domanda posta in classe.
Debora, August e Roy si girarono a guardarla.
— Cosa ne direste se vi accompagnassimo? — propose. — Potremmo tornarci utili a vicenda. — Si approssimò a Debby cingendole le spalle con un braccio. — E poi ero così curiosa di conoscere Debora. Non puoi portarmela via così in fretta. — La guardò sorridendo.
— A me va bene — disse Roy.
August appariva ancora irrigidito. — E Jason? — domandò.
— Non penso che verrà — rispose Kate. — Ha reso l'idea.
— Okay. Allora andiamo.
Jason, pensò Debora.
Il problema era Jason. Sin da quando aveva varcato l'ingresso del palazzo, August non aveva fatto altro che scoccargli occhiatacce trasudanti disprezzo e risentimento.
Roy, Katrin e Debby si scambiarono uno sguardo insospettito. Ognuno di loro si limitò a recuperare il proprio veicolo.
Mentre August si avviava verso l'Harley Davidson, la stregona colse l'attimo e lo raggiunse. — Tutto bene? — Gli posò una mano sulla spalla, ma appena scorse i fiammeggianti occhi del ragazzo, la ritrasse. — Improvvisamente ti sei fatto cupo.
August tacque per diversi istanti. — Sto bene. È solo che non lo sopporto.
— Stai parlando di Jason, non è così?
— Già.
Debby esitò. — Che ti ha fatto di male? — gli chiese infine.
— Hai visto come si comporta?
— Sì, l'ho visto chiaramente. –– Debora piegò un'anca, portandosi le mani alla vita. — Ma è evidente che ci sia qualcos'altro sotto. Lo guardavi con occhi pieni di... di rancore.
La moto ruggì con fragore, quasi volesse rispondere al posto di August. — Diciamo solo che fra me e lui non è mai corso buon sangue — concluse l'interpellato. –– Ora scusa, ma non mi va di parlarne. Dobbiamo andare da Jandira.
Debby si rassegnò e montò in sella.
Roy e Kate li raggiunsero poco dopo. Guidavano due moto verniciate di tonalità sgargianti. — Lo so — disse Katrin. — Ci piacciono i colori accesi, che vi devo dire?
Debora sorrise e gli altri anche, mentre August si rivelò impassibile. L'atmosfera era tesa.
Finirono con l'allontanarsi dalla Magione una volta per tutte.
— Sulla porta d'entrata non dovrebbero penzolare teste vudù rimpicciolite? — scherzò Roy additando la baracca di legno.
Katrin non faceva che dimenarsi nel vano tentativo di liberarsi dall'intrico di rami rinsecchiti in cui era rimasta intrappolata. –– Roy, evita –– lo rimproverò, sfregandosi le braccia ormai ricoperte di graffi. –– Povera Debby. Non confonderle le idee.
I due Prescelti, l'ifrit e la stregona si trovavano di fronte ad una capanna in rovina posizionata a ridosso degli alberi. La stirata luce del pomeriggio deponeva sull'aria un vanescente telo dorato.
August si fece avanti e bussò, le nocche grattarono contro la muschiosa porticina di legno.
Aspettarono.
Dopo attimi che risultarono interminabili, l'esile porta si spalancò tutta d'un colpo. Sulla soglia apparve la figura di una donna orientale piuttosto anziana, il cui corpo era interamente fasciato da un sari indiano color rosso magenta.
Debora era pronta ad avanzare, quando la donna le sbatté la porta in faccia, tanto forte da far tremare le pericolanti pareti di legno marcio.
Roy, Kate, Debby e August batterono le ciglia come cerbiatti smarriti. Da dietro le sottili e fragili mura della catapecchia, Jandira tuonò: — Cosa volete da me?
August si accostò alla baracca. — Sono August, Jandira. Con me ci sono i fratelli Lionchild e Debora.
— Debora chi?
— Debora la figlia di Akemi Urushiba.
Una successione di clangori metallici infranse l'etereo silenzio del bosco. L'anziana sferragliò serrature dopo serrature finché la porta, cigolando, non si schiuse appena. Un occhio nero come l'ossidiana roteò guardandosi intorno, alla ricerca di un particolare ben identificato. Finì col posarsi su Debora, studiandola con scrupolo. Fu allora che la porticina si aprì del tutto. — Entrate — brontolò Jandira. — Ma qualsiasi cosa vogliate, fate veloce. Siete tutti ospiti indesiderati. Tutti tranne lei. — Indicò Debby. Poi voltò le spalle e tornò all'interno della casupola.
Tutti e quattro i ragazzi, attoniti, la seguirono con circospezione.
Se all'esterno la baracca era apparsa piccola e malandata, all'interno si rivelò esattamente l'opposto. Dopo uno stretto e allungato corridoio dalle pareti e dal pavimento rivestiti di soffici tappeti rossi, la dimora era costituita da un'unica ed enorme stanza circolare sul cui soffitto era dipinto un meraviglioso mandala buddhista. La sala era gremita di antichi oggetti indiani: cuscini ricamati, arazzi, lampade, sculture, candele, statue induiste.
— Sedetevi sui cuscini che trovate per terra — bofonchiò l'anziana.
Il gruppetto di ragazzi si inginocchiò su un semicerchio di cuscini spinosi disposti attorno ad un narghilè oro e verde. Nell'aria screziata aleggiava un profumo di incenso amaro.
Jandira offrì ad ognuno dei temporanei ospiti una tazza oblunga di tè nero aromatizzato. — Allora... Per quale motivo siete qui, di preciso? — chiese, sprimacciando un cuscino e sedendocisi a fatica.
August s'apprestò a risponderle, ma Debora lo precedette: — Recentemente, ho ritrovato e scoperto i poteri che mi furono sottratti alla nascita dagli stregoni di Azazel. Non riesco bene a controllarli. Anzi, non sono minimamente in grado di gestirli. Si manifestano a loro piacimento, e non posso prevederli.
L'anziana scrutò Debby con intensità, senza smettere di centellinare la bevanda speziata. Dopodiché si alzò ed iniziò a girellare intorno ai ragazzi. — Sai, Debora, tempo fa conobbi tua madre durante un viaggio a Tokyo — esordì. — Era l'Imperfetta meno imperfetta che avessi mai conosciuto. Tu me la ricordi molto, ed è per questo che prima ti ho guardata storto. Aveva le tue stesse sopracciglia sottili ed inarcate, le stesse labbra ripiene. Akemi era una gran donna. Se hai preso qualcosa da lei, se hai anche solo la metà della sua audacia, sarà un piacere avere a che fare con te. In cosa posso aiutarti?
Debora si limitò ad osservare Jandira nei minimi dettagli. Spessi e crespi ciuffi di capelli grigi risaltavano a contrasto della chioma nera. Tartarughesche rughe le aravano il volto, in particolare attorno agli occhi. L'incarnato color cacao era piacevole a vedersi, e il puntino rosso in mezzo alla rugosa fronte della donna, decorato da una catenina dorata poggiata sul capo, non faceva che attirare l'attenzione.
Nel complesso, Jandira era un'anziana alquanto rubizza.
— Vorrei che mi insegnassi ad incanalare i miei poteri — rispose Debby. — E che mi spiegassi cosa c'è di sbagliato nel mio Marchio. Gli occhi viola ce li ho da quando sono nata, ma le ali nere, al contrario, sono nuove. Si sono dispiegate già due volte, a partire dal mio diciassettesimo compleanno. È stato impossibile prevedere quando sarebbero apparse.
Jandira si portò una mano al mento. Tamburinava le dita su una guancia mentre il palmo le copriva la bocca, come se le linee della vita potessero suggerirle una qualsiasi teoria riguardo all'instabilità fisica di Debora.
— Umm... — rimuginò. — Penso che tutte queste variazioni di Marchi siano dovute all'improvviso ed inimmaginabile ritorno dei tuoi poteri, che ha totalmente destabilizzato l'equilibrio del tuo organismo. A proposito delle ali, non sono sicura. Sei appena all'inizio della trasformazione, per cui la permanenza del tuo nuovo Marchio è ancora una semplice ipotesi. Spero per te che l'apparizione delle tue ali resti così com'è, cioè incostante e sporadica. Tuttavia, è necessario imparare a prevedere e a padroneggiare quest'inspiegabile fenomeno. In caso contrario, dovresti passare il resto della vita a camuffare il tuo Marchio attraverso un'infinità di incantesimi. O verresti cacciata a calci dalla tua adorata famiglia e saresti costretta a nasconderti per sempre. Sai, c'è un motivo se ci chiamano Occulti.
— Jandira — sibilò August.
Debby si voltò di scatto. Non comprese la sua reazione.
Il ragazzo si crucciò. — Non sappiamo ancora come la prenderebbero i suoi. Non essere così precipitosa.
— Oh, ti prego. È una stregona, sveglia — cantilenò l'anziana schioccando le dita a pochi centimetri dal volto di August. — Come pensi che reagirebbero i suoi genitori adottivi, qualora dovessero assistere ad una delle sue mutazioni? Cosa farebbero, secondo te? La butterebbero fuori di casa, ecco cosa farebbero. Non le rivolgerebbero mai più la parola, o penserebbero che sia posseduta e chiamerebbero un esorcista. La manderebbero in un centro di ricerca. Le possibilità sono diverse.
— Finiscila — sbottò August. Si alzò in piedi con fare minaccioso. — Questo è quello che è successo a te! Non è detto che a lei debba toccare la stessa sorte.
Tutti quanti i presenti sgranarono gli occhi e portarono lo sguardo a Jandira, curiosi e allo stesso spaventati da come avrebbe reagito.
— August Ferreyra — lo incalzò la donna con fare calmo e controllato in apparenza ma palesemente furioso in profondità. Fu sul punto di proseguire, quando qualcosa, o meglio, qualcuno la fermò.
— Scusate se vi disturbo — s'interpose Debby, — ma penso che spetti a me decidere cos'è meglio per me e la mia famiglia. Il rivelare o meno la mia... come dire, immortalità, è una questione di cui preoccuparsi in un futuro prossimo. Non ora. Prima, voglio imparare a gestire i miei poteri. Sono qui per questo. — Poi si volse all'anziana: — E tu, Jandira, come fai a sapere che sono stata adottata? Hai sottolineato che i miei genitori fossero adottivi.
La donna si voltò verso August. — Oh — disse piano. — Lei non lo sa.
Debora s'allarmò. — Di che sta parlando, August?
Il ragazzo ricambiò il suo sguardo. Non rispose, cedendo il posto ad un silenzio raggelante.
— August? — insistette lei.
L'ifrit si mordeva l'interno del labbro inferiore in preda ad un perenne tic nervoso. Le sue pupille tremolavano, fuggivano.
— Come mai non gliel'hai detto, Ferreyra? — sogghignò Jandira. — Volevi tenertela tutta per te? Ma quale gesto egoista, da parte tua.
— Ora basta! — proruppe Debby. — Esigo una spiegazione.
Nessuno osò fiatare.
— Immediatamente! — aggiunse allora.
Sempre spiegazioni, pensò. La mia vita ruota costantemente intorno alle spiegazioni.
— Che facciamo? — chiese l'anziana, contribuendo all'umiliante soggezione di August. — Glielo racconti tu o glielo racconto io?
Kate sospirò in modo clamoroso. — Se non lo fa nessuno dei due, interviene la sottoscritta. Sto iniziando a perdere la pazienza.
Debora la guardò in tralice. — Benvenuta nel club.
— Okay, okay — cedette August. — Debby, c'è una cosa che non ti ho detto. Una cosa che dovresti sapere.
Debby tacque. L'ansia le artigliava lo stomaco. Non si era mai aspettata che fra lei e August sarebbero mai esistiti segreti.
— Tua madre s'era guadagnata una certa fama, nel Mondo Occulto — disse l'ifrit. — Quando morì, rimase una leggenda. E tu con lei.
Debora scosse la testa. — Non capisco. Che intendi dire?
— Tutti sapevano che Akemi era stata ingravidata da Azazel — continuò August. — Per cui era scontato che sarebbe nato uno stregone o una stregona molto potente, poiché i figli dei demoni superiori sono più forti rispetto ai figli dei demoni ordinari. Il Mondo Occulto pensava che saresti stata tu, la nostra salvezza. Perciò, erano tutti impazienti della tua nascita. L'unico inceppo che aveva impedito a tua madre di salvarci in maniera definitiva era stata la mancanza di poteri. Ma, da questo punto di vista, tu non avresti avuto alcun problema. L'unione tra la nobiltà d'animo e la fibra morale di tua madre e i poteri derivati da tuo padre, ti avrebbe consentito di salvarci.
Debby aggrondò le sopracciglia in un cipiglio di disorientamento. — Ma salvarvi da cosa? — domandò. Le sue dita fremevano lievemente, in un accenno di panico.
— Da tuo padre — rispose Jandira. — Da Azazel. Sin da quando è stato trasformato in demone, non si è mai fermato. Non ha mai cessato di tormentare gli umani, e di conseguenza, non ha mai smesso di dare grattacapi a noi Nephilim e Occulti. Perché? Perché mandando in tumulto gli abitanti della Terra avrebbe causato la perdita dell'equilibrio e arrecato il disordine più totale tra Tenebre e Luce.
Nessuno ebbe il coraggio di interrompere Jandira, la quale procedette: — Come già saprai, Debora, Azazel era un angelo, un tempo. Furono i suoi simili a predire la punizione di cui avrebbe sofferto eternamente. Tuo padre desiderava e desidera tuttora vendicarsi di ciò che lui ritiene un torto da parte degli Angeli. Può farlo in maniera indiretta, cioè colpendo gli Imperfetti. In questo modo, interverranno dapprima i Prescelti, poiché la loro missione è garantire la salvaguardia degli umani. Dopodiché reagirà l'intero Mondo Occulto. Ed infine, tuo padre creerà scompiglio persino nel cosiddetto Paradiso. — L'anziana si voltò verso i gemelli Lionchild. — Kate e Roy, voi eravate molto piccoli, e Azazel era sul punto di ritirarsi, ma forse vi ricordate ancora dei tempi caotici in cui vivevamo all'epoca.
I due annuirono, al che Jandira tornò a Debora: — Tua madre riuscì ad ostacolare Azazel, per qualche tempo. Poi, però, tuo padre fece ritorno. Ancora oggi rappresenta una minaccia per tutti noi, seppur nessuno lo veda più da... be', in effetti, da quando sei nata tu. Fatto sta che, quando Akemi venne meno, ti diedero per morta. Per cui, poco fa mi è parso logico che tu fossi stata adottata.
Debby non batté ciglio. Desiderò di poter fermare il tempo e di limitarsi a fissare il puntino scarlatto tra le folte e nere sopracciglia di Jandira. Sì, le sarebbe bastato. In quel momento, l'idea di immobilizzarsi per l'eternità era allettante.
Ma si trattava di un desiderio inesaudibile.
Debora tornò in sé stessa, benché sconvolta. Guardò August.
— L'abbiamo fatto per te, per proteggerti — si giustificò il ragazzo. — Nessuno ti avrebbe mai dato tregua, se avessero saputo della tua sopravvivenza. E tra l'altro, avevi perso i poteri. Ti immagini in che situazione ti ritroveresti ora se tra i vari problemi dovessi pure preoccuparti di tutte le aspettative che i Nephilim e gli Occulti avrebbero riversato nei tuoi confronti?
Debby non resse. Le lacrime cominciarono a scivolarle lentamente lungo la mandibola; un indistricabile nodo alla gola la indusse a boccheggiare, strangolandola. — Quindi — ansimò, — vorreste dirmi che l'intero Mondo Occulto sa chi sono ma mi ritiene morta?
— Esatto. Pensa quando tutti sapranno la verità — si eccitò Kate. — Quando sapranno che sei pronta a combattere. Sarà fantastico!
Debora sobbalzò. — Combattere? Chi ha mai parlato di combattere?
Si fece irrequieta. Le dita le si contraevano in spasmi di nervosismo. Sudava, e il panico la travolgeva. Si alzò in piedi.
Jandira fulminò Katrin. — Non se ne parla, Kate — la biasimò. — Non ci pensare nemmeno per un secondo. Sarebbe la fine di tutto. La notizia si spargerebbe e in men che non si dica arriverebbe fino ad Azazel. Sai perfettamente cosa succederebbe in tal caso. L'esistenza di Debora deve rimanere segreta. Almeno per adesso.
Debby si guardò attorno con aria estremamente confusa. Pianse. — Scusate — fu l'ultima cosa che disse. Corse fuori e si sbatté la porta alle spalle.
August gridò il suo nome, ma Jandira gli impedì di seguirla.
L'impatto con l'ambiente boschivo fu violento. Debora pensò che, uscendo dalla capanna, avesse valicato la soglia di una nuova dimensione. L'istantaneo abbassamento di temperatura la stordì; fu come tuffarsi in acque gelide.
Iniziò a correre, senza una meta precisa, fedele al proprio istinto. Giunta sulla punta della collina, si sedette sull'erba fresca e pungente. Lì, dove gli alberi si aprivano armoniosamente in un diorama luccicante, Debby lasciò che i suoi occhi viola versassero la profusione di lacrime trattenute controvoglia, così da sfittire la nebbia dal suo sguardo appannato e ammirare il tramonto in ogni sua calda sfumatura purpurea.
Osservò le nuvole giocare sullo sfondo del cielo. Poi, repentinamente, sentì un ramo spezzarsi.
Era Jandira.
La donna le si avvicinò e si adagiò sul prato a gambe incrociate, come se si preparasse ad un'intensa meditazione.
Debora, che si era portata le ginocchia al petto, si sfregò le guance con le maniche del maglione, bagnandole di sentimenti caotici e addolorati. Una lacrima rimasta intrappolata tra la coda dell'occhio e la guancia marmorea le cadde fino all'angolo della bocca. Debby si passò la lingua sulle labbra per asciugare la lacrima, e ne gustò il sapore salato. Non si voltò finché Jandira non parlò.
— Si vede che sei una stregona orientata verso il cielo — mormorò l'anziana. — L'istinto ti porta verso l'alto, verso il cielo aperto. — Sollevò lo sguardo rivolgendolo alla distesa arancione proveniente da Occidente.
La ragazza tacque.
— Sai, Debby, i nostri Marchi ci rappresentano — disse Jandira. — Il tuo potrebbe significare che sei ambiziosa, che miri sempre in alto. — Sorrise appena. — O che sei destinata a qualcosa di grande.
Debora ricambiò l'intenerita espressione dell'anziana. Il viola dei suoi occhi, mischiato ai roventi colori del tramonto, le tingeva le iridi di rosa.
— Jandira? — la chiamò.
— Sì?
— Stavo pensando... Qual è il tuo Marchio?
La donna non rispose. Riportò al cielo ogni sua attenzione. — Il mio Marchio è meno discreto, rispetto al tuo — disse poi. — Dunque lo camuffo. Continuamente. Non ho altra scelta.
Debby studiò Jandira alla ricerca di un indizio qualunque. Invano. — Posso vederlo? — le chiese infine, arrendendosi.
L'anziana rimase in silenzio. Poco dopo, Debora venne abbagliata da una luce talmente violenta da costringerla a voltarsi e a nascondersi il viso tra le braccia. Quando riaprì gli occhi, le sembrò di ritrovarsi di fronte ad un'altra persona. La treccia che Jandira aveva portato fino a pochi secondi prima si era sciolta del tutto; i suoi capelli erano passati da un grigio e un nero smorti ad un vivacissimo oro. Il resto del suo corpo aveva subito la stessa trasformazione: la pelle, le unghie, gli occhi, le labbra. Persino i denti vennero rivestiti da una fodera dorata.
Debby rimase a bocca aperta.
— Non fissarmi così — si infastidì Jandira. — È maleducazione fissare il Marchio di uno stregone. Non te l'hanno insegnato, da piccina?
Debora si scusò. –– È che... è così bello.
La donna sorrise fievolmente. A poco a poco, il suo aspetto tornò quello di prima. — Ora basta parlare di me — tagliò corto. — Riguardo te, giovane stregona, sappi che la vita di noi Occulti è piuttosto dura. Per non parlare della tua situazione. Porti sulle spalle un grosso peso, Debora. Un macigno. O di sicuro lo porterai. È difficile, sì. È probabile che tu sia infinitamente turbata, troppo scioccata anche solo per tentare di analizzare le tue condizioni. Ed è legittimo che tu ti senta così. Ciononostante, è necessario pensare alla tua preparazione, alla tua sicurezza e al tuo conseguente benessere. Vorrei che in questi giorni ci rivedessimo. È possibile?
La ragazza indugiò. Poi annuì risoluta.
— Splendido — gongolò Jandira. — Ora sarà meglio che ti riposi.
Debora fece per alzarsi, ma l'anziana la trattenne per un polso. — Un'altra cosa, ragazza. August.
— August mi ha mentito. — Debby si rimise in piedi sopraelevandosi rispetto alla donna. — Io non dimentico facilmente. E perdono le bugie, persino le più innocue, con difficoltà.
— L'ha fatto per proteggerti –– replicò Jandira. — Le sue intenzioni erano delle migliori.
Debora si affondò le unghie nei palmi delle mani. — Non ne dubito, ma avrebbe dovuto dirmi la verità sin dal principio. Avremmo evitato tutte queste scene.
— In ogni caso, ti volevo parlare di lui e del legame che vi unisce l'una all'altro — spiegò Jandira.
Fantastico, pensò Debora. Ora mi tocca persino la psicoterapeuta di coppia.
— Di certo sai già — disse l'anziana, — che August è un ifrit. Per una creatura del suo genere, la sopravvivenza e l'accettazione all'interno del Mondo Occulto sono più difficili che per ogni altro Occulto. È una prova alquanto ardua, per gli Ifrit, scegliere di non servire il Male, di cambiare strada, di imboccare e seguire la retta via. August ha sempre vissuto nelle Tenebre, ma il suo cuore non vi è mai appartenuto. Poi arrivò tua madre, e lo strappò dalle grinfie di quell'Oscurità. Quando Akemi morì, ciò che infuse ad August la forza necessaria per aggrapparsi alla Luce e non ricadere nel Buio... eri tu. Proprio tu, Debora.
— Mia madre gli ha affidato un compito — puntualizzò Debby. — Quello di difendermi. Di prendersi cura di me. Gli ha dato uno scopo, e la sua vita ha avuto un senso grazie a questo obiettivo. Non grazie a me.
Jandira ignorò l'intervento della novella stregona. — Ad ogni modo, l'aver cambiato stile di vita trasferendosi ad Amsterdam con te, non lo condusse a grandi miglioramenti. August compiva buone azioni ed era guidato da un fine preciso, sì. Come hai detto tu. Ma non era abbastanza. Come ti dicevo, questo non bastò a farlo stare meglio. E poi, un giorno, tu sei entrata nella sua vita. O meglio, lui è entrata nella tua. Be', vi siete incontrati. Lui ed io ci conosciamo da parecchio tempo, e ultimamente l'ho visto diverso. Cambiato. È più allegro e solare nel più semplice e puro dei modi. Ha una luce, negli occhi, che prima d'ora non ha mai avuto. E quella luce sei tu, Debora. Da quando ti ha conosciuta, l'ho visto rinato. So che è così anche per te, non mentire. Non sono nata ieri. Proprio non direi.
Debby chinò il capo. — Non lo nego. — Si voltò senza aggiungere altro.
— So a cosa stai pensando — riprese Jandira. — Credi comunque che sia stata tua madre a riportare August alla vita, e non tu. Pensi che lui stia con te solo perché gli ricordi la mitica ed insuperabile Akemi Urushuiba. Ma non è così, puoi credermi. Tua madre gli ha semplicemente teso una mano. Gli ha permesso di effettuare il passaggio attraverso il quale ha abbracciato la Luce scongiurando le Tenebre. Eppure, quando serviva Akemi, i suoi occhi non brillavano come fanno con te. Debby, credo che tua madre sia stata l'aggancio. Ha fatto sì che voi due vi incontraste, che il destino avvenisse. Penso che il vostro sia molto più di un semplice legame. Lo vedo da come prende le tue parti, da come ti protegge, da come ti guarda, da come pronuncia il tuo nome. E lo deduco da come tu lo osservi, da come lo ammiri, dal senso di protezione che affiancarlo ti trasmette. Basta guardarvi. I vostri corpi mantengono costantemente la stessa distanza, sono inseparabili. I sentimenti che nutrite l'una nei confronti dell'altro si percepiscono nell'energia che emanate e create attorno a voi. Sono una stregona, e certe cose le avverto. Potrà sembrarti ridicolo, ma penso che il vostro sia amore, e niente di più. Se non altro, questa è l'impressione che mi date. Ora, parliamoci chiaro. Senza di lui saresti morta, ma... in un certo senso, anche tu lo mantieni in vita. Siete essenziali l'uno per l'altra.
Debby non sapeva se definirsi esaltata od oppressa dal discorso di Jandira. O magri entrambe le cose. L'anziana tuttavia le era sembrata così assorta, nei propri pensieri, che non avrebbe voluto interromperla.
— Com'è che la sai tanto lunga? — le chiese però. — Non ti facevo così romantica.
— Non è romanticismo — obiettò Jandira. — Ricorda, cara Debby. — Si alzò da terra. — Parla una che in passato ha trovato il suo amore, un amore forte come quello tra te ed August. E alla fine, l'ha perso.
Debora non commentò. — Ma perché mi stai dicendo tutte queste cose? — domandò. — Vuoi forse illudermi? Sto già abbastanza male.
— Oh, no. Potrei, ma non è mi intenzione. — La donna abbassò lo sguardo. Poi lo rialzò, sospirando. — Forse lo faccio perché mi ricordi qualcuno. — Detto ciò, Jandira sì spolverò i fili di erba secca dall'immacolato vestito rosso. — Immagino che tu non abbia nessuna voglia di tornare a casa con gli altri — aggiunse.
All'improvviso, un lucente specchio d'acqua argentea si materializzò dal nulla.
— Visualizza casa tua e il portale ti ci farà arrivare — disse Jandira. — Mi assicurerò che tu sia arrivata a destinazione sana e salva, non temere.
Debora si avvicinò alla fulgida superficie. — La tua è solo una sensazione. Non dico di non provare nulla per August, ma ora come ora, ciò che sento è tutto meno che amore. Lui potrà anche avermi mentito a fin di bene, ma la verità è... che a volte temo ancora di non potermi fidare di lui. E finché non avrò chiarito questo punto, non potrò capire quali siano i miei veri sentimenti per lui.
Il riflesso argentato di Debby tremolava incessantemente, deformando e storpiando la sua figura. Pensò che quell'immagine, spezzata e deturpata, non avrebbe potuto rappresentare meglio il suo attuale stato d'animo.
Non si aspettava un'ultima risposta o contestazione. E infatti non ne ricevette.
Concesse a Jandira un debole ma genuino sorriso. — Grazie.
Chiuse gli occhi e attraversò lo specchio argenteo.
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Le Origini Negate
FantasyDebora non pensa di avere precedenti. Non pensa di avere un passato, né un futuro. Ma ha incredibilmente bisogno di entrambi, più di quanto possa immaginare. E sarà solo quando i suoi sogni e i suoi incubi si realizzeranno brutalmente, che se ne ren...