Capitolo 21: SANGUE, AMORE E ADII, Parte 2

228 21 17
                                    

Katrin percepiva sulla schiena la freddezza e l'indeformabilità della colonna contro cui poggiava. Osservava una serie infinita di coppie perfette, e non sapeva cosa le convenisse di più: allietarsi, od ingelosirsi?
Qualcuno le toccò una spalla. La Prescelta, fedele al proprio istinto, si voltò all'istante.
Era Ian.
–– ...Ciao. –– Il vampiro si avvicinò . –– Splendida serata, non trovi?
Kate rilassò le spalle e al contempo si irrigidì: sapeva cosa aspettarsi. –– Già –– rispose freddamente.
Ian annuì in maniera impercettibile. –– Ti... va di ballare? –– esitò.
Katrin lo squadrò con aria altezzosa. Il ragazzo indossava uno smoking celeste che valorizzava indiscutibilmente i suoi occhi azzurri, rispecchianti il mare in tempesta. I capelli color cenere gli si arricciavano in prossimità delle orecchie, ed il pallore e la magrezza del suo volto testimoniavano la sua immortalità.
–– Sì –– acconsentì lei, dopo qualche istante di tacito indugio. Prese il vampiro sottobraccio e lo condusse in pista.
Lì, iniziarono a ballare, cullati dalla musica mite e gradevole. Kate rimaneva distaccata, imperturbabile. Incollava gli occhi al pavimento e manteneva da Ian una distanza che prima di allora non li aveva mai separati.
–– Kate... –– la chiamò lui.
La Prescelta rialzò lo sguardo color smeraldo, corrucciato e minaccioso. –– Che c'è? –– ruggì. –– Non lo sai che con la luna piena divento particolarmente nevrotica?
–– Anzitutto, mancano ancora due settimane, alla luna piena. E comunque, pensi che mi sia avvicinato a te e ti abbia chiesto di ballare per rimanermene zitto?
Katrin ammutolì. –– Va bene. Ti ascolto –– acconsentì infine.
–– Voglio che mi perdoni –– disse Ian.
La ragazza esalò un solo risolino. Secco, un verso monocorde. Quasi isterico. –– L'erba voglio non cresce neanche nel giardino del re.
Lui le afferrò le mani e le serrò tra le proprie, con severo vigore. –– Lo desidero con tutto me stesso. –– Le sue parole erano enfatiche e ardenti.
–– So che lo desideri –– reiterò Katrin. –– Anch'io vorrei che le cose tornassero come prima, tra noi due. Ma i fatti sono fatti, e non possiamo ignorarli. Fra noi non ci devono essere segreti, Ian. Non voglio costringerti ad illustrarmi il motivo per il quale continui ad invecchiare. Voglio dire, sarebbe meglio se ti confidassi di tua spontanea volontà. Devi capire, però, che finché non saprò chi sei veramente, non potremo riavere quello che avevamo un tempo.
–– Ma tu sai già chi sono veramente –– sbraitò Ian. –– Il fatto ch'io invecchi non cambia ciò che rappresento. Sei la persona che mi conosce meglio al mondo, e sappi che nel momento in cui saresti messa al corrente del mio segreto, non cambierei. Rimarrei sempre lo stesso Ian.
–– Allora perché non darmi questa fottuta spiegazione?
–– I vampiri non dovrebbero invecchiare, Katrin. Lo sai molto bene. C'è qualcosa che non va in me. Qualcosa di negativo, e difficile da ammettere.
Kate sembrò calmarsi: Ian era serio. –– Okay, ma... non pensare che accetterò di stare di nuovo con te senza sapere qual è il tuo segreto. Nel caso tu non voglia darmi spiegazioni, potremmo tornare normali coetanei, persone che non devono per forza abbassare lo sguardo ogni volta che si incrociano per i corridoi. Tuttavia, non riavremo mai il tipo di relazione che vuoi tu e che, nel profondo, voglio anch'io.
Il vampiro torse le labbra. –– Non si può proprio fare?
–– No –– ribadì Katrin, ferma ed irremovibile. –– Te l'ho detto, possiamo tornare ad avere rapporti civili, ad avere la stessa amicizia e la stessa fiducia che avevamo prima. Ma niente di più.
Ian abbassò il capo e annuì. –– D'accordo –– si rassegnò.
Era nato accompagnato dalla promessa di morire dentro, da una dura verità, da una maledizione. Perché sapeva che il suo segreto gli avrebbe reso la vita difficile, se non impossibile; quella vita che gli era stata sottratta sin dal principio. E capacitarsi del fatto che il suo stesso corpo, che il suo stesso sangue gli vietasse la letizia proveniente dall'amore di Kate e per Kate, lo dilaniava, lo uccideva, rendeva mortale ciò che non lo era.
Allora Ian aggiunse: –– Non credere che non tenga a te abbastanza da rivelarti il mio segreto. È che si tratta di qualcosa più grande di me, qualcosa di cui non vado fiero. Mi dispiace, Kate.
La Prescelta si sentiva vessata dalla curiosità e dall'impazienza. Ma strappare la verità di bocca ad Ian non sarebbe stato giusto: la fiducia tra loro due sarebbe stata riscattata e avrebbe dimostrato di valere solamente in nome della genuinità e dell'istintività.
–– Non importa –– lo consolò perciò Katrin, tentando di accettare la situazione contro la propria volontà.
E l'avrebbe fatto per lui. Per Ian.
–– Rispetto la tua decisione.
Il vampiro sorrise appena, e il suo sorriso era onesto, anche se fioco e rammaricato. –– Grazie. –– Se avesse assecondato il proprio temperamento, si sarebbe chinato a poggiare le proprie labbra su quelle di Katrin. Ma gli era impossibile. Per cui le domandò: –– Posso... almeno abbracciarti?
Kate lo abbracciò ancor prima di rispondere: "Sì, ti prego". Incastrò la testa nell'incavo tra il mento e il collo di Ian; le sue braccia lo accerchiarono e lo avvilupparono a sé. Lui la avvolse con un braccio e con una mano le accarezzò gli ispidi dreadlocks. Percepiva il calore del suo fiato sul proprio collo; inalava con rimorso e nostalgia il solito, familiare, irresistibile odore di Katrin: il profumo al patchouli, l'aroma di pepe bruciato, l'essenza di sangue e di Nephilim che solo un vampiro sarebbe riuscito a fiutare. L'essenza dell'insoddisfazione, della delusione, della scontentezza e del desiderio più famelico.
Rimasero così: Kate racchiusa nell'abbraccio di Ian, come se il sole avesse cessato di esistere e l'unica luce risiedesse paradossalmente nell'anima del vampiro; e lui che custodiva il suo cuore, caldeggiando la melodia dei loro corpi.

–– Balliamo?
Natasha guardò Jason con cipiglio provocatorio. –– Credevo che tu non ballassi con le ragazze che non portano gonne o abiti.
Il Nephilim rise in modo lieve, reclinando la testa all'indietro. –– E io credevo che tu non ballassi con i ragazzi tutti ripuliti.
Natasha accettò la mano che il Prescelto le aveva porto, ed insieme si consacrarono alla musica.
–– Hai mai cercato di trovare la tua famiglia basandoti su archivi e documenti? –– domandò Jason, tutto d'un tratto.
La Prescelta alzò lo sguardo sul ragazzo. Le spalle di costui erano risaltate dal taglio dello smoking; i suoi occhi giallo-arancio e le labbra dalla linea spezzata ed irregolare lo rendevano tanto bello da far male.
Non desiderarlo era un affronto. Ma Natasha imprigionò quel pensiero tra le mura della mente che l'aveva partorito, e tra le labbra che non gli avevano dato voce. –– No –– rivelò. –– Lo stregone che mi ha accompagnata durante questi di anni di ricerca si serviva semplicemente delle sue competenze.
–– Be', mi dispiace, ma io non sono uno stregone –– disse Jason. –– Per aiutarti, inizieremo dalla biblioteca.
Lei lo scrutò più a fondo, alla ricerca di un qualsiasi segreto da svelare, da scorgere nei suoi occhi, sulle sue labbra o tra le accennate fossette ai lati della bocca. E non trovò niente. –– Vuoi aiutarmi davvero? –– gli chiese allora. In tutta risposta, sentì le mani di Jason premere sui suoi fianchi. Non sapeva veramente perché l'avesse fatto.
–– Sì, Natasha. –– Quella frase disadorna risuonò come un solenne giuramento. O forse, solenni erano solo i pensieri della Prescelta.
–– Magari, aiutarti a trovare la tua famiglia aiuterà pure me.
–– O ti farà venire voglia di cercare anche la tua –– osservò Natasha.
–– Sei una ragazza estremamente realista.
Lei sorrise. Poi riabbassò gli occhi sui propri piedi, curandosi di non pestare quelli di Jason.
–– Non c'è bisogno che tu me lo dica –– disse il Nephilim.
La Prescelta tacque per diversi istanti. Fu un silenzio così profondo e duraturo, che quando venne interrotto, Jason riuscì a sentire le labbra di Natasha schiudersi in un tenue schiocco.
–– Dirti cosa? –– gli chiese lei, lo sguardo increspato.
–– "Grazie" –– esplicitò lui.
–– Però dovrei dirtelo. È quello che penso.
–– E io lo so. Quindi... prego.
Natasha pensò di ribattere, senza averne l'occasione: le luci si spensero all'improvviso.
Fu istintivamente invasa dal panico, ma presto concretizzò l'innocenza della situazione: il buio era dovuto allo scoppiettio di piccoli fuochi d'artificio che volteggiavano leggiadri verso il soffitto.
Jason, avvertendo l'irrigidimento di Natasha contro il proprio corpo, la tranquillizzò: –– Simboleggia la fine della serata. Immagino che tu non sia stata a molti balli.
La ragazza gli diede una gomitata. –– Sono bellissimi –– disse poi. Era meravigliata e ammaliata da quelle timide deflagrazioni di colori sfavillanti. Gli scintillii sprigionati dai fuochi svolazzavano per l'intera estensione della sala da ballo.
–– Sì. Lo sono davvero. –– E nessuno, al di fuori di Jason, seppe che l'orgoglioso Prescelto rimase incantato dal bagliore iridescente riflesso sul profilo rettilineo di Natasha, diramato in guizzi di baluginii giocosi e capricciosi.
Quando le luci si riaccesero, la folla applaudì e fischiò. Il Nephilim stornò lo sguardo prima che Natasha potesse accorgersi del modo in cui l'aveva osservata, ovvero come se al mondo non esistesse nient'altro al di fuori di lei, del mistero irrisolvibile che ancora rappresentava.
Poco dopo, gli invitati ringraziarono e lasciarono la Magione. I residenti e gli ospiti dell'edificio si assicurarono che la sala da ballo fosse del tutto sgombra. Gli unici invitati rimasti erano gli Hummercross e i Thunderlane.
Esther, la sorella minore di Louis, raggiunse il gruppo. Aveva corso, e si fermò con gli angoli del vestito ancora per aria. Era accaldata e ansimava, gli zigomi arrossati per il calore. Si levò dagli occhi la matassa di riccioli corvini che le oscurava il volto. –– Non riesco a trovare Louis –– biascicò. –– È scomparso.
All'udire il nome del suo migliore amico, Ryan scattò e si diresse verso Esther. Tentò di calmarla stringendola per le braccia. –– Non ti preoccupare –– la confortò, con voce spenta. C'era qualcosa di profondamente fraterno nel modo in cui rianimava la sua attenzione, e nel modo in cui lei reagiva. –– Dov'era l'ultima volta che l'hai visto?
–– Era con me, prima dei fuochi d'artificio –– disse la ragazza. –– Quando le luci si sono riaccese, non c'era più. Tu, piuttosto, dov'eri?
–– Alle prese con mia sorella e un vampiro intraprendente dall'iniziativa facile.
Tutti si voltarono verso Quincie. La giovane Prescelta si strinse nelle spalle.
–– Ho già setacciato tutto il piano terra –– proseguì Esther. –– Niente. Di lui non c'è traccia.
–– Aspettate –– intervenne Roy con sorpresa di tutti. Dalla morte di George, sembrava aver perso la sua lampante gioia di vivere. –– Manca anche Amanda.
–– Questo è decisamente un problema –– constatò Jandira. –– Dobbiamo cercarli. –– Sollevò le gonne e fece per mettere piede sul primo gradino della scalinata, quando dal piano superiore provennero rumori fracassanti, mobili crollati a terra. L'anziana si voltò verso il resto del gruppo. –– Andiamo –– ordinò. Debby non aveva mai pensato che Jandira avrebbe permesso alla propria espressione di tradire le sue emozioni. Né in questa vita, né in nessun'altra. E in quel momento, il suo viso secerneva inquietudine.
La donna percorse di fretta le rampe di scale. Lei e il gruppo perlustrarono il primo, secondo e terzo piano, passando in rassegna ogni stanza e ogni corridoio. Ma Louis e Amanda continuavano ad essere dati per dispersi.
–– Non si possono essere volatilizzati –– ansimò Cheyennne, affannata.
I rumori giunsero ancora dal piano superiore. Rimaneva solo l'attico.
Aaron, che aveva salito le scale per ultimo ed era perciò il più vicino alla gradinata, piroettò su sé stesso ed imboccò nuovamente la rampa di gradini. Rina gli corse dietro; gli altri si catapultarono a seguirli.
–– Aaron, aspetta!
Ma era troppo tardi.
Lo spettacolo era terrificante: Amanda era in piedi sul cornicione dell'attico, ad un centimetro dal precipitare, ad un centimetro dalla morte. Il vestito turchese pareva bianco sotto la fievole luce della luna, e si gonfiava e rigonfiava al soffio del vento, in un modo che a Debby ricordò le tende di lino azzurro in camera propria.
Gli occhi di Amanda erano due strapiombi completamente neri; dalla bocca le colava un liquido denso e verdastro. Teneva le mani sollevate al cielo; dalle sue dita si liberavano nubi nere ed infuocate che finivano con l'assumere la forma e l'aspetto dei demoni Cineraceus.
Louis si trovava tra i demoni, tormentato. Si divincolava e tentava di colpire le creature servendosi di due spade celesti, ciascuna in una mano. Ma, essendo gli esseri inconsistenti, le armi del Prescelto li trapassavano senza ferirli minimamente. Se non altro, la luce emanata dalle armi di Louis sembrava respingere i demoni, consentendo al Nephilim di guadagnare tempo.
Aaron, il primo ad aver oltrepassato il vano dell'attico, rimase esterrefatto, sconcertato davanti alla scena orripilante.
E poi successe.
Amanda scagliò contro Aaron una violenta lingua di fuoco nero come gli inferi. Il bassista venne colpito in pieno e piombò a terra, inerte.
–– Aaron! –– strillò Rina.
I suoi polmoni andarono in apnea. Il cuore le batteva all'impazzata, i bordi del suo campo visivo si fecero sfocati: ancora una volta, vedeva solo Aaron. Ma l'effetto era un altro.
Si scapicollò verso il ragazzo e gli si inginocchiò accanto, buttandosi sul pavimento asfaltato, squarciandosi il vestito e sbucciandosi le ginocchia. Non le importava.
Aaron teneva gli occhi chiusi; le sue palpebre cominciavano a diventare violacee, la pelle acquisiva un colorito inquietantemente pallido.
Era agonizzante.
–– Aaron. Aaron, rispondimi –– implorò Rina.
Le lacrime cominciarono a rigarle le guance
e il cuore
e l'anima.
Riscosse il ragazzo e costui schiuse gli occhi di appena un millimetro. –– Rina... –– boccheggiò. Alzò leggermente la testa e osservò il proprio corpo: a livello dello stomaco, le tenebre procreate da Amanda l'aveva colpito, ed era lì che la sua carne s'era convertita in un liquame putrefatto, nero e sfrigolante.
A quella vista, Aaron urlò. Quel grido riecheggiò nella testa di Rina, paralizzandola e assordandola. Non esisteva suono più inquietante: le sue viscere si contorsero come larve.
Il bassista le afferrò un braccio. –– Aiutami! Rina, aiutami! –– supplicò.
–– Jandira! –– chiamò Rina; ma la sua voce era ormai soffocata dagli strepiti e dallo sferragliare delle armi recuperate un attimo prima di sboccare sull'attico.
La ragazza aveva l'impressione di essersi tramutata in qualcosa di inconsistente. Cessò di percepire l'esistenza del proprio corpo. Era tutto così inaccettabile: pareva surreale, tanto da indurla a ridere quanto a piangere.
Si sentiva sospesa tra un mondo e l'altro. Pensò di aver perso la propria identità: chi era? Cosa provava di preciso? Come avrebbe dovuto reagire?
Rina si riprese d'un colpo.
Non era il suo corpo, quello che giaceva a terra in punto di morte: era quello di Aaron. E non era la sua vita ad essere compromessa: era quella di Aaron.
–– Resisti –– gli disse. –– Resisti.

Lotty era immobilizzata.
All'arrivo sull'attico, i membri del gruppo s'erano precipitati a lottare contro i demoni Cineraceus, e lei era rimasta impietrita, sola, spettatrice. Non poteva intervenire, neanche volendo.
Esitava tra l'andarsene e il restare, per chiamare aiuto; quando un grido di dolore le piantò i piedi a terra, come radici imbevute di sangue. I suoi occhi andarono alla ricerca di colui al quale apparteneva il grido.
E poi capì.
Gregory.
Dal collo del Prescelto colavano rivoli di sangue vermiglio. Greg si portò una mano alla gola. Fu questione di pochi secondi che si accasciò sull'asfalto.
Lotty venne guidata dal proprio istinto, un istinto di cui non pensava fosse dotata. Si fiondò verso Gregory e gli si gettò di fianco. Un'arteria del Nephilim era stata squarciata e dalla ferita sul collo zampillavano fiotti di sangue. La ragazza ne rimase terrorizzata e per poco non perse i sensi, scandagliando quella pozza di sangue.
–– Riprenditi –– la incitò Greg, ansante ma deciso. –– Puoi trovare una soluzione; devi solo concentrarti. Ho fiducia in te.
Lotty esitò per qualche istante. Annuì dissennatamente. Quelle parole le infusero forza, e il sangue che minaccioso le inzuppava e imbrattava il vestito la obbligava a prendere provvedimenti, un provvedimento qualsiasi, purché efficace.
Rifletté. Distolse lo sguardo, chiuse gli occhi e ficcò due dita nel collo di Greg, armandosi di un coraggio sconosciuto. Avvertì le correnti di sangue caldo e viscoso scorrerle tra le dita. Il liquido cremisi aveva cessato di dilagarsi sull'asfalto.
D'improvviso, qualcuno spinse Lotty da parte.
Era Jandira, che lì accanto, alle prese con un demone, s'era catapultata in tutta fretta al fianco di Gregory. Gli premette le mani sul collo e queste rifulsero di una luce argentea. Sulla gola del Prescelto non rimase che una profonda ed orribilmente purulenta cicatrice infettata.
–– Ha ancora bisogno di essere medicato –– sentenziò Jandira volgendosi a Lotty. –– Portalo in infermeria.
La ragazza latrò in silenzio, ma non ribatté. E quando l'anziana fece ritorno ai propri combattimenti, sostenne Greg nel rimettersi in piedi.
Lo sorreggeva per le spalle come lui aveva sorretto lei pochi giorni prima.

Debby era sola.
Il combattimento aveva avuto inizio non appena Amanda aveva colpito Aaron e Ryan si era precipitato al fianco di Louis.
Amanda assisteva compiaciuta alla scena. Rovesciava la testa all'indietro ed emetteva risate malefiche e spietate. Procreava demoni dopo demoni, e Debora si chiese se la ragazza fosse recuperabile, se in lei ci fosse ancora un punta di umanità.
Improvvisamente e d'istinto, la stregona seguì una forza oscura, insorgente nella propria anima, che la spinse ad incamminarsi verso Amanda. –– Amanda –– la chiamò.
Quest'ultima riabbassò la testa e la osservò. Smise di liberare lingue di fuoco, ma i demoni ormai forgiati non scomparvero, e il caos non cessò. –– Debora –– disse. Il suo tono pareva quasi allegro, cantilenante. –– Ma che piacere.
–– Che stai facendo? –– la incalzò Debby.
–– Oh, niente –– rispose lei. –– Sto semplicemente inserendo i diritti d'autore.
–– Inserendo i diritti d'autore?
–– Sì.
–– A che cosa? –– domandò Debora.
–– All'opera del mio signore.
–– Ti riferisci ad Azazel?
–– Proprio così –– confermò Amanda.
–– E quale sarebbe la sua opera?
–– Mi sei sempre sembrata un po' sciocchina, povera, piccola, indifesa Debby. Tuo padre vuole ricordarvi ciò che vi ha comunicato nel messaggio che mi ha fatto recapitare poco tempo fa –– svelò la ragazza. –– Nonostante i Nephilim abbiano deciso di non prendere in considerazione la questione, il mio signore rimarrà fedele al suo primo messaggio. E lo farà da adesso.
Amanda gettò un'onda di tenebre contro Debby. Costei, però, fece appena in tempo ad abbassarsi per schivarla. La sua avversaria non demorse: tentò di colpirla ancora e ancora, sferzando fiamme su fiamme.
Debora si limitava a scampare agli attacchi. Sapeva che non era la vera Amanda a combatterla, e perciò, l'idea di ferirla rischiando di ucciderla non la sfiorò minimamente. Poi una fiammata oscura le accarezzò una gamba e il suo vestito andò a fuoco.
Debby reagì subito: sentì scoppiettare nella propria mente la nascita di un incantesimo. La magia la irradiò: partì dalle vertebre cervicali e defluì lungo le braccia, fino a fuoriuscire dalla punta delle dita sotto forma di scintille elettriche. Debora ammansì le fiamme che altrimenti l'avrebbero ingollata. Arrivata a quel punto, non poteva più permettersi di contenere le proprie forze nel tentativo di mancare i colpi di Amanda.
Così la sentì: la scossa di energia allo stato puro.
Un attimo dopo, Debby era focosa, ed imbattibile.
Era tutto diverso: le immagini era offuscate, tremolanti e vibranti, nubi di fumo opalescente. I suoni percepibili erano ridotti ad una serie di gorgogli e ronzii. Debora aveva l'impressione di non respirare e di non avvertire alcuna manifestazione di temperatura: i suoi stessi organi erano costituiti di materia inesistente.
Poi resuscitò.
Il suo corpo fibrillò tutto d'un colpo, squassandola fino alle budella. L'aria d'un tratto inspirata era eccessiva, violenta: per poco non le fece scoppiare i polmoni, che quasi si afflosciarono come palloncini sgonfiati.
Debby venne oppressa da un ardore infuocante. Ed infine, le mani che si ritrovò, gassose e artigliate, scatenarono lingue di fuoco dorato e abbagliante, l'esatto contrario delle tenebre svincolate contro di lei.
Amanda venne trafitta. Prima di perdere l'equilibrio, però, ebbe il tempo di...
ridere.
Fu la risata più agghiacciante che Debora avesse mai udito: sembrò estirpare dal mondo ogni gioia, lasciando al suo posto distruzione e oscurità.
Amanda precipitò dal cornicione dell'attico.
Debby rimase a fissare il punto dove un tempo s'era eretta la figura della ragazza. Quando percepì un tonfo, parecchi metri più in basso, il suo cuore sembrò arrestarsi, le dita irrigidirsi fino a frantumarsi nei resti sgretolati di una scultura demolita.
Pilotata dall'inconscio, Debora si ritrovò in piedi, sul cornicione. Guardò giù e scorse il corpo di Amanda, steso a terra in una posizione disarticolata, scomposta e del tutto innaturale. Il lago di liquido ornante il cadavere della ragazza dimostrava che quest'ultima, precipitando, era andata a sbattere contro le innumerevoli protuberanze architettoniche della Magione.
Debby lasciò che le sue smisurate ali nere rinascessero fluide e lubrificate, riprendendo vita e forandole la pelle. Erano cresciute di taglia: strisciavano per terra.
Le scapole di Debora sanguinavano, ma la stregona, ignorandone il dolore, spiegò le ali in tutto il loro splendore.
Spiccò il volo, librandosi nell'aria pregna di sofferenza, di morte, di devastazione. Pareva un angelo desideroso di raggiungere il Paradiso, incosciente della meta realmente prevista alla fine del suo viaggio: l'Inferno.

–– Ti prego –– scongiurò Rina, irrefrenabilmente scossa dai singhiozzi. –– Ti prego, non mi lasciare.
Aaron si era assicurato qualche attimo di vita, rinunciando ai miliardi di respiri che avrebbe ancora dovuto trarre. Teneva gli occhi semiaperti, e di lì a poco, se nessuno fosse intervenuto, li avrebbe chiusi. Per sempre.
–– Rina –– mormorò in un verso gutturale. –– Calmati. –– Sfruttò l'ultimo briciolo di energia rimasto a sua disposizione e posò una mano sul volto della sua amata, asciugando le lacrime incandescenti che sgorgavano senza sosta dai suoi occhi di ghiaccio – un fiume di desolazione infinita. Rina strinse la mano di Aaron nella propria.
–– Sto morendo –– le disse lui.
La ragazza emise un singhiozzo forsennato.
–– Sappi solo –– aggiunse Aaron, a fatica –– che ti amo.
Le sue parole rintronarono, sussurrate, bisbigliate in un varco tra la vita e la morte, mozzate da rantoli dovuti alla mancanza d'ossigeno. Ma il messaggio era forte e chiaro.
Il pianto di Rina si fece più moderato.
Era il momento giusto.
L'unico.
L'ultimo.
–– Anche io –– ammise infine, dopo una vita di temporeggiamenti e timori. –– Ti amo anch'io. –– Tuttavia non badò allo stato d'animo derivato da quella rivelazione: Aaron stava morendo.
Il ragazzo sorrise. Un sorriso estremamente fievole e fiacco, quasi fittizio; ma pur sempre un sorriso. Il sorriso conclusivo.
Aaron chiuse gli occhi.
Rina venne assalita dagli spasmi. Lasciò la mano di Aaron che sino a pochi secondi prima le aveva accarezzato il volto, e questa ricadde accanto al corpo inerte.
Pianse e pianse, deliberatamente, in un grido languente che squarciò senza pietà l'apparente quiete della notte.
Non capì se il mondo fosse svanito insieme ad Aaron o se i combattimenti fossero davvero terminati, ma Rina cessò di udire le grida belluine e gli assordanti rumori metallici delle armi che sibilavano sferzando l'aria.
Venne riscossa.
–– Rina –– la chiamò Ronald. –– Dobbiamo andare.
Rimase inginocchiata a terra, senza reagire.
–– Rina –– ripeté il licantropo. –– Non possiamo più fare niente. Avanti, vieni. –– La incoraggiò ad alzarsi, reggendola premurosamente da sotto le ascelle, e la condusse a scendere le scale.

Debora atterrò aggraziata sui ciottoli del cortiletto posteriore alla Magione. Amanda era lì, a pochi metri di distanza. Debby temeva di scoprire in che condizioni si trovasse la salma della ragazza, ma doveva.
Doveva sapere.
Le si avvicinò. Si voltò di scattò e vomitò qualsiasi cosa le ribollisse nello stomaco. Le sembrò quasi di vomitarsi l'anima.
Il corpo esanime di Amanda era completamente maciullato e ustionato, simile ad uno scheletro carbonizzato e deturpato. I pochi lembi di pelle restanti erano bruciacchiati ed anneriti, ricoperti di cenere.
Molto lentamente, Debora si sedette accanto alla ragazza. Zompò, quando si rese conto che gli occhi di quest'ultima erano ancora aperti e vivi, roteanti per lo smarrimento.
–– Debby...
–– Sono qua.
–– Posso... spiegare –– farfugliò Amanda. Inspirò quanta più aria possibile, perché sapeva che l'ultima quantità di ossigeno immagazzinato le avrebbe a stento consentito di parlare. Teneva gli occhi sbarrati, tornati allo stato originario, ossia composti dalla pupilla nera come l'ossidiana e dall'iride verdemare. –– Mi resta poco. –– Amanda ponderò ogni parola: –– Voglio solo... che tu dica a Roy... che l'ho amato, e che lo amerò per sempre.
Fu una crepa nel cuore.
Debora annuì. –– Lo farò.
Nessuno doveva morire solo, nemmeno la più perfida delle creature esistenti.
–– E un'altra cosa. –– Amanda le afferrò un braccio con saldezza sovrumana. –– Rivendicami.
Rivendicami.
Quell'ultima parola incise una croce sull'anima di Debora. –– Te lo prometto –– giurò lei, qualsiasi cosa implicasse una promessa tale.
La mano di Amanda mollò la presa dal braccio di Debby e s'ammosciò accanto al corpo ormai privo di vita.
Gli occhi inanimati della vittima erano ancora spalancati. La stregona passò una mano leggera sulle palpebre di Amanda, e una parte del suo essere si infranse e sbriciolò con quel gesto.
Era morta. Definitivamente.
–– Debora.
Debby si voltò. I capelli ormai sciolti e liberi dallo chignon le oscuravano e impedivano la vista, ma discernette senza alcuna fatica la figura di Jandira.
–– Era posseduta –– disse l'anziana. Le sfiorò una spalla. –– Amanda è stata uccisa quando anche suo padre è venuto meno, ma Azazel ha deciso di mantenerla in vita attraverso il potere demoniaco, per servirsene come intermediaria tra lui e noi. Con l'evento di stasera, tuo padre ha avuto l'intenzione di completare l'opera e di ricordarci che esiste, che attaccherà. Una volta che Amanda non gli è più servita, l'ha sprovvista dei poteri che le permettevano di vivere. Le restavano ancora pochi minuti. Da quella sera al ballo prenatalizio, non è mai stata sé stessa. La vera Amanda era già morta.
Ora Debora capiva. Con "rivendicami", la ragazza aveva alluso a redimere l'ingiustizia subita da parte di Azazel.
E Debora l'avrebbe fatto.
Non le importava se il Consiglio aveva dichiarato di ignorare la questione.
Non le importava se non aveva abbastanza prove per dimostrare che Azazel avrebbe polverizzato il mondo.
Non le importava se suo padre rappresentava l'avversario più potente e temibile in assoluto, e non le importava se l'unico suo vero familiare smaniava focosamente di ucciderla.
Non le importava più di niente.
L'avrebbe fermato, a costo della propria vita.
Debora Myako Urushiba manteneva sempre le promesse: quelle che faceva agli altri e, soprattutto, quelle che faceva a sé stessa.

Le Origini NegateDove le storie prendono vita. Scoprilo ora