Capitolo 10: PURO ROCK, Parte 2

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   Lo osservò, a partire dai capelli fradici color dell'ebano, agli occhi cerulei, infantili, fino alla pelle ricoperta di un sottilissimo strato di sudore, lucente, simile a madreperla. — Dici? — gli rispose.

Lui sorrise, afferrando un boccale offertogli dal barista. — Dico. Soprattutto per una ragazzina della tua età.
— Ragazzina? — gli fece eco Rina. — Volete smetterla di chiamarmi tutti così? Quanti anni mi daresti?
Il bassista si portò la bevanda alla bocca. — Sedici, diciassette? — ipotizzò.
Lei si guardò intorno, come in attesa di obiezioni. — A me sembrano abbastanza — ribatté.
— Senz'altro — ammise lui. La sua voce era paradossalmente puerile quanto virile. — Ma si vede che non sei di qui.
— E da cosa?
— Da te. Da come sei. Datti un'occhiata in giro. — Il musicista indicò la folla con un ampio gesto della mano. Alcune gocce fuoriuscirono dal boccale che reggeva, sprigionando un'essenza alcoolica e stucchevole.
— È forse un modo per cacciarmi via?
Il ragazzo accennò una risata. — No. Mi chiedo solo cosa ti abbia portata qui.
— La musica.
Nello sguardo del bassista balenò un lampo di interessamento. Rina fece ruotare lo sgabello e alzò il mento in un cenno al palco. — Siete stati bravi.
— Grazie. — Il musicista sfoderò un sorriso smagliante. La ragazza si chiese quanti anni avesse. Non era capace di darsi una risposta, e la cosa la infastidiva alquanto.
— Sono Aaron. Aaron Matthews. — Le allungò la mano libera. Rina la strinse senza dispiacersi della patina di sudore caldo e appiccicaticcio. — Rina van Deer Meer.
Aaron sorrise. — Piacere, Rina.
Lei saltò giù dallo sgabello. — Allora? — gli disse. — Andiamocene da qua.
L'espressione di Aaron parlò per lui. Sembrava dire: non aspettavo altro.

— Uffa, ma quanto ci mette Rina?
— Non lo so. — Debby stirò le labbra. — Vado a cercarla. — Si avventurò tra i clienti esaltati dalla musica. Cercò Rina con lo sguardo, ma in pista e al bancone non c'era traccia dell'amica. Controllò persino che non si trovasse negli orribili e a dir poco puzzolenti bagni del locale.
Niente. Rina era sparita.
— Non la trovo — riferì. — Lotty, questo è un problema.
— Come sarebbe che non la trovi? Hai cercato bene?
— Sì, ho setacciato tutto il perimetro. Non c'è — spiegò Debora.
— E ora che facciamo?
— Penso sia meglio chiamare gli altri — propose la stregona.
— Non possiamo aspettare ancora un po'?
— No, sai com'è fatta.
Lotty s'arrese.
— Chiamo Roy — disse l'altra.
— E August?
Debby avvertì un irreprensibile prudore al cuore. — August non si è ancora ripreso. Vedrà lui se venire o meno. — Digitò il numero di Roy. Uscì dal locale, tappandosi un orecchio con l'indice.

Aaron aveva indossato una felpa piuttosto malconcia. Una volta usciti dal locale, Rina si era fatta guidare per le strade desolate di Amsterdam. Avevano iniziato col parlare di musica e da lì avevano discusso del più e del meno, lasciando spazio a pause di silenzio stranamente gradevoli, se non necessarie ed opportune.
Il ragazzo era penzoloni al molo del porto in città; le punte delle Vans nere sfioravano l'acqua. Aaron manteneva l'equilibrio appoggiando le mani indietro; sfregava i palmi contro il legno bagnato e scheggioso del portico.
Rina era seduta a gambe incrociate e lo osservava. C'era qualcosa, in Aaron, che la destabilizzava del tutto. Non sapeva spiegare l'origine di quella sensazione, ma di una cosa era certa: le era sconosciuta, nuova.
Rina spezzava cuori.
Ed era sempre stato così. In quel momento, però, sotto il tremolio del bagliore lunare riflesso nelle torbide acque del porto e accanto ad Aaron, si sentiva così...
così...
così vulnerabile. Irretita.
Malgrado non lo rendesse visibile, era tormentata da una serie di pensieri. La sua inquietudine era probabilmente dovuta alla sconsiderata eccezionalità delle circostanze. Girovagare per Amsterdam di notte, accompagnata da uno sconosciuto, non rientrava nei suoi soliti programmi. Ma Aaron aveva un atteggiamento così sereno, così paziente. Sembrava innocuo.
Era solo un momento di debolezza, si disse Rina. Eppure si sarebbe del tutto abbandonata al bassista. Lei, così diffidente e sospettosa, si sarebbe fidata ciecamente di quel ragazzo, quel ragazzo che non conosceva e che, per quanto la riguardava, poteva anche rivelarsi un serial-killer.
Era come se lui avesse risvegliato, in lei, un qualcosa che era rimasto intrappolato e imprigionato per troppo tempo. Era come se volesse rispolverare sentimenti che Rina non pensava le potessero lontanamente appartenere. Se solo...
— Perché sei qui con me, Rina?
Lei si voltò. Era mezzanotte passata, ormai, e la luce della luna bagnava con premura il viso di Aaron, illuminandogli la fronte, gli zigomi, e gettando un velo d'ombra sui suoi occhi turchesi.
— Perché no? — gli rispose.
— Perché sono un ragazzo — disse lui. — Un ragazzo in visibilio dopo un concerto grandioso. Potrei tranquillamente volermi approfittare di te.
Rina ridusse gli occhi a due spiragli cristallini. — Ti è mai passato per la testa che potrei anche essere io a volermi approfittare di te?
Sul viso di Aaron comparve un sorriso abbozzato, imperscrutabile.
La ragazza gli si avvicinò, ferinamente flessuosa. Sussurrò: — Comunque, niente ti impedisce di farlo.
Aaron si voltò di scatto.
— Di approfittarti di me, intendo. — Rina lo guardava sorridendo e mordendosi un labbro. Era conscia del fatto che, in tal modo, l'attenzione del bassista sarebbe ricaduta sulle sue labbra rosse fuoco.
Lo stava tentando. Ma lui non si mosse.
Perché non reagisce?, si chiese. Gli ho appena detto che voglio che si approfitti di me. Siamo ad un centimetro di stanza l'uno dall'altra. Perché non...
Lo sguardo di Aaron scivolò dagli occhi alle labbra della ragazza, uno sguardo fugace. Poi ritornò a concentrarsi sull'azzurro glaciale dei suoi occhi imperscrutabili.
Ma l'impazienza di Rina era proverbiale.
Tirò Aaron a sé e lo baciò.
Lui rispose immediatamente, come se l'avesse desiderato dal principio. La stringeva a sé e la baciava con passione, quasi avesse sete di lei. Rina avvertiva le forme del suo corpo: gli addominali accennati, le spalle esili, le costole fini e fragili come ramoscelli rinsecchiti dall'inverno.
Le labbra di Aaron erano fresche e stuzzicanti, vagamente familiari. Sapevano di notte. E di Aaron. Semplicemente di Aaron.
Rina si sciolse dal bacio, le dita ingarbugliate fra i capelli del bassista, mentre le loro fronti ancora si toccavano.
Ansimavano. I loro respiri si fondevano.
— Voglio vedere dove vivi — gli disse.
— Sei sicura?
Lei annuì. Il ragazzo si alzò, porgendole una mano.

Aaron aprì un portone di ferro sverniciato; uno stridente cigolio si perse nella notte. Tirò una delle due ante, invitando Rina a farsi avanti.
Richiusi i battenti, si ritrovarono in un cortile spoglio e circondato da cantieri addobbati di edera. Nell'aria aleggiava un odore di vernice fresca, o marcita. Il bassista guidò Rina all'interno di un cantiere. Insieme, salirono una rampa di scale ferree traballanti, sporche di calcinacci, di scaglie di intonaco bianco e di polvere.
Sbucarono in una stanza priva di porte. Contro una parete attraversata da profonde crepe era appoggiato un letto costituito da una semplice struttura di ferro e un materasso quasi inesistente. In un angolo era stato posizionato uno scaffale di metallo sul quale erano posati un pacchetto di sigarette, pochi libri, un paio di blocchi per appunti e abiti appesi alla rinfusa. Accanto ad un cestino erano stati gettati fogli accartocciati e scarabocchiati di nero.
— Questa è la mia umile dimora — proclamò Aaron con tono teatrale.
— Umile davvero — commentò Rina. Si guardò intorno, poi si rigirò verso il ragazzo. — Quasi uno squallore, con tutto il rispetto. Ora posso dire che sei rock al cento per cento.
Lui sorrise – sembrava ringiovanire di almeno tre anni ad ogni sorriso – e si approssimò. La prese per i fianchi. Le sue leste dita da musicista le sfiorarono la pelle nuda e fredda, sotto la maglietta.
La baciò.
Le labbra di Aaron scorrevano morbide su quelle di Rina, congetturate a combaciare. La ragazza tastò con le proprie mani le braccia di lui, fino ad attorcigliargli le dita intorno al collo.
Gli mordicchiò delicatamente il labbro inferiore. Fu allora che Aaron la sollevò, trasportandola verso il letto.
Lo stava facendo veramente?
Rina non avrebbe mai immaginato di potersi spingere tanto oltre nell'intento di dimenticare.
Ma Aaron aveva su di lei l'effetto di una pozione d'amnesia che avrebbe trangugiato volentieri.
Il cuore le batteva all'impazzata, il petto scarnito dall'interno.
Eppure stava accadendo.
Non riusciva a fermarsi. Benché sapesse che era suo dovere farlo, qualcosa glielo impediva. Ne voleva di più, sempre di più.
Finché Aaron non la depose con delicatezza sul materasso scricchiolante.

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