Capitolo 9: LEGGIADRIA SANGUINANTE, Parte 2

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       Una delle pareti rocciose si dissolse in una nuvola di vapore turchese. Ne fuoriuscì una ragazza molto alta, dai capelli lunghi, lisci e castani. I suoi occhi erano due fessure color nocciola, contornate da ricurve ciglia nere. Le sue guance erano pervase da leggere lentiggini, le labbra rosse come se le avesse intinte nel sangue. Indossava una tunica rosa pallido dagli orli ricoperti di ghiaccio e portava sul capo una tiara di germogli a loro volta ghiacciati.
— Eccomi, madre.
— Lei è tua sorella Evelyn, la Principessa della Corte Seelie — disse la Regina, rivolgendosi a Rina.
— Ma questo non ha senso!
Rina non era in grado di distinguere il reale dal surreale. Le sue stesse domande sembravano azzittirla. Mentiva a sé stessa, poiché era vero: la situazione, per quanto alienante, spiegava ogni cosa. Spiegava perché avesse sempre rilevato particolari invisibili agli occhi della gente comune; spiegava perché fosse così diversa dal resto dei suoi familiari; spiegava perché Jandira, quando l'aveva vista, fosse rimasta impietrita. Aveva riconosciuto, in lei, il sangue fatato e lo sguardo glaciale della madre.
La Regina Iselle appariva imperturbabile. Rina continuò: — Ma perché dirmelo adesso? Se per diciassette anni non ti sono tornata utile, perché proprio ora? Per quale motivo? Pensavo di non servirti!
La fata sospirò. — L'averti tenuta nel mondo umano per tutto questo tempo ha contribuito a fortificare i tuoi geni da comune Imperfetta. È stata la parte umana del tuo sangue ad essere... coltivata, per così dire. In modo che le tue qualità fatate non si sovrasviluppassero rispetto a quelle umane. Questo è un periodo critico per il Popolo Fatato. La forza della nostra razza deperisce col passare degli anni. Evelyn, infatti, viene mensualmente sottoposta ad una trasfusione di sangue. Il sangue aspirato viene iniettato alle fate incinte, mentre a lei viene inoculato sangue fatato. Ciò che richiede il tuo contributo, invece, è la domanda seguente: come potrebbero svelarsi le caratteristiche di una fata nelle cui vene scorre sangue umano per natura e non per iniezione? In quale modo potrebbe risultare utile una mezzosangue che ha sempre vissuto in un ambiente popolato da Imperfetti senza mai avere il bisogno di usufruire dei propri poteri? Il suo sangue sarà forse più forte, più efficace nel rinvigorire la razza, poiché puramente ibrido? Scoprirlo potrebbe essere interessante.
Sangue, sangue, sangue.
Rina scosse irrefrenabilmente la testa. — Voglio andarmene.
— Non ti conviene — replicò la Regina. Dalla sua voce scaturiva intrinseca perfidia. E fu allora che August venne improvvisamente sollevato in aria da una forza invisibile, e il suo stomaco finì a meno di un centimetro dalla punta acuminata di una radice argentata.
Debby smise di respirare. Si precipitò esattamente al di sotto di August.
–– Non ti conviene affatto –– ribadì la fata. E la punta della radice premette contro il ventre del ragazzo, da cui il sangue gocciolò fino a toccare terra e a macchiare di rosso le guance di Debora, quasi piangesse sangue. — August! — gridò con tutta sé stessa. Spiegò le ali in un nanosecondo e con estrema facilità, come non le era mai successo. Fece per sollevarsi da terra nell'intento di volare fino ad August, quando la Regina ringhiò, con una voce che non le apparteneva: — Ti consiglio vivamente di rimanere dove sei, se non vuoi che la radice trapassi interamente il tuo miserabile ifrit.
La Regina Iselle, sorridendo, scoprì denti affilati e bianchissimi. I suoi occhi erano diventati squarci completamente azzurri, simili a schegge di zaffiro. –– Tu farai come ti ordino –– tuonò, rivolgendosi nuovamente a Rina. –– Altrimenti, i tuoi amici Nephilim potranno considerarsi in guerra contro il Popolo Fatato.
— Lascialo andare! — urlò Debora, invano. La voce le si spezzò in gola, ed ogni protesta le morì sulle labbra. Perdendo August, perdeva sé stessa.
— Oh, l'amore. Che cosa commovente — cantilenò la perfida creatura fatata. — L'amore ci rende ciechi, ci inebetisce. Hai mai pensato, Debora, all'origine dei sentimenti che August prova per te? Hai mai ipotizzato che il tuo venerato ifrit potesse ambire ai tuoi poteri a dir poco unici e non alla tua persona? Non credi anche tu che questa sia l'unica, pura verità? Io, fossi in te, ci penserei. — La Regina Iselle lasciò cadere August, che piombò a terra e sbatté bruscamente contro il pavimento.
Katrin e Roy corsero immediatamente verso il ragazzo, ma Debby non si mosse. — Tu... — sibilò con odio senza staccare gli occhi da quella della Regina. Un ardente calore inondò il suo corpo di elettricità. Si portò le mani davanti agli occhi: erano infuocate. Letteralmente infuocate.
Debora, d'impulso, si scagliò all'indietro, nel tentativo di scappare da sé stessa. Voleva agitare le mani, sfregarle contro qualsiasi cosa, affinché il fuoco si estinguesse. Ma presto appurò che, nonostante il suo corpo ardesse, non avvertiva alcun dolore, e non si era minimamente ustionata. Ogni cenno di temperatura sembrava aver cessato di esistere.
Debby era intoccabile.
Si lasciò elettrizzare dal fuoco che con fervore divampava dalle sue dita, stregata e terrorizzata al tempo stesso. Poi, Dio solo sa come, le fiamme vennero domate. Debora si sentì sollevata e amareggiata in egual misura. Era come se l'interruzione di quell'incredibile sensazione l'avesse salvata negandole tuttavia la possibilità di esplodere, di essere liberata dal suo stesso corpo. Era questo, ciò che desiderava in assoluto: fuggire e allontanarsi dal corpo umano di cui era prigioniera, in modo che niente potesse impedirle di raggiungere August.
— Interessante — disse la Regina Iselle, ponderando quell'unica parola, quell'unica coda di lettere. — Allora è vero che le tue capacità non sono da sottovalutare. — La sua espressione era velata da una patina di malevolenza. L'incantesimo lanciato dalla sua assoluta bellezza venne spezzato dall'effettività delle sue gesta, dalla violenta ed istantanea materializzazione della sua malvagità.
— Ora basta! — intervenne Rina, ricatturando l'attenzione della Regina. — Io non voglio avere niente a che fare con te. Lasciaci andare.
In un muto e feroce istante, la fata si alzò dal divano di ghiaccio e si diresse verso la ragazza. Le artigliò un braccio. — Tu mi appartieni — ragliò, avvalendosi di un timbro vocale alterato, quasi fosse il risultato di due voci sovrapposte.
Il braccio di Rina, stritolato dalla presa ferrea della Regina, s'era fatto violaceo, e osservando il proprio riflesso negli occhi della madre, la ragazza s'atterrì: i suoi stessi occhi erano ridotti a due spiragli eterocromatici di colore celeste.
— Regina Iselle! — si frappose Jandira. — Vostra figlia è sconvolta. Avrete modo di parlarle nuovamente quando si sarà ripresa. Ma ora, consentiteci il congedo. Vi prometto che la rivedrete.
— Oh, certo che la rivedrò, potete starne certi. Mi farò viva io. Avete il permesso di tornare da dove siete venuti. — La Regina Iselle sparì oltre una delle pareti rocciose, seguita diligentemente dalla Principessa Evelyn, nonché sorella di Rina per metà.
La squadra si catapultò fuori dalla Corte d'Inverno.
Mentre le ferite di August erano sottoposte ad un attento esame e Rina veniva inutilmente riscossa dal trauma, Debby, ancora scioccata per via di ciò che era accaduto, vide Jandira discutere con Snorri, il brownie. Subito dopo, l'anziana trasformò il tronco di un albero in uno specchio d'acqua. Ogni membro del gruppo ci si immerse all'istante.

Arrivati alla Magione, Ronald aveva invitato Rina ad accomodarsi in una stanza tripla, raccomandando a Lotty e Debora di passare la notte con lei. A rilento, la malcapitata aveva riacquistato abbastanza lucidità da riprendere ad infuriarsi.
— La Regina Iselle ti vuole con lei –– si ostinò a ripetere Jandira. — Intende scoprire se sei dotata di particolari poteri, e in tal caso, desidera insegnarti a farne uso. Se non faremo come ordina, il Popolo Fatato ci annienterà. Dobbiamo assolutamente evitare di inimicarceli.
— Tu mi nascondi qualcosa — ghignò Rina, furente. — Fa' un piacere a tutti quanti e di' la verità. Eri al corrente del legame che mi unisce alla Regina Iselle, e non azzardarti a negare. Perché mi hai permesso e addirittura proposto di unirmi a voi nella visita alla Corte Seelie? Tra l'altro, se questa dovrebbe essere la Corte fatata più benevola, non oso immaginare cosa se sarebbe successo se avessimo visitato la Corte Unseelie.
— Rina... — la richiamò Jandira.
— No, non permetterti di pronunciare il mio nome! — sbraitò la ragazza. — Se solo tu mi avessi fermata, ora staremmo tutti bene. Io starei bene.
L'anziana si cinse le anche. — Ho permesso che tu venissi con noi semplicemente perché rientrava nelle mie intenzioni. Sono stata io a contattare vostra Maestà per comunicarle che ti eri aggiunta a noi. E sono stata io a portarti da lei.
Rina spalancò la bocca. Sgranò gli occhi. Snudò le zanne. — Che cosa?!
— Sono a un metro da te, mi hai sentita perfettamente. — Jandira annuì con enfasi. — Perché credi che le Fate volessero incontrare Debora? Grazie a me, sapevano che tu non saresti mancata. Alla Regina non importa assolutamente niente di Debby, a prescindere dalla straordinarietà dei suoi poteri. Al Popolo Fatato interessa solo da che parte tira il vento. E finché non sarà costretto a schierarsi, rimarrà imparziale e indifferente al resto del mondo. Le Fate ragionano in questo modo. Sono leali unicamente a sé stesse. E se mai dovranno prendere posizione, sceglieranno senz'altro di stare dalla parte dei favoriti.
Rina emise un verso adirato. — Ma perché l'hai fatto, lurida stregaccia? Cosa ti hanno dato in cambio?
— Niente — controbatté Jandira. — L'ho fatto perché era la cosa giusta da fare. Un giorno mi ringrazierai.
— Ti ringrazierò di sto gran cazzo!
— Jandira, penso che sia meglio uscire di qui — accorse Cheyenne.
— Sì, che esca. Anzi, uscite tutti. Voglio rimanere sola — bofonchiò Rina. E così fu.
Fuori dalla stanza, Debby raggiunse l'anziana e la fermò. — Per quale assurdo motivo l'hai fatto?
— Sta' attenta a come parli, ragazzina — la biasimò Jandira. — Tu non sai niente. Non pensare di avere ragione su tutto solo perché le tue capacità sono eccezionali. Di questo mondo, ancora non capisci nulla. Il Popolo Fatato gode di un potere incontestabile; ci schiaccerebbe. Perciò, quando ho capito che Rina era la figlia della Regina Iselle, gliel'ho consegnata, per evitare qualsiasi tipo di scontro. Tutto qua.
— Tutto qua? — sbottò Debora. — Le Fate non avevano ancora individuato Rina, che bisogno c'era di portargliela?
Jandira roteò gli occhi. — Stupida che non sei altro, non capisci? Rina dovrebbe ringraziarmi, le ho fatto un piacere! La Regina l'avrebbe trovata comunque. L'avrebbe costretta a rendersi a Corte, e all'occorrenza, sarebbe ricorsa alla violenza. Ho evitato che la tua amica fosse vittima di torture. La Regina Iselle non possiede neanche un briciolo di umanità, e benché Rina sia sua figlia, non nutre alcun tipo di sentimento benevolo, nei suoi confronti. Per lei è una cavia come un'altra.
Debby torse le labbra. Tacque.
— Ho deviato un ulteriore trauma — concluse Jandira. Fece per andarsene, ma la ragazza la trattenne per un polso: — E come spieghi quello che è successo a me? — le chiese, la voce attenuata, ridotta ad un sussurro. — Quando mi sono... Quando ho preso fuoco.
— Non solo adotti i Marchi degli stregoni, ma ti appropri anche dei poteri dei demoni con cui entri in contatto — teorizzò l'anziana. — Spiegherebbe come sei riuscita a debellare il demone Cineraceus alla Sede dei Licantropi. Hai indirettamente assunto i suoi stessi poteri e li hai usati contro di lui per ucciderlo. Il tuo istinto di sopravvivenza ha prevalso sulle tue debolezze.
Debby allentò la presa. Si sentì privata di ogni forza.
— Ora, se non ti dispiace... — Jandira indietreggiò con bruschezza. — Voi principessine non siete le uniche ad avere bisogno di riposo. — E detto questo, scomparve.

Debora era esausta. Bramava un letto caldo e lenzuola profumate. Ma la giornata non era ancora terminata.
L'aria fredda s'insinuava attraverso gli spifferi acuti delle finestre dalle strutture più vecchie; penetrava fino al midollo.
La stregona bussò e aprì la porta con un cigolio.
August era a piedi nudi, seduto sul letto. Osservava il panorama al di là della finestra, gli occhi trasognati, rapiti dal paesaggio. Si premeva ripetutamente una mano sull'altra.
— Come sta il polso?
Il ragazzo si voltò, le labbra contratte in un fievole sorriso. — Meglio, grazie.
Debby gli si sedette accanto. Gli accarezzò la mano ferita, calorosa per via delle pulsazioni di dolore percepibili attraverso la pelle dorata. — E l'addome? — gli sollevò la maglietta, scoprendo il torace fasciato.
— Mi riprenderò — disse August. –– Se non altro, sono ancora in vita.
Lei lo fissò con serietà. — Ho temuto il peggio. — Gli riabbassò la maglietta. — Mi dispiace molto. — Distolse lo sguardo, come se in tal modo potesse placare il mulinello di macabre immagini che vorticavano incessantemente nella sua mente. Visioni di leggiadre piume pregne di sangue. — Per quello che è successo alla Corte, intendo.
— Nessuno avrebbe potuto prevederlo. La Regina Iselle non è esattamente la bontà fatta persona.
In altre circostanze, Debora avrebbe sorriso. — No, per niente — concordò. — A questo proposito, volevo parlarti riguardo... riguardo ciò che la Regina ha detto.
August non rispose immediatamente. Ancor prima di aprire bocca, soppesò le parole nascenti sulle sue dolci labbra, e ne assaggiò il significato. — Ti riferisci a quando ha insinuato che io stessi con te solo per potermi approfittare dei tuoi poteri? — le domandò.
Debby si mordicchiò il labbro inferiore. — Sì — disse, annuendo.
— Debby... — August trasse un sospiro. — Le Fate non possono mentire, ma hanno la capacità di rigirare il vero come torna loro più utile, lo rendono tutt'altra cosa e...
— Non possono mentire? — lo bloccò Debora. — Quindi la Regina Iselle ha detto la verità. È questo che stai dicendo?
— No, lei t'ha fatto una domanda retorica, perciò...
— Una domanda retorica, August? — Debby iniziò ad inacidirsi. — Per cui si presuppone che la risposta a tale domanda sia evidente. E qual è la risposta? Dimmi, August.
August sembrò esitare. Tutto in lui suggeriva indugi ininterrotti: le dita sudaticce contratte in accennati spasmi di nervosismo, la rigidità della schiena, gli occhi sfuggenti. — Debora, io...
— A una domanda semplice una risposta semplice, August — lo sollecitò Debby. — È facile. O sì, o no. Ciò a cui la Regina ha alluso è la verità?
Le pupille del ragazzo tremolarono in preda ai tentennamenti, finché le sue sopracciglia non s'abbassarono in segno di resa.
Debora si avvicinò ad August, nel tentativo di riscuoterlo. Il silenzio era peggiore di qualsiasi, qualsiasi risposta. — August. Rispon...
— Non posso dire di non averci mai pensato — scattò lui con tono evasivo.
La stregona si allontanò a rilento, gli occhi sbarrati. Dentro di lei fiammeggiava ancora un barlume di speranza.
Ma non era sufficiente.
Ogni secondo trascorso nel silenzio uccideva e spegneva il più piccolo luccichio di fede in August, il più debole rimasuglio d'aspettativa, la più fioca manifestazione di fiducia.
— Mi è già capitato di pensare che avrei potuto... ricevere da te ciò che non possiedo — confessò August.
— Cioè i poteri? — disse Debby, dando voce alla domanda inizialmente inespressa. — È questo che ti manca? Ti mancano i poteri?
— Sì, ma non è...
— Basta. Mi hai detto tutto ciò che mi serviva sapere. — Debora se ne andò. Ogni passo compiuto produceva una crepa nel terreno che la sosteneva, retto un tempo dalla fiducia riposta in August. Ogni incrinatura portò alla formazione di una voragine, nel cuore di Debby. Il suo universo venne lacerato, e Debora precipitò
                      e precipitò
                             e precipitò.
Sempre più giù, inghiottita dalle tenebre che le avevano adombrato il cuore e rabbuiato l'anima.

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