Capitolo 11: CHIARORE, Parte 1

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È successo e basta, aveva pensato Rina.  
Eppure non l'aveva mai considerata una scusa valida. Riteneva che le cose non succedessero e basta. L'origine di ogni avvenimento era legato ad un motivo ben preciso; non era che il risultato delle scelte che le persone prendevano, delle loro scelte.
Però, era davvero successo e basta.
Rina non era in grado di spiegare come, o perché. Si chiese quale fosse l'opinione di Aaron al riguardo. O se gli importasse.
Si chiese chi fosse Aaron. Chi fosse davvero.
Non lo sapeva. Era successo e basta. Unica certezza.
Avevano dormito. Niente di più, niente di meno. Dopo essersi baciati, Aaron si era limitato a passare le dita su e giù lungo il fianco di Rina, accarezzandole la pelle candida. E lei era morbidamente scivolata nel sonno.
Schiuse gli occhi. Intravide la sagoma controluce di Aaron. Era seduto sul davanzale di una finestra sporca e opaca, la schiena appoggiata contro una delle due pareti perpendicolari alla vetrata.
Nella stanza si insinuava la prima luce del mattino, vibrante e timida. Aaron imbracciava un basso blu elettrico, e da come lo stringeva, sembrava quasi che quel semplice strumento a corde fosse ciò che di più prezioso possedeva.
Era a petto e piedi nudi; indossava unicamente un paio di jeans logori e strappati. Le sue dita esperte pizzicavano le corde del basso, le sue labbra sussurravano parole di canzoni mai scritte.
Rina sbadigliò platealmente, con tanto di stiracchiamento. Aaron si girò, il volto attraversato da un sorriso.
Lei si mise a sedere e gettò le gracili, pallide gambe oltre il bordo del letto. Si rese conto di indossare i vestiti del giorno precedente e realizzò che, con tutto il rossetto e la matita che si era messa la sera prima, il suo aspetto non doveva essere dei migliori. Cercò di non farci troppo caso, limitandosi a sfregarsi gli occhi.
— Sei bella comunque — le disse Aaron.
Rina si alzò dal materasso e zampettò verso di lui. Si tirò giù il vestito aderente che, dormendo, le era salito fino alla vita, scoprendole le gambe.
— Trovo che le ragazze col trucco sbavato siano particolarmente attraenti — riprese lui.
— Per cui suppongo che tu ne abbia viste tante, di ragazze col trucco sbavato.
Aaron non rispose. Le rifilò un'occhiata e un sorrisetto beffardi, per poi tornare a concentrarsi sulle corde dello strumento e sulle parole che rimanevano intrappolate dentro di lui senza poter essere formulate e inserite nel testo di una canzone.
Rina si sedette sul davanzale. Aaron, accanto a lei, scarabocchiò qualcosa su un foglietto strappato. Poi, con fare nervoso, lo accartocciò e lo gettò verso il cestino, mancando il canestro. Lei studiò affascinata la celera contrattura in cui gli addominali di lui si erano tesi nel momento in cui aveva lanciato da parte l'innocuo pezzo di carta.
— Uh — gli fece. — Cosa ti ha fatto quel povero foglio?
Aaron tacque.
— Non sapevo scrivessi — disse lei. — Canzoni, intendo.
— Russell è il cantante, ma i testi delle canzoni li scrivo io. — le rispose il bassista. — Penso proprio che verrò spodestato.
Rina scese dal davanzale e andò a raccogliere il foglio appallottolato atterrato accanto al cestino. Recuperatolo, tornò a sedersi di fronte ad Aaron e spianò il pezzo di carta sull'asse del davanzale.

Ogni parte di me / invoca il tuo nome /

ma ti riveli sorda / temi il mio amore /scappi da me / da noi / da te stessa.

— Canzone allegra — lo schernì. — Dammi qua. — Si chinò verso Aaron e gli rubò la biro. Scribacchiò qualcosa sul foglio malridotto, e il bassista non poté non osservare rapito il modo in cui i capelli biondi di Rina le ricadevano sul viso, il modo in cui i suoi occhi esitavano in preda alla riflessione, il modo in cui le sue labbra mordicchiavano la penna.
Era adorabile. Adorabile e insopportabilmente sensuale.
— Tieni — gli disse Rina. — Così è molto meglio.
Aaron diede un'occhiata alle correzioni di Rina.

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