Capitolo 9: LEGGIADRIA SANGUINANTE, Parte 1

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 Debby si sentì scuotere per una spalla. Non voleva aprire gli occhi: desiderava che il buio continuasse ad avvilupparla con lenzuola calde e avvolgenti.
— Avanti, Debora!
Era Jandira.
— Oggi è un giorno importante, e tu devi prepararti.
La ragazza lanciò un'occhiata al di là della finestra. Sullo sfondo delle ondulate pianure olandesi aleggiavano le sfumature crepuscolari color pastello.
— Ma è appena l'alba — borbottò Debora, ricacciandosi sotto le coperte e apparendo all'esterno come un bruco infagottato e avvoltolato in un bozzolo di seta.
Jandira le tirò via il cuscino da sotto la testa e le strattonò le lenzuola. — Ti ho portato questi. ­— Le sbatté in faccia quelli che, dalla consistenza e dalla leggerezza, parvero indumenti. — È una tenuta speciale che ti permette di trattenere i poteri nel miglior modo possibile. L'ho fatta fare apposta per te.
Debby si ritrovò fra le mani un top argentato piuttosto scollato. Si raddrizzò e osservò la giacca e i pantaloni accanto a lei, di un nero sbrilluccicante color grafite. — Non sarà un po' troppo... appariscente? — osò chiedere.
— Nah — la liquidò l'anziana. — Alla Regina Iselle piacerà. Ora lavati e vestiti.
Debora si alzò dal letto con riluttanza. Raggiunse il bagno, irritata dalla freddezza delle piastrelle sotto i piedi nudi. Gli occhi di Jandira, scintillanti di enfasi e di impazienza, erano ancora vividi nell'anticamera del suo cervello, sotto forma di aloni screziati.
Si lavò la faccia, si pettinò i capelli e indossò gli abiti che le erano stati procurati, o meglio regalati, notando che sulla giacca e sulla maglietta erano stati recisi due buchi in corrispondenza delle scapole. Dopodiché si infilò gli anfibi lasciati ad asciugare sotto il termosifone, ed infine, reclinando il busto, si guardò allo specchio. Doveva ammettere di stare bene: le tonalità argentee della tenuta le donavano, e il viola dei piccoli diamanti incastonati nel ciondolo che portava al collo si intonava perfettamente al colore dei suoi occhi.
Uscì dal bagno. — Sono pronta — annunciò. Per la prima volta, il viso di Jandira le parve ammorbidirsi. — Ti sta d'incanto — le disse. — Ora andiamo.
Attraversarono il corridoio, scesero le scale e arrivarono in cucina. Lì, si erano tutti riuniti al tavolo per fare colazione. Erano presenti anche Lotty e Rina, alle quali, il giorno prima, era stato concesso di unirsi alla squadra. Con grande sorpresa di Debora, era stata Jandira a proporre alle due ragazze di aggiungersi a loro nella visita al Popolo Fatato.
— Sei uno schianto! — ululò Rina salutando l'amica.
— È vero. — Lo sguardo di August percorreva le curve di Debora, soffermandosi sul decolté e sui fianchi, gli occhi avidi ed ingordi.
— Bene! — proruppe Katrin. Spinse un piatto di ciambelle verso Debby. — Mangia. Più energie abbiamo, meglio è.
Terminata la colazione, il gruppo si diresse verso l'uscita.
— Ascoltate — disse Ronald, –– Jandira ci aprirà un portale per arrivare alla Corte Seelie. Non dovete fare altro che attraversarlo.
Svolsero gli ordini senza alcun indugio; persino le esitazioni di Lotty perirono nel giro di pochi attimi.
Arrivarono alla foresta retrostante la Magione, la stessa che Debora aveva contemplato da camera sua e sul tetto dell'edificio, insieme ad August.
Dopo qualche minuto, la vegetazione fitta e rigogliosa si sfoltì in una radura circolare, al centro della quale torreggiava una gigantesca quercia. Le argentee foglie dell'albero baluginavano ad ogni timido alito di vento. Il tronco ritorto e i rami ricurvi si stagliavano neri come l'inchiostro.
Il silenzio regnante era solo occasionalmente interrotto dai trilli degli uccellini, dal dirompente frullio di ali spiegate e da una serie di scricchiolii sommessi. Le radici della quercia annosa erano abnormi, mastodontiche; ai piedi del tronco, formavano un labirinto nero ed intrinsecato, anelli ruvidi e nodosi.
Katrin, in testa al gruppo, avanzava con passo deciso. Osservandola, Debby non poté fare a meno di riconoscere quanto la tenuta da combattimento, di un marrone scuro lucente, le stesse bene, aderendole alla perfezione e rendendo accattivante ogni sua forma senza però farla apparire volgare.
All'improvviso, Kate scivolò in una delle ampie fessure createsi tra le radici dell'albero. Non gridò.
Debora, Lotty e Rina si allarmarono. Attendevano un intervento di soccorso da parte della squadra, ma tutto ciò che ottennero fu mera impassibilità. Poco dopo, ogni membro del gruppo ruzzolò a sua volta tra le radici della quercia. Dapprima Jason, poi Ronald e Cheyenne, e infine Jandira. Ognuno di loro slittò nelle spaccature tra i ceppi dell'albero, inabissandosi nelle viscere della quercia.
August si avvicinò a Debby sfiorandole la schiena e incoraggiandola. La ragazza esitò. Chiuse gli occhi e inalò gli aromi della foresta: ossigeno puro, terriccio bruno, foglie rinsecchite, natura morta. Lasciò che il terreno sotto di sé sdrucciolasse, incurante delle radici dalla superficie nocchiuta che andarono a graffiarle le braccia.
— Dopo di voi — intimò Roy a Rina e Lotty.
Le due si presero per mano e si buttarono, seguite dal Prescelto.
La squadra fece capolino in una grotta dalle pareti argentee. L'unica e flebile fonte di luce proveniva dai diamanti grezzi incastrati fra le rocce.
— Rimango perplesso del fatto che a voi Imperfette sia stato permesso di venire con noi — disse Roy, in coda al gruppo.
La voce di Jandira sopraggiunse da lontano: — Non spetta a te preoccupartene, Roy.
Man mano che il gruppo proseguiva, la quantità di lapilli nelle pareti rocciose non faceva che aumentare, finché le pietre preziose non si convertirono in unico muro di diamanti sfavillanti che sbarrò loro la strada. Lo spettacolo, tuttavia, era mozzafiato.
— E ora? — chiese Rina.
Quando le parole della ragazza riecheggiarono disperdendosi per la galleria, il muro si spezzò in due e le rispettive metà scivolarono verso le estremità del tunnel. Alla base di quella sorta di portone v'era un minuto e bizzarro essere, non più alto di sessanta centimetri. La creatura esibiva un paio di indiscrete orecchie; era dotata di piedi minuscoli e di mani piuttosto grosse, dalle dita lunghe e ossute, le unghie rotte, ingrigite e giallognole. La sua pelle era di un verde smorto, coperta da una tunica costituita essenzialmente di foglie marroni raggrinzite.
— La Regina Iselle vi attende — annunciò l'esserino, con voce stridula e nasale. Detto ciò, piroettò su sé stesso e si incamminò verso una luce recondita.
— E questo cos'è? — domandò Rina, ripugnata.
— Un brownie — rispose Jandira. — Una creatura fatata destinata a servire la Corte fatata. — Seguì l'orripilante creatura, e lo stesso fece il resto del gruppo.
— Ricordate di portare rispetto, di non contrattare e di non accettare nessuna bevanda o nessun cibo vi venga offerto — disse Ronald. — Intesi? Mi riferisco in particolare a voi due. — Intendeva a Lotty e Rina.
Le due ragazze annuirono.
— Le Fate sono riconosciute per la loro astuzia nel deformare la verità a loro piacimento, senza poterla modificare in definitiva — riprese il licantropo. Allo sguardo stordito e interrogativo delle nuove arrivate, rettificò: — Intendo dire che non possono mentire, ma sono in grado di raggirarci e di farci impazzire in modi che non possiamo neanche lontanamente immaginare.
— Sono per metà angeli e per metà demoni — aggiunse Cheyenne. — Belle come i primi e malefiche come i secondi. La magia di cui dispongono risale ad epoche precedenti l'esistenza dei Nephilim, e rimane tutt'ora sconosciuta a noi Prescelti. Non fidatevi di loro. Mai.
— Prima hai parlato di una certa Corte Seelie — disse Debora volgendosi a Ronald. — Di che si tratta?
— Nel mondo esistono moltissime Corti fatate — spiegò il licantropo. — Ma tutte quante possono essere classificate in due tipi: Seelie e Unseelie. La Corte Seelie è quella più benevola, mentre quella Unseelie è malevola a tal punto da impedire ai Nephilim e agli Occulti di poter contrattare con le creature che ne fanno parte. Tuttavia, in entrambi i casi le Fate sono da considerarsi creature spietate, malefiche, subdole e ingannatrici. Per cui non aspettatevi di giocare con adorabili fatine colorate o di cavalcare meravigliosi unicorni bianchi su montagne di zucchero filato.
— Oh, peccato. Posso tornarmene a casa, allora — disse Rina, sfrontata come suo solito.
— Tutte le Corti, sia Seelie che Unseelie, possono appartenere ad una delle quattro stagioni — continuò Ronald, glissando sull'infantile commento di Rina. — Questa Corte Seelie è una Corte d'Inverno. E come in tutte le Corti fatate esistenti, è governata da un elfo regale. In questo caso, dalla Regina Iselle.
La squadra sboccò in una sala ciclopica. Il pavimento e le pareti erano di un materiale roccioso, grigio ardesia, dai riflessi argentei; le mura si protendevano verso l'infinito. Da alcuni portici scavati nelle pareti provenivano lampi di luce marezzata. In lontananza era possibile udire un'allegra e vivace melodia, simile a quelle dei tradizionali balli medievali. Debora si figurò la massa uniforme e roteante degli invitati, briosi ed esuberanti.
Lungo le mura scorrevano rivoli ascendenti di acqua fluorescente, e dall'alto pendevano possenti radici argentate. Il terreno era sovrastato da corpulenti ammassi di roccia percorsi da venature di liquido fosforescente. Al centro della sala, i massi di pietra si disperdevano in un laghetto. Minuscoli puntini luminosi e deliranti scattavano da una parte all'altra dell'atrio: si trattava di fate microscopiche munite di ali cristalline. La lucentezza delle piccole creature fatate riverberava contro l'argento delle radici penzolanti e la superficie d'acqua, effondendo ovunque sprazzi di luce. Al centro del laghetto era collocato una sorta di divano ghiacciato e sopra di esso era distesa la donna più bella che Debby avesse mai visto: la Regina Iselle.
La fata sfoggiava capelli lunghissimi, bianchi, di un'insolita e leggera tonalità rosata. La sua pelle era candida e bianca come neve; il suo volto risultava sovrumanamente spigoloso: gli zigomi erano alti e aguzzi come la punta di un arcolaio. Le orecchie appuntite si intravedevano attraverso le lunghe ciocche di capelli bianchi. La Regina indossava un lungo abito bianco velato, ricoperto di gocce di cristallo ghiacciato; sul capo portava un diadema d'argento e di ghiaccio da cui pendevano catenelle del medesimo materiale. Lungo le braccia, a partire dalle dita inanellate, le si avvitano bracciali a forma di spirale dai motivi intrecciati e gli andamenti curvi.
Debora non poté fare a meno di rimanere incantata dagli occhi della fata, vitrei, di un azzurro chiarissimo, glaciale. Aveva l'impressione di averli già visti, da qualche parte.
— Debora Myako Urushiba — disse la Regina con tono suadente. Sembrava cantasse. — Finalmente faccio la conoscenza della famosa Ragazza dagli Occhi Viola.
Debby sapeva quale atteggiamento assumere. — Vostra Maestà — disse, inginocchiandosi e distogliendo lo sguardo da quello dell'elfo, — se è così che mi chiamano, sì, sono io. È un onore conoscervi. — Le venne spontaneo dare del voi alla Regina della Corte Seelie.
— Carino come soprannome. Tipo, supereroina.
Senza rendersene conto, Rina aveva parlato ad alta voce. I presenti si scostarono all'istante in modo da renderla visibile agli occhi della Regina Iselle.
— Non fare dell'umorismo, Rina — la ammonì quest'ultima. — È poco elegante.
Rina s'accigliò e schiuse le labbra. — Come conosci il mio nome?
La fata sogghignò. — Non ti avrei mai chiamata Karina. Che nome insulso.
— Non hai risposto alla mia domanda.
La Regina rise, emettendo una risata armoniosa e inquietante al tempo stesso.
— Quanto sei ingenua, Rina. Ingenua in modo adorabile. Non la trovi deliziosa, Snorri?
Il brownie sedeva ai piedi del divano ghiacciato, su una roccia appuntita. Ridacchiò in maniera snervante.
— Bando alle ciance... — Iselle osservò Rina con sguardo penetrante. — Ti chiedi perché mai conosca il tuo nome?
La ragazza tacque, furente. Odiava che ci si prendesse gioco di lei.
— Facile. Conosco il tuo nome perché sono colei che ti ha data alla luce. Sono tua madre, Rina.
Dominò un silenzio interminabile.
Poi, Rina scoppiò.
— Ma che diavolo stai blaterando? — ruggì. — Non dire cacchiate! Se sono veramente tua figlia, perché non ho sviluppato nessun potere?
La Regina rise malignamente. — Ma allora sei proprio all'oscuro di tutto — le disse. — Sei una bambina scambiata, Rina.
La ragazza continuava a non capire.
— Talvolta, noi Fate irrompiamo nella casa di una famiglia imperfetta, rapiamo un bambino che presenti qualità idonee alle nostre necessità e lo sostituiamo con un giovane membro del Popolo Fatato. Ma prima di approfondire l'argomento, lascia che ti racconti una storia.
La fata schioccò le dita. Snorri raggiunse il terzo gradino ghiacciato e vi si accovacciò carponi. Con un leggiadro movimento, la Regina posò i piedi nudi dall'incarnato diafano sulla schiena della succube creatura.
— Diciassette anni fa, un uomo piuttosto curioso – tuo padre, qualora non l'avessi dedotto – si addentrò nella foresta e udì una musica proveniente da lontano. Incantato da quella gradevole melodia, si lasciò guidare all'interno della Corte Seelie. Quest'uomo resisteva con facilità agli incantesimi del Popolo Fatato, ma cedette all'incredibile bellezza della Regina, ovvero soccombette al mio indiscusso fascino. Giacemmo insieme, e il mattino dopo lui mi diede ciò che desideravo: un figlio. Devi sapere, mia adorata Rina, che noi Fate soliamo catturare gli umani, uomini ottusi che cadono nelle nostre trappole e si lasciano ammaliare e affatturare dal carisma del Popolo Fatato. Li usiamo per l'accoppiamento. Sì, hai capito bene. Accoppiamento. E dopodiché, ce ne liberiamo. In questo modo scongiuriamo l'indebolimento della nostra razza. Ecco ciò che ci serve: sangue umano. E come lo otteniamo? Uccidendo gli umani caduti in tentazione. La lotta contro l'impoverimento del sangue fatato è alla base di ogni nostra iniziativa, compresa quella dei bambini scambiati. Decisi tuttavia di risparmiare la vita di tuo padre, poiché era in grado di darmi sangue umano senza doverne necessariamente versare. Ecco la condizione che gli imposi per avere salva la vita. — La Regina si protese in avanti, poggiando un gomito su un ginocchio e portandosi una mano al mento. — Negli attimi di passione carnale che avevamo condiviso, scoprii che sua moglie – colei che attualmente consideri tua madre – aspettava un figlio. Gli proposi uno scambio: sua figlia, un'umana, in cambio della nostra, una mezzosangue. E lui accettò, poiché giurai che in caso contrario avrei ucciso ogni singolo membro della sua famiglia. Alla tua nascita, lanciai su di te un incantesimo che ti avrebbe privata dei poteri fatati a tempo indeterminato. Solo la mia volontà avrebbe potuto restituirti i poteri, e ciò, dunque, sarebbe accaduto quando l'avessi ritenuto opportuno. Feci tutto questo nella speranza che i tuoi familiari non sospettassero mai della tua vera natura. Si trattò di una decisione puramente scaramantica: il tuo organismo si sarebbe comunque adeguato all'ambiente in cui avresti vissuto senza lasciar trasparire nessuno dei tuoi poteri e rendendoti un'umana qualunque a tutti gli effetti, se non per la Vista. Inoltre, il tuo ibridismo ti permette di mentire – cosa che noi non possiamo fare – e di resistere al ferro, al sale, alla terra di tomba, al legno di sorbo – sostanze velenose, per noi Fate. Perciò non si sarebbero mai verificati episodi sconvenienti come sarebbe successo spargendo del sale o essendo esposta al ferro, cosa che nelle città è inevitabile e che spesso è all'origine della morte prematura delle fate scambiate e inserite in una famiglia umana.
Quiete. Quiete tempestosa.
Rina, dentro di sé, urlava, gridava e si dimenava.
— Sai, in teoria i bambini scambiati non dovrebbero mai venire a conoscenza delle loro origini — la informò la Regina Iselle. — E di solito, per via della loro istintiva integrazione, qualora dovessero sopravvivere, niente li insospettisce. S'adattano a qualsiasi tipo di condizione, e alcuni di loro addirittura perdono le loro iniziali potenzialità, o ne assumono di nuove. Per cui non è mai successo che un bambino scambiato s'accorgesse dell'ambiguità della sua esistenza, e ammesso che avesse qualche dubbio, a nessuno è mai stato concesso di infrangere la regola principale di questa nostra usanza, secondo cui nessun individuo selezionato farà mai ritorno alla sua effettiva razza d'appartenenza. Però, per te, ho fatto un'eccezione, Rina. Perché sei mia figlia. E anche perché i tuoi stessi geni, per metà umani, ti esonerano dalle regole che concernono la pratica dei bambini scambiati, in cui di norma i due individui in questione sono o del tutto umani o del tutto fate. Nessuno di questi è il tuo caso, il che fa di te un'eccezione, e ti consente, ora, di scoprire chi sei veramente. E giacché una delle tue migliori amiche è una stregona – e non una stregona qualunque –, ricondurti a me non è stato così difficile.
Debby, nonostante fosse perfettamente conscia del fatto che il discorso non la riguardasse – o almeno non del tutto –, non poté trattenersi: — Non è stata una coincidenza — disse intromettendosi. — Non può essere stato un caso che la figlia della Regina della Corte Seelie di Amsterdam diventasse una carissima amica della figlia di Azazel. Tu sapevi chi ero. — Smise del darle del voi. — E sapevi che Rina sarebbe entrata nella mia vita, come io sarei entrata nella sua. Sapevi che sarei tornata in possesso dei miei poteri, che sarei stata introdotta nel Mondo Occulto e che, di conseguenza, avrei coinvolto Rina. Portandola da te. Era tutto programmato.
Per qualche istante, Iselle parve combattuta. Non batté ciglio. Il suo sguardo era fisso su Debora, con un'intensità tale da catturarla, ostaggio di un'oscura magia. Poi socchiuse gli occhi, calando le palpebre violacee. Quando li riaprì, incurvò gli angoli della bocca sottile e rossissima in un ghigno che Debby non riuscì ad interpretare. Che si trattasse di un sorriso?
— Non sei affatto sciocca, Debora Myako Urushiba — osservò la Regina. — Sì, hai ragione. Era tutto programmato.
Debora si sentì vacillare. Era stato tutto deciso, prima ancora che lei e Rina nascessero.
Si sentì assolutamente impotente e terrificata.
— Ma la domanda è: come? Come hai fatto? — chiese allora.
La fata si stiracchiò con movimenti sinuosi, simile ad un gatto. Iniziò a passarsi le dita tra le ciocche dei capelli bianchi. — Credi davvero che la Regina della Corte Seelie di Amsterdam non sia al corrente di tutto ciò che si verifica all'interno della comunità di Occulti in cui vive?
La ragazza non rispose.
— Io controllo questa città, e gli Occulti che ci vivono — inveì la Regina, a denti stretti. — Ho poteri indiscutibili. Ho occhi e orecchie ovunque. Io sono questa città. È stato facile stabilire quale sarebbe stato l'aggancio tra Rina e il Mondo Occulto.
Debby serrò i pugni. — Ho detto: come? — mugghiò. — Come sapevi che avrei recuperato i miei poteri? Esigo una risposta.
— Oh, ma questo non ha minimamente importanza — disse la Regina Iselle con cauta disinvoltura. — Lo scoprirai da sola. Ogni cosa a suo tempo, Debora. E non temere, sii paziente. Il tuo futuro ti reclama. T'avrà raggiunto ancora prima che tu possa rendertene conto.
Debora fece per ribattere, ma venne interrotta.
— Smettetela!
Rina, le lacrime agli occhi, tremava convulsamente. — Questa storia è assurda! — si sgolò. — Non è... non è reale.
— Certo che lo è — obiettò la Regina. — Hai una sorella, infatti. L'autentica figlia dei tuoi genitori, colei che avrebbe dovuto vivere nella famiglia in cui ora ti ritrovi. Evelyn, dove sei, mia diletta?

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