Capitolo 18: PROMESSE, Parte 2

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    –– Di cosa? –– gli chiese. 

   –– Dei tuoi poteri. 

   Debora si immobilizzò per qualche attimo. Poi mosse un passo verso Isarn. Affondò un inchino e gli porse una mano. Lui la studiò incuriosito, le labbra inarcate verso l'alto in un sogghigno volpesco. Sulla sua gola luccicarono quelle che a Debby parvero branchie argentate. Le iridi dei suoi occhi rosa baluginavano di aspettative e fantasie. 

   Le strinse la mano. 

   Nel giro di pochi secondi, la ragazza venne travolta da un boato di incredulità, riecheggiante nell'intera sala. 

   Era conscia di presentare una pelle lattea indistinguibile da quella di Isarn, accessoriata dalle stesse corna turchesi, gli stessi capelli biondi e viscidi, e le stesse squame dai riflessi argentei. Quando gli lasciò la mano, riacquistò gradualmente il solito aspetto. 

   –– Notevole –– commentò lo stregone. 

   Debora ricorse ad un sorriso forzato e del tutto innaturale. Tornò al leggio e si rivolse nuovamente alla folla: –– Per quanto riguarda il messaggio che Azazel ha voluto lanciarci, è necessario che ognuno di voi sappia cosa intendesse con la parola "casa".

   Gli astanti scalpitarono dall'indiscreto interesse e iniziarono a discutere tra loro. Debby aspettò che facessero silenzio, prima di proseguire. –– Sono nata in Giappone –– disse poi. –– Ed è lì che mio padre ingravidò mia madre. Perciò, parlando di casa, Azazel intende il Giappone. E sarà dunque in Giappone che la guerra scoppierà.

   Sopraggiunse 

   il 

   finimondo. 

   Versi di stupore, di paura e di indignazione colmarono quello che un tempo era stato un silenzio tombale.

   –– Di questo non ci avevate parlato –– strillò Amelia Greyraven, nonché Inquisitrice. La sua era una voce nasale e acuta, che irritò Debby nel più profondo del suo essere, risvegliando il suo lato combattivo e autodifensivo. Quel tono la invogliò a ringhiare, scatenando in lei un istinto vorace e quasi selvaggio, smuovendo e distruggendo ogni allusione di pazienza. 

   Ma invece di assalire Amelia come avrebbe desiderato fare, Debora si limitò ad osservarla: la donna vestiva una tunica nera e aveva lunghi, ispidi capelli mori, dalle radici ingrigite per via della vecchiaia. Il suo volto era allungato e ringrinzito, simile all'Urlo di Edvard Munch.

   –– È una deduzione alla quale siamo giunti solo dopo avervi inviato il nostro messaggio –– s'interpose Ronald, prendendo le parti di Debby. 

   Il Console Greyraven tornò al leggio e spinse la ragazza da parte, servendosi delle proprie, larghe, sgarbate spalle. 

   Lei lo guardò in cagnesco. Era possibile che i Greyraven – al di fuori di Edgar, ovvio – la inducessero ad inselvatichirsi e a tramutarsi in belva? 

   Ancora una volta, il Console batté il martello sulla superficie del leggio. –– Silenziò in aula! –– gridò a gran voce.

   E così fu.

   –– Siete sicuri del fatto che Azazel si riferisse al Giappone? –– domandò poi, volgendosi a Debora con tono quasi rimproverante. 

   Debby, letteralmente imbestialita, reagì: –– Be', possiamo sempre spostare la guerra a casa sua, se ci tiene tanto, Console. Non sarebbe male come idea, non crede anche lei? Perlomeno, sono certa che a tal punto penserebbe ad agire, più che a porre domande le cui risposte sono già state date.  

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