Capitolo 8: IL CAMUFFAMENTO, Parte 2

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Pensa, pensa, pensa, si disse. Dove può essere andato?
Si spremette le meningi fin quando non capì.
L'acqua. Il mare.
Spalancò le ante della finestra e volò via.
Tra le dune di sabbia, distinse un cumulo di vestiti. Individuò gli indumenti di August: i jeans, la giacca di pelle, la maglietta grigia e gli stivali infangati. Debora scese in picchiata, lasciando che le sue immani ali si ritraessero gradualmente, con fare cauto. Si spogliò, ignorando il gelo che la investì non appena rimase in mutande e reggiseno.
Si incamminò verso riva. Immergere i piedi nell'acqua del mare mosso le procurò un fremito. Si sentiva le gambe paralizzate, traversate da miliardi di aghi. Fu allora che uno dei recenti insegnamenti di Jandira diede i suoi frutti.
Debby si concentrò. Trattenne il respiro e desiderò di poter bruciare con tutta sé stessa. La stregona che era in lei iniziò a manifestarsi, a premere e spingere contro le pareti dalle quali era imprigionata. A partire dalla punta dei piedi, un'ondata di energia irradiò il suo corpo di calore, esaltandola.
Debby ardeva. Era febbricitante di sé stessa.
In lontananza, una testa argentea fuoriuscì dall'acqua tra le schiumose e quiete onde del mare, per poi reimmergercisi pochi secondi dopo.
Debora si tuffò e nuotò verso la sua prefissata meta. Eppure, quando tornò in superficie, non vide niente e nessuno. D'acchito, August emerse proprio di fronte a lei, in un profluvio di perle liquide argentate.
Debby si immobilizzò di colpo. Rimase ammaliata dalla luminescente pelle della creatura davanti alla quale si trovava, benché avesse già avuto, in precedenza, l'occasione di contemplarne lo splendore.
Improvvisamente, Debora realizzò che mai avrebbe dimenticato quel momento. Si estraniò dalla realtà, indirizzando i propri pensieri altrove, verso il futuro. Si immaginò vecchia, magari nonna. Poi cancellò quella fantasia, quasi si trattasse di un'equazione irrisolvibile trascritta alla lavagna.
Sì, perché quella felice prefigurazione non poteva essere altro: una fantasia. Debora non sarebbe mai invecchiata, e mai avrebbe avuto figli, o nipoti, o pronipoti.
Il suo sogno, perciò, cedette il posto a un'ambizione di gran lunga più realistica. La sua mente vagolò fino ad arrestarsi dinanzi un volto familiare.
Lei ed August, anni dopo. Avrebbero mantenuto lo stesso aspetto, ma le loro anime sarebbero cambiate, ammorbidendosi o inaridendosi. E un'infinità di anni, di avventure, di guerre, di pace, di tragedie e di amore li avrebbe resi saggi e sapienti. Debby avrebbe guardato August come lo aveva guardato al loro primo incontro e come lo stava guardando adesso, al momento. Ovvero con occhi innamorati, legati ai suoi per l'eternità, congiunti dalla sofferenza e dalle avversità quanto dalla magia e dall'amore. Dalla passione e dalla speranza.
Debora si ridestò. Era quasi sicura di aver sorriso.
Affilò lo sguardo. Scrutò August, il suo piccolo immenso miracolo. Un miracolo che non trovava spiegazione in niente e nessuno, se non nell'amore irrefrenabile per Debby.
Era bello.
August era bello. Bellissimo. Una statua greca scolpita nell'oro e nell'argento. E pensare che Jason l'aveva ripudiato per via del suo essere ifrit. Era lontanamente concepibile poter disprezzare qualcosa di tanto bello?
Debora non si mosse. August sembrò rilassarsi. Il suo torace, distendendosi, emanò un lampeggio, quasi fosse ricoperto di squame. — Che ci fai qui? — le domandò. — Non hai freddo?
Debby scosse la testa. — Un incantesimo. E tu?
— Il mio Marchio mi rende immune al gelo.
— Allora non... non sei completamente privo di poteri — disse lei con un sorriso impercettibile.
August sbuffò. — E pensi che questo potrebbe farmi apparire di un filo più utile, agli occhi di Jason?
Debora si passò una mano sul viso. Si rese conto solo allora di non indossare altro che la biancheria intima. Si sentì esposta, osservata dai fuggenti occhi del ragazzo.
— Mi spieghi che è successo? –– gli chiese, sperando che la sua attenzione scivolasse altrove e non s'attardasse sull'indiscreto reggiseno di pizzo turchese. — Perché ti ha trattato in quel modo? Come si è permesso?
August parve riscuotersi. — Non lo so — disse. — Non è la prima volta che Jason lascia intendere quanto mi disprezzi, ma non era mai successo che arrivasse a tanto. — Abbassò lo sguardo. — Io non capisco. Non gli ho fatto niente. Niente di grave, almeno. Non che io ricordi.
Debby fissò August con espressione sofferente. Avrebbe voluto dirgli, se non gridargli, quant'erano state sconsiderate ed irrilevanti le parole di Jason, quanto lo odiasse per ciò che aveva detto. Ma, incomprensibilmente, si sentì la testa vuota e alleggerita, persa nel subconscio. E le labbra incollate l'una all'altra da un gommoso strato di esitazioni. Pertanto, quelle idee si limitarono a fluttuare nella sua mente, senza poter assumere un suono.
Tacque.
— Okay, so che non manco mai dal punzecchiare Jason — riconobbe August. — Ma mi sono sempre comportato con decenza. Cioè, in modo civile. — Si portò le mani dietro alla nuca. — Gli ho addirittura salvato la vita, poco tempo fa.
— Jason non sa nuotare? — gli chiese Debora. — Mi pareva che avessi accennato ad un annegamento.
— Sa nuotare, ma ha paura del mare — spiegò August. — Non mi ha mai voluto dire perché, e io non ho mai voluto chiederglielo. Ad ogni modo io, al contrario suo, ho una propensione naturale per l'acqua. Riesco a trattenere il respiro più a lungo, e in generale nuoto meglio di molte altre creature, mortali o soprannaturali. È per questo che...
— Per non parlare del fatto che quando la tua pelle brilla — lo interruppe lei, — sei terribilmente sexy. — Riuscì a strappargli l'accenno di una risata.
— Stavo dicendo... — proseguì August. — È per questo che spesso accompagno Kate, Roy e Jason nelle loro missioni. Sono stato addestrato al combattimento in modo da poterli spalleggiare. Mi alleno con loro sin da quando erano bambini.
Debby iniziò a camminare lentamente, seguita da August. Sfiorava l'acqua con la punta delle dita, andando così a riprodurre un fruscio, uno sciabordio orecchiabile e piacevole. Coi piedi tastava la soffice sabbia ramata, procreando sott'acqua nuvolette di granelli dorati. — Comunque non devi dargli retta — disse. — A Jason, intendo. Non devi calcolarlo. Si ciba della tua rabbia. E se ha detto quelle cose, non merita nessun tipo di considerazione.
August rivolse a Debora un flebile sorriso. La ragazza ebbe una gran voglia di prendersi a sberle.
Poteva fare meglio. Molto meglio. — Okay, senti — disse dunque, richiamando l'attenzione di August. — È vero. I tuoi non sono poteri veri e propri, e tu... non sei considerato come il migliore degli Occulti. Ma lascia che ti dica una cosa. Tu hai salvato una ragazza che altrimenti sarebbe morta. Le hai dato speranza, le hai dato qualcosa in cui credere. Le hai dato... cure, attenzioni. Amore. E per quanto possa risultare banale, non tutti sono capaci di fare una cosa del genere. È più che prendersi cura di qualcuno, capisci? È salvare una vita.
August si fermò istantaneamente. Guardò Debora come non aveva mai fatto. Quegli occhi argentei sembravano perforarle il cuore e trapassarle l'anima. Debby, titubante, riprese a camminare. Poi si sentì tirata per un polso.
Le labbra di August erano poggiate sulle sue.
Fu colta alla sprovvista. In pochi istanti, Debora si abbandonò al ragazzo – un atto ormai familiare. August le fece scivolare le mani lungo la schiena, facendo pressione sulla sua pelle gocciolante, imperlata d'acqua. I corpi dei due aderivano perfettamente.
Il bacio era soave e costante, ma passionale. La fragranza zuccherata sprigionata dalle inebrianti labbra di August si sposava in maniera sublime con lo sfizioso e salato aroma del mare. Se solo l'incantesimo non gliel'avesse impedito, Debby avrebbe potuto apprezzare il modo in cui il calore emanato dal corpo di August contrastava la gelida temperatura dell'acqua, predominando. Quell'ardore, stimolato unicamente dal desiderio, appiccò l'incendio nelle anime dei due amanti.
Il ritmo del bacio rallentò a poco a poco.
— Debby, io... — Gli occhi di August erano socchiusi, le labbra morenti nel tentativo di pronunciare parole che non erano pronte ad essere espresse. Non ancora.
La stregona lo zittì. Gli posò sulla guancia le dita dai polpastrelli increspati, dita delicate come ali di farfalla. Ricordava che da piccola, quand'era ospite dei nonni, in campagna, fremeva dalla voglia di acchiappare le farfalle per le ali. Sua nonna le raccomandava di non sfiorarle minimamente, poiché altrimenti le avrebbe private della polvere argentea sulle loro ali, e senza di essa sarebbero morte.
Ma la piccola Debora disobbediva.
Arraffava le farfalle e si ritrovava le dita cosparse d'argento. Le vittime della sua famelica ed insaziabile curiosità non morivano; eppure, in seguito all'episodio, volare risultava loro impossibile. Anni dopo, la ragazza imparò che la polvere rilucente sulle ali delle farfalle era in realtà una distesa di micro-squame. Queste conferivano alla creatura l'equilibrio necessario per volare. Per cui, il senso di colpa da cui Debby era stata pervasa non aveva fatto che ampliarsi. Con August era lo stesso: parole fin troppo significative, frasi precoci, ancora immature ed acerbe, lo avrebbero danneggiato. Avrebbero rovinato tutto.
Così Debora decise di aspettare, permettendo che le ali della farfalla volassero ancora a lungo, prima di perdere l'equilibrio e di precipitare in discorsi fin troppo colmi di pretese.
— Non dire niente — sussurrò Debby. Baciò August un'ennesima volta, unico ed essenziale sfioramento di labbra.
Fu allora che percepì una sensazione insolita. Una sorta di scossa che parve stuzzicarla e solleticarla in diversi punti per diversi istanti, come se nelle sue vene scorresse acqua frizzante, anziché sangue.
Lui sollevò lo sguardo. Il suo volto assunse un piglio tremendo. — Santo Cielo, Debby!
Debora si allontanò di colpo. Non comprese lo stupore di August finché non scorse il proprio riflesso spezzato, sciancato dalla smossa superficie dell'acqua. La sua pelle brillava, nello stesso identico modo in cui brillava quella di August. La luminescenza la abbandonava poco alla volta. — Oh mio Dio. Tu... io... sto brillando come te!
Debora non credeva ai propri occhi. Si sentì intrappolata nella propria pelle e desiderò di spogliarsene e sgusciarne via come un serpente in periodo di muta.
— Lo so, lo vedo! — rispose August. — La mia effervescenza ti contagia. Non era mai successa una cosa del genere.
— Forse capita solo con gli altri stregoni — ipotizzò Debby.
Lui la guardò di traverso, con malizia. — Debby, sono stato toccato molto spesso da altri stregoni.
Debora scosse la testa, cercando di sorvolare su ciò a cui August aveva appena fatto allusione. — Non capisco — affermò, del tutto smarrita.
— Andiamo a casa. Forse Jandira ci potrà aiutare. ­­­­— La prese per mano e la scortò verso riva.
Lì, Debora si chinò a raccogliere i propri vestiti. August intravide sulla sua schiena le scorticature che si era procurata volando. — Debby! — gridò, con una venatura di rimprovero. — Sei venuta qui servendoti delle tue ali? Hai delle ferite serie, sulle scapole. Ma come ti è saltato in mente? Tu torni con me, in moto.
Debora si voltò e guardò August da sopra una spalla, le labbra contorte in un ghigno provocatorio. — Fremo, all'idea di stringermi ai tuoi possenti addominali scolpiti.
Lui sorrise e si asciugò la faccia con la maglietta insabbiata recuperata da terra. — Lo so, lo so.

Arrivati alla Magione, i due trovarono Jandira all'uscita della biblioteca. Le bloccarono la strada. — Jandira, ti dobbiamo parlare — le disse August.
— Oh, salve, August. — L'anziana batté le palpebre più e più volte. — Io sto bene, grazie. Sì, anche per me è un piacere rivederti. Come posso aiutarti? — domandò, sarcastica.
— Eravamo in acqua...
— Eravate in acqua? Ma siamo quasi a dicembre! — Rina sbucò dal nulla imitata dal resto del gruppo, nessuno escluso. August trascurò il suo intervento e ritornò a Jandira: — Come sai, brillo a contatto dell'acqua. Ecco, Debora mi ha... toccato, e ha iniziato a brillare a sua volta.
L'espressione della donna mutò completamente. — Interessante. — Si richiuse la porta della biblioteca alle spalle.
— Sapresti spiegarlo? — le chiese Debby.
Jandira la squadrò dall'alto in basso. — Vieni con me. — La trascinò per una mano fino in cortile. — Ora lascerò trasparire il mio Marchio, e allora tu mi toccherai, d'accordo?
— Sì.
L'anziana si palesò, tramutandosi in una visione dorata. A quel punto, Debby le sfiorò un braccio. Il suo corpo venne travolto da un pizzicore omogeneo. La sua pelle passò dall'umano rosa carne all'oro puro. Quando se ne rese conto, mollò la presa, e il suo aspetto tornò il solito.
Jandira la fissava con aria interdetta. — È ufficiale — disse. — Tu hai un potere invidiabile, Debora.
Non capiva. — Cioè?
— Lo chiamerei... camuffamento — proclamò Jandira. — Penso che tu abbia la capacità di adottare i Marchi degli altri stregoni attraverso un semplice contatto fisico.
— Ma non è possibile — protestò Debby.
— Oh, sì che lo è — ribadì Jandira. — È probabile che questo dono ti sia stato conferito dal sortilegio che è stato lanciato su di te nei tuoi primi giorni di vita. Ti ha destabilizzata a tal punto da fare sì che il tuo Marchio restasse indefinito e mutevole. Hai mai toccato qualcuno con gli occhi viola, o...
— No — rispose Debora, anticipando il resto della frase.
— Gustav — disse August.
Debby lo fissò. — Come dici, scusa?
— Gustav Mortimer — ripeté lui. — È uno degli stregoni al servizio di tuo padre. Aveva un paio di ali nere come le tue. Immagino abbia guidato il rito di incantesimi che ti sono stati inflitti, e visto che eri solo una neonata, il suo Marchio deve aver avuto un impatto tale da risorgere in te diciassette anni dopo.
— È possibile? — chiese Debora voltandosi verso Jandira.
–– Tutto è possibile — rispose l'anziana.
— E tu tutte queste cose come le sai? — domandò Jason ad August, assecondato dal resto dei presenti.
August lo folgorò con lo sguardo, sperando invano che bastasse a ridurlo in cenere.
Dunque non lo sanno, pensò Debby. Non sanno che prima di occuparsi della mia salvaguardia, August era al servizio di Azazel.
Non disse nulla. Fortunatamente, Jandira riportò la conversazione sulle nuove capacità della neo-stregona, e per una volta, Debora fu contenta di essere al centro dell'attenzione.
— August ha ragione — disse Jandira. — La sua teoria ha del tutto senso. Perciò — si rivolse a Debby, — gli occhi viola corrisponderebbero al tuo Marchio originario, l'unico che non ti sia stato trasmesso da un altro stregone.
— È una notizia fantastica — intervenne Ronald. — Presumo che tu abbia un grande potere, Debora. Fa' solo attenzione a come usarlo.
Debora annuì obbedientemente.
— Okay, riposatevi. Domani ci attende una giornata impegnativa, per cui sarà meglio che vi facciate una bella dormita. — Il licantropo si defilò, e il gruppo fece lo stesso.
All'interno dell'edificio, ognuno si dileguò dirigendosi verso la propria stanza, mentre Roy e Kate si offrirono di riaccompagnare Lotty e Rina ad Amsterdam.
In camera sua, Debby scivolò nella camicia da notte di pizzo sangallo che le era stata prestata. S'accinse ad infilarsi sotto le coperte, quando sentì bussare alla porta. Andò ad aprire.
Era August.
— Ehi. — Il ragazzo sollevò un borsone. Lei studiò attentamente lo scatto dei suoi bicipiti nel momento in cui lui fletté un braccio per porgerle la sacca.
— Mi sono dimenticato di darti le cose che sono andato a prendere a casa tua.
— Oh! — esclamò Debora. — Grazie. — Resse il borsone e lo posò accanto allo stipite della porta.
— C'è anche questa. — August le mostrò una collana. Era la catenina d'argento che Hanna aveva regalato a sua figlia adottiva il giorno del suo diciassettesimo compleanno.
Debby accolse tra le mani il ciondolo tempestato di diamanti viola. — La collana regalatami da mia madre.
— Girati — la esortò lui con gentilezza.
Lei gli diede le spalle, raccogliendo i lunghi capelli corvini. August le passò la collana davanti agli occhi e allacciò il gancio; le sue dita le sfiorarono il collo. Quel gesto apparentemente innocuo invogliò la stregona a passare la notte accoccolata ad August.
— Ecco fatto.
Debora si rigirò e contemplò il gioiello, passando un dito sulle gemme incastonate nelle ali d'angelo. Rialzò lo sguardo. — Ti ringrazio di cuore. Hai fatto un bel gesto, riportandomi questa. — Sollevò il ciondolo e sorrise.
— Non c'è di che. — August la guardava sorridendo. — L'ho vista appoggiata sul comodino accanto al tuo letto e ho pensato che magari, prendendola, ti avrei riportato un po' di casa tua.
— Infatti.
Debby era assorta nei propri pensieri, ed era nettamente visibile.
— So che ti manca.
Lo fissò, un punto interrogativo dipinto in faccia.
— La tua famiglia, intendo. Ma credo che tra non molto Jandira ti permetterà di tornare a casa.
Debora simulò un sorriso, il riflesso di un debole rammarico. — Sì — disse, — mi mancano, i miei genitori. E Rina e Lotty...
— A me sono sembrate abbastanza comprensive. Almeno dopo un primo shock.
— Sì, ma... — Debora si guardò la punta dei piedi, candidi come neve. — Non so. Ho l'impressione d'averle perse, August.
— Ehi. — Le accarezzò il viso. — Non temere. Capiranno, col tempo. Non le hai perse, Debora. E non le perderai. Sono certo che ti staranno accanto, ora che ne hai più bisogno. Sembrano amiche sui cui poter contare.
Debby chiuse gli occhi, godendosi per un attimo il caloroso tocco di August. — Lo sono — disse, a bassa voce. — August — aggiunse, come se temesse che il ragazzo potesse scomparire da un momento all'altro. — Tu non sei un ifrit qualunque, vero? Da quel che mi hai detto a proposito degli ifrit, il tuo Marchio non dovrebbe apparire solo in determinate circostanze. E non dovrebbe includere nessun tipo capacità. Anzi, non dovresti avere alcun potere.
August sospirò, senza smettere di guardarla con dolcezza. Il suo fiato le smosse i capelli. — Non sono un ifrit qualunque. Mi hai scoperto.
Debby sorrise.
— Rappresento un'eccezione — disse August. — Da sempre. Sono nato così. Erano tutti invidiosi, nel raggruppamento di ifrit con cui vivevo prima di... di servire tuo padre. — Picchiettò un dito sul muro.
Debora gli si avvicinò, esitando. — E allora, se hai sempre avuto qualche dote in più rispetto agli altri ifrit... come mai hai scelto di passare dal lato oscuro?
August si inumidì le labbra. Smise di guardarla. — Mi sono sempre sentito attratto dalle tenebre. Ecco la verità. — I suoi occhi incrociarono quelli di Debora. — Non voglio farti paura.
Debby lo abbracciò. — Non mi spaventi affatto — gli disse, le labbra accanto al suo orecchio. — Ho fiducia in te. Nel tuo spirito. Nella tua bontà d'animo. — Si staccò da lui, gli occhi riflessi nei suoi. Gli prese delicatamente il viso tra le mani. — Quel periodo della tua vita — disse — non rappresenta ciò che sei ora. Ciò che sei veramente, e che in realtà sei sempre stato. Hai subito la peggiore delle influenze. E nonostante tutto, non hai lasciato che il Male ti dominasse, e che ti definisse. — Lo baciò in fronte. — Devi andarne fiero.
August la guardò intensamente, gli occhi lucidi. La abbracciò con fermento, e rimasero a lungo avvinghiati l'uno all'altra. — Grazie — mormorò, dopo essersi ritratto. Le accarezzò uno zigomo. Debby inclinò la testa, in modo da accostare ancor più la propria guancia al raschiante palmo del ragazzo. Socchiuse gli occhi, come se nella mano di August, ruvida e confortante al tempo stesso, ci si volesse nascondere.
–– Ora sarà meglio che vada. — E così, sorridendo e tenendola per mano finché gli fu possibile, August si allontanò.
Debby richiuse la porta e si ritirò sotto le coperte. Prima di addormentarsi, trascorse svariati minuti a carezzare l'angelo viola che le poggiava sul petto. Osservò il soffitto, al buio, pensando che non fosse poi così diverso da quello in camera sua, a casa Brouwer. Serrò il ciondolo tra le dita, come se, così facendo, potesse sentirsi un po' più a casa.
Come se, così facendo, i suoi genitori potessero starle un po' più vicini al cuore.

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