Capitolo 11: CHIARORE, Parte 2

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       — Vogliono incontrare Debora — spiegò il licantropo.
Debby parve risvegliarsi. — Quando e dove? — chiese. Parlò con velocità eccessiva, come se la sua intenzione fosse scampare ad ogni attimo di silenzio, o, più precisamente, ad ogni attimo che avrebbe potuto costringerla a scambiarsi anche un solo sguardo con August.
— Perché non subito? — squillò Jandira.
— Rina, te la senti? — domandò Cheyenne.
Rina annuì senza indugio.
— E tu, August?
— No, meglio di no. — August si portò una mano al ventre. — Non vorrei essere un peso. Temo che vi rallenterei.
Cheyenne parve contrariata; nei suoi occhi roteavano mille idee e supposizioni sul perché August, stranamente, preferisse restare a casa. — D'accordo — disse, accigliata. Mantenne lo sguardo fisso sul ragazzo, come se lui potesse d'un tratto spiegarle per quale motivo desistesse dal partecipare a una missione, una missione che per di più riguardava l'integrazione di Debora, e che perciò gli sarebbe dovuta stare a cuore.
Debby si alzò; la sedia emise uno stridio. — Andiamo?
La guardarono tutti, sbigottiti e sorpresi dalla sua improvvisa intraprendenza. Dopo un primo attimo di esitazione, lasciarono la biblioteca.

L'ambiente era desolato. Col calar del sole, era sopraggiunto un silenzio interrotto di tanto in tanto dallo zampettare lugubre dei topi di fogna, da frastuoni metallici e dal fischiar del vento – la promessa di una notte tempestosa. Ogni fonte di luce stava sinuosamente estinguendosi, spargendo un'ondata di colore arancione, pittrice del cielo.
Il gruppo si inoltrò in un edificio che, a giudicare dai ghirigori dorati dei balconi e dall'imponenza del portone, un tempo doveva aver goduto di una certa importanza.
Posarono tutti piede su un pavimento di pietra levigata. Da un angolo buio e sudicio si innalzavano polverose scale di vetro. Percorrendo la gradinata, Debora osservò ammirata le pareti di ogni atrio: una di un colore diverso dall'altra. Per terra erano sparse statue e sculture: si trattava di un museo d'arte abbandonato.
Quando raggiunsero il quinto piano, la notte era sovrana.
— I Vampiri non sono famosi per la loro simpatia ­— disse Jandira, rompendo il silenzio. ­— Sono certa che voi Imperfette crediate di conoscerli abbastanza. Si cibano di sangue, sono immortali, non possono stare alla luce del sole. Sono pallidi ed esili e hanno capacità fisiche fuori dalla norma, come la velocità e la forza sovrasviluppate. Al solo contatto col fuoco, bruciano istantaneamente, e l'unico modo per ucciderli è colpendoli al cuore e riducendoli in cenere. — Si interruppe, guardandosi attorno con circospezione. Riprese: — Ma ci sono cose che i film e le serie tv non posso insegnarvi. I Vampiri, per esempio, possono e anzi devono dormire. Sono sterili, frutto di una malattia demoniaca, esattamente come nel caso dei Licantropi.
Rina si schiarì la gola. — Peccato, niente Robert Pattinson che brilla a petto nudo alla luce del giorno — piagnucolò, rivolgendosi all'anziana.
Jandira s'accinse a ribattere burberamente, quando un tonfo riecheggiò da una parete all'altra dell'atrio.
I Lionchild e Jason si irrigidirono come felini all'agguato. La sagoma di un vampiro apparve alla luce di un languido raggio lunare penetrato attraverso il vetro di una finestra rotta. Aveva capelli biondo cenere, corti e scompigliati, e occhi profondi, simili agli abissi di un fondale marino: era facile annegarci. Il suo viso era magro e allungato, gli zigomi in risalto. Sfoggiava il pallore e la gracilità peculiari del vampirismo.
Si fermò davanti al gruppo e non si mosse.
— Santo Cielo! Ian! — Katrin corse verso il ragazzo, gli gettò le mani al collo e lo abbracciò con veemenza. I movimenti di Kate erano leggeri e aggraziati, come quelli di qualsiasi altro Prescelto.
Il vampiro la abbracciò a sua volta e la sollevò.
Katrin si sciolse delicatamente dall'abbraccio. — Che ci fai qui? — Gli occhi le luccicavano come stelle.
— Sono venuto a farti una sorpresa — rispose il ragazzo. — Tuo padre mi ha contattato, spiegandomi quant'era successo in queste ultime settimane. Sapendo che vi sarei potuto essere d'aiuto, sono venuto il prima possibile.
— E hai fatto bene. Ma perché non ci hai raggiunti subito? Ti avremmo ospitato noi!
— L'avrei fatto stasera dopo aver sbrigato qualche faccenda con Scarlett Hill, ma siccome lei stessa ha avuto la brillante idea di organizzare un incontro, ho pensato che vi avrei aspettati qui.
Non si staccavano gli occhi di dosso. Katrin teneva le mani poggiate saldamente sulle braccia del cosiddetto Ian; lui la stringeva per i fianchi. I loro sguardi trasmettevano complicità, e la loro intimità era tanto forte da causa imbarazzo negli spettatori. 
Lotty simulò un colpo di tosse.
Kate si rigirò d'impulso. — Oh, scusatemi. Questo è Ian Bernard, un nostro carissimo amico d'infanzia. Viene da Bruxelles.
— È il figlio di quei cari amici di famiglia di cui ti avevo parlato — sussurrò Cheyenne all'orecchio di Debora.
Il vampiro venne affogato in calorosi abbracci di bentornato. Dopodiché si voltò verso Debby: — Tu sei Debora Myako Urushiba? — le chiese.
Debora annuì, rivolgendogli un fievole sorriso.
— Uff, ho sentito molto parlare di te — le disse Ian. — La signora Hill desidera incontrarti. Se volete seguirmi... — Il vampiro giunse le mani dietro la schiena e si incamminò verso un'ennesima rampa di scale decrepite. Il gruppo lo seguì lungo una gradinata di pietra bianca. Debora ascoltava il fruscio prodotto dai propri piedi mentre sfregavano contro i granelli di vernice scrostata e grattata via dalle pareti scalcinate.
Giunsero sull'attico del museo abbandonato, dove una donna girata di spalle poggiava contro un parapetto dorato. La sua chioma rossa e riccioluta ondeggiava al soffiar del vento.
— Signora Hill, la Ragazza dagli Occhi Viola è qui.
La donna si voltò lentamente, e con grazia sovrumana. Indossava un abito rosso sangue, lungo e scollato. Il suo volto era marcato da lineamenti dolci e delicati: un nasetto piccolo e appena appena schiacciato, grandi occhi marroni contornati da lunghe ciglia nere, un velo di lentiggini cremisine e un paio di rossissime labbra a forma di cuore, in contrasto con la pelle cadaverica. Sembrava che la vampira fosse stata morsa all'età di quattordici o quindici anni; eppure, la sua bellezza era la stessa che Debora avrebbe attribuito a qualsiasi donna matura, i cui occhi erano specchi di saggezza e sapienza.
In lontananza erano visibili le luci gialle e arancioni di Amsterdam, i guizzi luminosi emanati dai fanali delle auto, simili a piccole e profuse gocce di sangue. La città era punteggiata di bagliori, e il fulgore della metropoli dipingeva attorno alla vampira un'aureola di luce rossastra. — Debora — disse la donna. — È un piacere fare la tua conoscenza.
Debby sorrise con riverenza. — Il piacere è tutto mio.
— Lascia che mi presenti. Il mio nome è Scarlett Hill. — La vampira le strinse la mano con la propria. Debora avvertì la freddezza delle sue dita a dir poco gelide, e per poco non sobbalzò.
— È probabile che tu ti chieda quale sia la natura di questa convocazione, Debora.
La stregona s'accinse a rispondere, quando dai piani inferiori sopraggiunsero dei passi. I passi di un'intera folla.
In quattro e quattr'otto, un esercito di vampiri andò a posizionarsi intorno a Scarlett – la loro venerata imperatrice –, la quale percepì all'istante la tensione e la diffidenza dei Nephilim. — Non temete, non vi faremo alcun male — garantì.
I Prescelti rilassarono i fisici dinoccolati e recuperarono la loro innata e mansueta disinvoltura.
— Dunque, Debora... — Scarlett Hill sorrise. — Ti ho convocata per comunicarti di persona che i Vampiri di Amsterdam sono dalla tua parte. Puoi contare sulle forze e sulla solidarietà della mia gente.
Debby non fiatò, in attesa di una condizione, di un vincolo, del ma dell'intero discorso.
Eppure la Signora Hill non replicò. — È in arrivo una guerra, Debora — aggiunse poi. — Penso che i tuoi amici Nephilim abbiano fatto caso alla maggiore frequenza degli attacchi demoniaci, qui e nel resto del mondo. La causa di tutto ciò è tuo padre, ed è quindi chiaro che sarà lui a guidare i demoni contro il Mondo Occulto e il mondo umano. La leggenda narra che sarai tu a salvarci da Azazel. Pertanto, spetta a te occupartene. Ma non sarai sola. Inoltre, hai già dimostrato di avere poteri degni di nota. Le voci corrono.
Debora rimuginò a lungo, prima di rispondere. Cercò con lo sguardo l'approvazione di Ronald e Cheyenne, i quali annuirono. Tornò quindi a rivolgersi a Scarlett Hill: — Se è contro mio padre che volete andare, Signora Hill, potete fare affidamento sul nostro aiuto.
— Molto bene. — Scarlett sfoderò un sorriso incredibilmente maliardo; l'assenza di canini affilati ne confermava la sincerità. — Allora questa è un'alleanza.
Debby aguzzò la vista, scrutando a lungo la vampira. — Vi posso chiedere quale motivo vi spinga a stare dalla nostra parte?
Scarlett Hill si fece più vicina. Era silenziosa, lenta, elegante e leggiadra; i suoi passi non producevano alcun rumore. — Tuo padre ha sterminato quasi tutti i vampiri di Amsterdam, molto tempo fa. Il mio clan è il semplice raggruppamento dei pochi sopravvissuti alla strage di Azazel. Ho perso molte delle persone a cui tenevo. Sai, Debora, il mio cuore ha cessato di battere molto tempo fa, ma è ancora capace di provare dei sentimenti. Quello che voglio, perciò, è vendetta. O giustizia. È questione di diverse interpretazioni.
Debora annuì e si inchinò, al fine di esprimere la propria gratitudine. Dopodiché, gli ospiti ringraziarono la Signora Hill, si congedarono e Ian li guidò fuori dal Covo dei Vampiri.
E d'improvviso, scoppiò il finimondo.
Dal nulla piombarono circa dieci vampiri, le cui braccia e i cui volti erano quasi completamente insanguinati.
Jason si voltò verso Debora, estraendo dall'elsa argentea ricamata d'oro un'arma celeste, una spada di zaffiro. — Portale via! — gridò, riferendosi a Lotty e Rina.
Jandira aiutò le tre ragazze ad allontanarsi dal luogo. Prima di andarsene, Debby fece solo in tempo ad assicurarsi che i suoi compagni reagissero con prontezza all'assalto. In men che non si dica, iniziarono ad affrontare e debellare con agilità l'orda di vampiri. A Debora tornarono alla mente i tre dettami dei Prescelti: saggezza, parsimonia e riserbo. I movimenti dei Nephilim, controllati e micidiali, non avrebbero potuto illustrarli meglio.
Jason si preparò al combattimento, assumendo, a contatto della spada celeste, la solita luminescenza. Katrin, Roy e Cheyenne sfoderarono a loro volta armi di diverso tipo; Ronald si trasformò in un enorme lupo dal pelo color castagna.
Ciascuno dei combattenti fronteggiava uno o due vampiri; tre di questi erano scappi.
Jason mise al tappeto un esemplare maschio; un altro gli sfuggì. A quel punto avrebbe potuto soccorrere i suoi camerati, ma decise di inseguire il vampiro mancatogli, che con un salto di almeno tre metri balzò su un balcone di un edificio, scomparendo al di sopra del tetto. L'agilità e l'equilibrio di Jason, dovuti ad anni e anni di allenamento, gli permisero di arrampicarsi tra balconi e finestre rispettando i tre assoluti dettami da cui i Nephilim erano governati.
Arrivato sul tetto, però, Jason non trovò nessuno. Camminò furtivamente, osservando i dintorni con aria guardinga, impugnando la spada di zaffiro in una stretta granitica. D'un tratto colse un movimento al di sopra della propria testa; d'istinto, rovesciò il capo all'indietro. Il vampiro sfuggitogli poco prima lo colse alla sprovvista; si abbatté ferocemente su di lui e lo atterrò, intrappolandolo al di sotto del proprio corpo. Jason era ormai del tutto immobilizzato, la spada gli scivolò di mano. L'Occulto gli teneva le braccia piantate al suolo serrandogliele con forza brutale, e gli impediva il movimento di tutta la parte inferiore del corpo stringendogli il bacino con le ginocchia. Jason tentò invano di attingere ai propri poteri, poiché si trovava in una di quelle situazioni in cui un'eccezione alla regola dei tre dettami era tollerata. Ma il vampiro era inevitabilmente più forte.
Ogni via di fuga era sprangata.
L'Occulto spalancò la bocca e snudò gli affilatissimi canini, simile ad un cobra in attacco.
Si avvicinava inesorabilmente al collo di Jason, quando questi gli sferrò una testata e il suo assalitore lanciò un urlo di strazio.
Tutto ciò contribuì semplicemente ad alimentare la rabbia del vampiro, il quale era ormai sul punto di avventarsi alla giugulare del Nephilim, quando una lama gli trapassò il torace e per poco non perforò anche il petto del Prescelto. Nel momento stesso in cui l'avversario gli rotolò accanto, Jason intravide la figura di una ragazza: una Prescelta. La osservò: teneva alta la sciabola che aveva inflitto al vampiro il colpo di grazia. Il sangue vermiglio dell'Occulto ormai sconfitto colava lungo la lama angelica, fino a ricoprirle interamente di sangue mano e braccio. Lisci capelli castani le incorniciavano il viso, oscurandole gli occhi verde-nocciola. Una frangetta le ricadeva sulla fronte, e sul collo, da due piccoli fori, scorrevano sottili rivoli di sangue.
Lo sguardo di Jason si allacciò a quello della ragazza per diversi istanti. Poi, però, qualcuno chiamò il nome di Jason, ed entrambi si voltarono nella direzione da cui la voce era provenuta. Quando lui si rigirò, la Prescelta era scomparsa nel nulla.
— Jason, stai bene? — Katrin si precipitò a soccorrere il fratello. Gli si inginocchiò accanto e iniziò a toccarlo nei punti in cui si trovava gli organi vitali, verificando che non fosse ferito da nessuna parte.
— Sì — rispose lui. Puntellò sui gomiti; era ancora sconvolto dalla sparizione improvvisa della sua misteriosa salvatrice, e soffriva per via della testata che aveva tirato al vampiro. Aveva l'impressione che il suo stesso corpo fosse ridotto a una sottiletta, schiacciato dal peso e dalla forza bruta del vampiro che ora giaceva inerte a pochi centimetri da lui.
— C'era una... una ragazza — mormorò, guardandosi intorno alla ricerca della sua eroina. — Una Prescelta. Non avete visto nessuno?
— No. — Dagli occhi verde smeraldo di Kate, incorniciati da un paio di sottili sopracciglia bionde, scaturivano ansia e sollievo al tempo stesso. — Doveva essere una vampira, ti sarai confuso. Sono tutti scappati.
— Che cosa volevano da noi? — chiese il Nephilim. — Pensavo che avessimo appena fatto coalizione.
Katrin gli posò una mano sulla fronte, dove cominciava ad affiorare l'alone violaceo di un livido. — Mentre ti cercavamo, Scarlett e alcuni dei suoi ci hanno aiutati a combattere gli ultimi vampiri. Si trattava dei Senzaclan, vampiri che si rifiutano di appartenere al clan ufficiale di Amsterdam e preferiscono creare un branco non riconosciuto dall'Istituzione Primordiale; violano l'Alleanza e si cibano di sangue umano. Scarlett dice che di questi tempi molti dei Senzaclan convincono i neonati ad unirsi a loro, invece che al clan ufficiale.
Jason scosse la testa e schioccò la lingua. — È una vergogna.
— Ora è meglio che torniamo a casa. — Katrin lo aiutò ad alzarsi e a tornare giù, dove Roy, Cheyenne, Ronald e Ian li attendevano in preda alla preoccupazione. 

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