Dietro quella porta

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«Cosa c'è dietro quella porta? È sempre chiusa...» gli chiedo in accappatoio, anche lui lo è, abbassa lo sguardo verso il pavimento.

Ho ancora il mio corpo intriso del suo odore, dell'odore della sua pelle.

Fisso quella porta che tiene sempre chiusa.
È la porta in fondo al corridoio.
Tutte le volte che sono venuta a casa sua, è apparsa chiusa a chiave.

«È una stanza che non apro più da anni...»

«Perché?» gli chiedo accarezzandogli il volto e toccando delicatamente i capelli un po' umidicci per l'acqua della doccia.

«Dentro c'è un pianoforte...non lo suono da almeno due anni...» mi bacia il palmo della mano e ci si dondola ad occhi chiusi.

Sei così indifeso davanti ai miei occhi in questo momento.

«Io amo il pianoforte, lo suoni per me? » gli chiedo.

«Oh no ma dai...è da molto tempo che non lo faccio...non me la sento» mi risponde triste, gli occhi tremanti.

«Dai...» lo supplico.

«Non ho mai più aperto quella stanza...»
Lascia la frase a metà.

«È giunto il momento di farlo...» gli dico sorridendo.

«Mi tieni la mano mentre giro la chiave per aprirla?»

Sarà che sei più fragile di me?

«Si certo...» gli accarezzo le spalle.

Perche questa stanza ti fa così paura?
Perché?

Prende la chiave dal mobile dell'ingresso e poi mi prende per mano.

Percorriamo il corridoio, siamo davanti la porta.

Con le mani tremanti apre la porta.

Ci inonda l'odore di chiuso della stanza, però non c'è polvere.

«Quando non sono in casa, l'ho fatta pulire settimanalmente...»

Ancora non ha il coraggio di accendere la luce, lo faccio io al posto suo.
La stanza è molto grande, al centro c'è un pianoforte a coda, nero e lucidissimo.

Lui stringe più forte la mia mano.

«Sono qui, va tutto bene e questo pianoforte è...» dico, mi interrompe.

Mi lascia la mano e va verso il pianoforte.
Lo accarezza, gira attorno al nobile strumento e poi tira su le serrande della finestra della stanza.

La luce naturale del primo mattino illumina la stanza e illumina anche noi.

In un silenzio quasi surreale e ancora in accappatoio, inizia a poggiare le dita sulla tastiera del pianoforte.
Poi le ritrae subito, e poi le riappoggia.

«Dai non avere paura...»

Mi appoggio con i gomiti sulla coda del pianoforte.

Lui comincia a suonare: Claire de Lune di Debussy.

Le sue dita sono sempre più veloci, muove il capo dolcemente seguendo le note, le accompagna con il movimento del suo ciuffo di capelli: movimento a volte più deciso.
Io sono persa nelle sue mani che scivolano sulla tastiera.
Quelle dita sembravano tornare a vivere nella loro dimensione naturale.

Quante cose devo sapere ancora di te?

Finisce: solleva le mani dal pianoforte e mi regala un sorriso dei suoi.

«Vieni qui...solo tu potevi riuscire a farmi suonare in questo modo dopo anni...» mi fa cenno di sedermi sulle sue gambe.

Io obbedisco contenta: contenta per le parole che ha detto, contenta perché è tornato a fare qualcosa che non faceva da tempo e che amava fare.

Scosta leggermente l'accappatoio dalla mia clavicola e inizia a baciarla lentamente, con le sue labbra morbide e calde.
Mi ritrovo con la schiena appoggiata al bordo della tastiera.
Le sue labbra esplorano ancora sotto il mio accappatoio, la sua testa è persa tra i miei seni che  prende, stritola, accarezza.

Lentamente, fa cadere  il mio accappatoio a terra, mi prende in braccio e in modo deciso ma docile al tempo stesso, mi fa sedere sulla coda del pianoforte davanti a lui.
Percorre con le dita tutte le mie gambe, io gli sorrido maliziosamente.

Occhi focosi, occhi dolci.
I suoi.
Vedo soltanto i suoi capelli al limite dell'addome e inizio a contorcermi: è una sensazione che fa tremare le vene.
Inarco la schiena, lui blocca le mie gambe con le mani, affondando le dita nella mia pelle.

«Guardami adesso...» rivedo il suo volto.

Inizia a muoversi dentro di me, sento il suo fiato sul collo e il suo dolce mugolio che tra poco esploderà.
I nostri sussulti si inseguono, i nostri corpi si fondono e prendono sempre più ritmo.

La mia testa è abbandonata sul legno lucido del pianoforte, e il suo bacino si muove sinuosamente, contraccambiando perfettamente i miei movimenti.
Mi mordo le labbra, poi ce le mordiamo a vicenda.

Soddisfatto, mi bacia delicatamente  e poggia il suo orecchio destro sul mio petto.

«Vuoi sapere perché non entravo più in questa stanza e non suonavo più il piano?» mi chiede.

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