CAPITOLO 27 - NATHAN

216 52 112
                                    

Non vi so dire per quanto tempo le nostre bocche siano rimaste incollate e dipendenti l'una dall'altra ma so per certo che avrei preferito non smettere mai.

L'ho baciata a lungo con disperazione, fretta e bisogno. L'ho baciata per l'ennesima volta eppure, ogni volta che lo faccio, ogni volta che le sue labbra toccano le mie, è come se fosse la prima volta.

Sarà per il modo in cui mi stringe il viso tra le mani, per il verso che fa ogni volta che spingo con forza la lingua contro la sua, sarà per la naturalezza con cui mi sfiora o forse per la dolcezza che vedo nei suoi occhi ogni volta che semplicemente poggio la fronte sulla sua. Sarà per tutte queste cose o per nessuna di queste ma vi posso assicurare che a me sembra di riuscire a respirare davvero solo quando diventiamo una cosa sola.

Giuro che non so cosa mi stia succedendo, faccio fatica a riconoscermi anch'io, ma dopo una settimana passata da solo e il mare di alcol che mi circola nelle vene la mia parte razionale è stata completamente inibita a favore del mio cuore solitario che mi riempie la mente di pensieri che non credevo nemmeno di riuscire a formulare. Sì, tutto molto poetico Nathan.

Lascio un ultimo bacio umido sulle sue labbra carnose, mi allontano un po' e torno a guardarla. Ha i capelli arruffati a causa delle mie mani, le guance rosse e gli occhi in fiamme, continua a fissare come ipnotizzata le mie labbra. Una ciocca le ricade libera sul viso coprendole appena gli occhi, gliela sistemo dietro l'orecchio con estrema lentezza.

Sorride. È un sorriso vero che le illumina gli occhi, le arriccia il naso e la bocca. Maledetto alcol.

In questi anni ho conosciuto molte donne, alcune belle da togliere il fiato, altre con innumerevoli talenti nascosti, ma ogni volta che mi sorride in questo modo, ogni volta che sorride solo per me, ai miei occhi sembra di non aver mai visto niente di più bello di Elizabeth.

Eppure lo sapevo, io lo so dalla prima volta che l'ho conosciuta e mi ha sorriso che avrei dovuto solo evitarla per non impazzire. Alla fine ti ha fottuto il cervello Nathan.

«Forse dovremmo uscire da qui» dico interrompendo i miei pensieri e il silenzio che si è creato tra noi. Non sono abbastanza lucido e domani potrei pentirmi di ogni frase troppo azzardata. Afferro la maniglia e in un attimo sono fuori dall'abitacolo, Elizabeth fa lo stesso e chiude la mia macchina con il piccolo telecomando che continua a stringere tra le dita. Mi sembra pensierosa.

Infilo le mani nelle tasche posteriori dei jeans e mi avvio verso la porta di casa mia, la testa mi gira come se l'avessi infilata in una centrifuga e la terra sembra muoversi troppo a ogni mio passo. Non avrei dovuto bere così tanto, o forse si, in ogni caso ormai è troppo tardi.

La voce di Elizabeth arriva chiara alle mie spalle «Quando entri buttati sotto la doccia e poi cerca di dormire» dice d'un fiato, mi giro di scatto verso di lei, è ancora troppo distante da me «domani avrai un mal di testa ingestibile» conclude mentre stringe le chiavi tra le dita. Quando entro io? E tu dove pensi di andare?

In effetti ha detto che mi avrebbe accompagnato, non che sarebbe rimasta con me.

«Tu non entri?» chiedo cercando di rilassare le spalle. Rientrare da solo significa affrontare di nuovo la solitudine che in questi giorni mi ha lacerato lentamente la testa e l'anima, significa perdere ancora. Non so se sono pronto, non dopo che lei è riuscita a calmarmi.

Elizabeth spalanca appena gli occhi, riesco a vedere chiaramente i mille pensieri discordanti che le passano per la testa, non sa che fare.

«Pensavo di ritornare a casa mia con queste» dice piano alzando le chiavi verso di me, non mi guarda «o posso dire a Ber di passare a prendermi» alza appena le spalle abbozzando un mezzo sorriso «volevo solo assicurarmi che arrivassi a casa tua tutto intero» la sua voce è un filo, ora finalmente i suoi occhi incontrano i miei, scruta la mia reazione.

Profondi come il mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora