CAPITOLO 29 - NATHAN

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Le settimane successive alla fatidica festa sono state un delirio, in senso figurato ovviamente. Nella mia vita è cambiato tutto ma agli occhi degli altri non è cambiato un bel niente. Chi l'avrebbe mai detto che provare a fidarsi di qualcuno non è poi così uno schifo. Andrew, forse lui me l'ha detto giusto un migliaio di volte.

Da quando Beth mi gira per casa ho definitivamente perso il senno. Non tocco un goccio d'alcol da settimane eppure in questi giorni mi sono sentito perennemente ubriaco. La testa leggera, le gambe instabili e la pelle che brucia costantemente sotto il suo sguardo. Il mio cervello non smette di formulare pensieri mielosi ogni volta che mi sorride. Trattenermi da dichiarazioni avventate diventa ogni giorno più difficile ma non voglio farle promesse che so già di non poter mantenere solo perché preso dalla foga del momento. 

Sono diventato patetico. Devo essere malato o, peggio ancora, innamo-cazzo, ma ti senti Nathan? Ti si è per caso inceppato il cervello? Datti una regolata, tra poco sanguinano le mie stesse orecchie.

La verità è che le giornate sono passate fin troppo veloci e leggere tra un bacio rubato in corridoio e lunghe sessioni di vario genere a casa mia, siamo andati avanti col progetto e non solo... 

Il fatto è che a prescindere dal sesso, con Elizabeth, non c'è stato un attimo in cui mi sia sentito solo. Anche quando ritorna a casa sua contro voglia, anche quando non la vedo per ore ed ore perché deve lavorare o semplicemente prendersi del tempo per rifilare un mare di stronzate ad Amber su noi due, del tipo che mi odia profondamente, come se l'avesse mai fatto sul serio. 

In queste settimane non mi sono sentito solo nemmeno nel silenzio totale in cui piomba casa mia ogni volta che lei si chiude la porta alle spalle. Sarà forse per il suo profumo che ormai riempie ogni angolo di casa mia, o la presenza costante dei sui vestiti sparsi qua e là, o semplicemente la consapevolezza di sapere che, nonostante tutto, lei mi vede per quello che sono e non per quello che vorrebbe che fossi, e le vado bene così. 

Peccato che io sia, in verità, uno stronzo patologico con visibili traumi adolescenziali legati alla morte della sua povera madre, incubi notturni specchio della schifosa realtà della sua inutile vita, paura dell'abbandono mista a scatti d'ira ingiustificati e un genitore assente, nonché unico membro della sua scarna e inesistente famiglia che, dopo anni, continua a rifilargli un mare di stronzate e sofferenza camuffate da un mare di soldi sporchi come lui. Non male. Pensandoci deve essere pazza o avere un senso di propensione per i casi umani senza speranza

«Mi sembri felice» dice Andrew piegando leggermente il capo mentre fa roteare il liquido scuro nel bicchierino che tiene tra le dita. Deve essere stato il sorriso che mi è spuntato mentre ripercorrevo mentalmente le ultime settimane, e che ora mi tende le labbra, ad avermi tradito «mi sono perso qualcosa? l'ultima volta che ci siamo visti sembravi sull'orlo di un precipizio» continua guardandomi con più attenzione «ero preoccupato per te» conclude con voce tesa e sincera. Voglio bene a questo stronzo ma non capitemi, sono uno che porta rancore.

«Ci sono caduto nel precipizio» dico mentre un sorriso beffardo mi increspa le labbra «sono andato anche piuttosto giù» alzo vistosamente il bicchierino che stringo forte tra le dita «a proposito, grazie tante per l'aiuto» lo tendo verso di lui prima di berne il contenuto e posarlo rapidamente sul tavolo, mi porto entrambe le mani sul cuore «è stato davvero commovente vedere quanto ti importasse» lo schernisco ancora fingendo di asciugarmi una lacrima.

«Andiamo Nat» si passa una mano tra i capelli per nulla divertito dalle mie parole «sai perché quella sera ti ho lasciato andare senza darti una mano» gioca distrattamente con il bicchiere e sospira «e comunque mi sembra che tu ne sia uscito piuttosto bene» tenta un sorriso, sembra quasi sorpreso dalla mia velocità di recupero. 

Profondi come il mareDove le storie prendono vita. Scoprilo ora