XLVI

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L'assistente di Namjoon camminava qualche passo avanti a lei, facendole rabbrividire la pelle. Qualcosa in quell'uomo la metteva a disagio. Forse era il ricordo del fatto che la responsabilità del suo secondo rapimento fosse fondamentalmente sua. Ciononostante, Diana strinse i denti e si obbligò a seguirlo in silenzio.

Namjoon non poteva esporsi dal momento che aveva ripreso in mano il suo titolo. Condurre la transazione in prima persona avrebbe potuto portare il governatore a riconoscere il suo viso ed eventualmente a far capire a Im Sahong la connessione dei Kim con il principe. Non potevano permettersi un simile rischio a questo stadio.

Le porte della sala di ricevimento si aprirono su una stanza ampia, simile agli ambienti del palazzo reale nella loro eccessiva opulenza e nei decori colorati che attiravano violentemente l'occhio. E la giovane ormai sapeva cosa ci si aspettava da lei. Con il capo chino coperto da un velo di seta semitrasparente, fece piccoli passi fino a che non vide l'assistente fermarsi.

-Oh, quale sorpresa inaspettata! La merce è dunque arrivata?

Mentre Diana stringeva ancora di più la mandibola, vide l'uomo davanti a sé piegarsi in un profondo inchino.

-È così, mio signore. Il mio padrone prega affinché sia di vostro gradimento.

Con un moto di nausea, la giovane percepì gli occhi sul suo corpo pur senza vederli. Lo sguardo che studiava la sua pelle, le sue clavicole e i suoi fianchi non aveva nulla di pudico nè di rispettoso.

-Fammela vedere.

Mantenendo il capo chino, Diana notò dall'angolo del suo campo visivo i piedi dell'assistente avvicinarsi a lei e far scivolare il velo dal suo capo, rivelando i suoi lineamenti all'uomo dalla voce viscida e appiccicosa come pece. Una risata grassa e gravida di catarro risuonò nella stanza.

-Sembra proprio la giumenta straniera acquistata dal principe. Eppure, ho sentito dire che era scappata dalle stalle del re. Il vostro padrone vuole forse rifilarmi una cagna problematica?

La ragazza deglutì, sentendo il disgusto e il nervosismo salirle inevitabilmente in gola. Con una morsa ferrea sui suoi arti, si costrinse però a rimanere ferma nella stessa posizione e a non emettere neppure un fiato.

-Il mio padrone non si permetterebbe mai. Vedete, la giumenta, come le migliori bestie che i veri intenditori amano domare, è piuttosto selvaggia data la sua natura esotica. Ha buone maniere e sa dilettare i suoi possessori ma ha un temperamento focoso. Il mio padrone ha semplicemente pensato che per un uomo così virilmente dotato come voi non sarebbe stato un problema addomesticare una creatura simile. Quale donna, d'altronde, non sareste in grado di rabbonire?

Un violento fiotto di nausea spinse Diana sull'orlo del vomito. Le ci vollero tutte le sue forze per non contorcersi in un'espressione rabbiosa alle parole dell'assistente ma continuò a ripetersi nella testa che era tutto parte del piano. Ovviamente, si trattava solo di un abile trucco per non sollevare dubbi nel governatore. La giovane, però, non poté fare a meno di pensare che forse quelle parole non nascevano unicamente dalla fantasia dell'uomo. Qualcosa nel modo compiaciuto e soddisfatto con cui le pronunciava, unito all'aura raccapricciante che trasmetteva, le suggeriva che forse era ciò che lui davvero pensava.

E, in quel momento, un ragionamento tanto buffo quanto spaventoso le attraversò velocemente la mente. Come avrebbe reagito il principe se gli avesse riferito parola per parola come l'assistente aveva parlato di lei?

Contenendo una smorfia divertita, la giovane si costrinse a riportare la sua attenzione alla conversazione.

-Il vostro padrone è assai saggio. Ebbene, non posso darvi torto. Se c'è un uomo in questa regione che può addomesticare una puledra selvaggia come questa, di certo ce lo avete davanti. Non mi sorprende che il principe se la sia fatta sfuggire di mano. Un marmocchio non può sapere come tenere al proprio posto una donna.

Il principe del calmo mattino (M.YG)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora