VI

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Il volto di suo padre si era accartocciato in un'espressione disgustosa. La sua bocca era tesa in una smorfia, spalancata come un portone, con un silenzioso lamento intrappolato nella gola.

-Padre!

La voce di Diana uscì sgraziata e raspante. Si accorse di essersi morsa l'interno della guancia solo quando il sapore agrodolce di sangue le risvegliò la lingua.

Sangue.

Come quello che sgorgava sul petto dell'uomo accanto a lei.

Lo stomaco della giovane si contorse. I suoi piedi, per un istante, sembrarono sospesi nel vuoto. Come se stesse precipitando da un dirupo. Abbassò lo sguardo e vide il suo cavallo accasciato a terra. La sua scarpa era rimasta infilata nella staffa sinistra, perciò il suo corpo era ancora appoggiato alla schiena dell'animale, ma nonostante ciò questo si abbandonò al terreno, rotolando sul fianco. Il suo collo muscoloso era perforato da una freccia. Il suo manto chiaro come l'ambra era rosso.

Rosso. Come il broccato del vestito nel suo baule. Come il letto del sole morente. Come quella bellissima polvere con cui i popoli delle Indie usavano decorarsi la pelle.

Rosso, come il sangue che tingeva il petto di suo padre.

Diana sentiva le urla intorno a lei. Degli uomini gridavano, abbaiavano e ringhiavano come bestie feroci mentre facevano sibilare i loro archi. I suoi occhi tornarono sul corpo dell'uomo al suo fianco. Il liquido scorreva su di esso placido eppure inarrestabile. Aveva affogato la casacca chiara, divorando trama e ordito come un avido conquistatore.

-Padre! Padre!

"Rispondetemi! Ditemi qualcosa!"

La mente di Diana non riusciva a pensare. A mala pena riusciva a vedere oltre al cerchio offuscato al centro del quale c'era solo il viso contorto e pallido dell'uomo. Lui sbatté gli occhi. Le labbra si mossero impercettibilmente. Un rantolo ne uscì, sforzato e spremuto fuori dalla sua gola, atroce come il rumore del ferro che graffia.

Il cerchio della visione della ragazza si stava restringendo. Divenne una nuvola sfocata, un cielo in tempesta, bagnato, fradicio. Il suo viso era umido.

Doveva alzarsi. Doveva aiutarlo. Il cavallo, però, la tratteneva a terra col suo peso e il suo piede non riusciva a sfilarsi dalla staffa.

Doveva alzarsi. Subito.

Spostò il peso del bacino oltre la pancia dell'animale e con la mano si sfilò la scarpa, il cui piccolo tacco si era definitivamente incastrato nel metallo.

Le urla intorno a lei continuavano, ma sembravano diminuire gradualmente. La quantità di voci che rombavano nell'aria diventava man mano sempre minore.

Diana si alzò, strattonando il vestito che era rimasto intrappolato sotto al peso dell'animale. Il corpo di suo padre era fermo a terra. Una mano sul petto non riusciva a fermare l'avanzata imperturbabile del sangue, che con la sua fuoriuscita aveva trasformato l'affascinante viso di Bruno Barbo in un maschera cerea e pallida come la luna.

-Signorina, scappi!

Diana non si era accorta che la mano soccorritrice apparteneva al maestro Jian. L'uomo premeva un pezzo di camicia sulla ferita, circondando la punta della freccia conficcatavi, e stava inginocchiato accanto al corpo inerme.

-Scappi! Adesso! Corra!

La giovane non riusciva a percepire le parole. Non capiva. Non capiva nulla, in quel caos dell'inferno.

Un grido le sfuggì dalla bocca all'avvento improvviso di un dolore alla base del cranio. La sua visuale si era trasformata in terreno battuto, costellato di impronte di zoccoli. Qualcuno le teneva i capelli e sbraitava qualcosa in una lingua che Diana non conosceva.

Il principe del calmo mattino (M.YG)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora